I TROVATORI
La storia della poesia
occitana
La letteratura in lingua d’oc è la prima letteratura
d’arte del mondo moderno, in cui si realizza la civiltà
nuova, nata da un’originale interpretazione del patrimonio
classico rivissuto alla luce del messaggio cristiano e del
senso eroico dell’esistenza, proprio dell’aristocrazia
feudale.
Il patrimonio letterario occitano (circa 2500 poesie) è
testimonianza di uno dei più cospicui fenomeni culturali di
tutto il Medioevo occidentale che ha fatto scuola in molte
regioni d’Europa, influenzando profondamente la lirica
medievale francese, galego-portoghese, tedesca, italiana e
determinando, attraverso Petrarca, il destino della poesia
occidentale. Ed ancora oggi la poesia trobadorica è
punto di riferimento, si pensi ad Ezra Pound.
La storia della lingua e della letteratura occitana è
molto antica. I primi scritti in lingua “d’oc” (la cui
radice deriva dal latino hoc est) risalgono all’anno 900,
mentre i primi versi dei “trovatori” al 1100 circa, quando
iniziano a diffondersi in tutta Europa, e raggiungeranno
grande splendore fino alla metà del XIII secolo, quando
cominciò il declino, dopo la crociata contro gli Albigesi.
La lingua occitana iniziò a frammentarsi e a perdere
l'antico prestigio, allorquando ebbe inizio il declino
politico ed economico dei feudi occitani entrati in
conflitto con il potere regio francese e con la Chiesa
romana. Ma, nonostante i veti della cultura ufficiale
francese, molti intellettuali occitani continuarono a
scrivere opere e poemi nella loro lingua madre.
Nel 1539, con l'editto di Villers-Cotterets, il re di
Francia Francesco I abolì l'uso della lingua d'Oc, imponendo
la lingua d'Oil nel contesto culturale ed in quello
amministrativo e burocratico francese.
La nobili origini della “linguadoca” furono mortificate fino
al XIX secolo, quando iniziò la rinascita, con la fondazione
nel 1854 del movimento letterario “Felibrige”, che annovera
tra i fondatori Mistral, Roumanille e Aubanel, che ridarà
dignità letteraria al provenzale.
Il grande periodo della lingua e della letteratura
occitana era iniziato con Guglielmo, conte di Poitiers, IX
duca di Aquitania, primo trovatore. Il suo canzoniere
prefigura i tre principali filoni dell’esperienza lirica
provenzale: l’amore cortese, il realismo giocoso, il
moralismo religioso e civile.
I “troubadours”, poeti che inventavano “tropi”
operavano soprattutto nel sud della Francia, la Provenza
(quella che può essere geograficamente definita come
Occitania) e si esprimevano in lingua d'oc. Erano membri
della nobiltà o della media e piccola borghesia o cavalieri,
come Jaufrè Rudel e
Bertran
de Born,
oppure di umili origini, come
Bernart
de Ventadorn
e
Marcabrun.
Questi ed altri, come
Arnaut
Daniel,
Rambald de Vaqueiras, Girald de Borneil, Peire Vidal,
Folchetto di Marsiglia, Americo di Peguilhan, Guglielmo
Figueiras, avevano ereditato molto dalla tradizione
letteraria giullaresca.
I precursori “giullari”, musicisti ambulanti, giocolieri,
saltinbanchi, ballerini, acrobati dal VII al X secolo
recitavano cantilene, strophae, facetiae, contrasti,
componimenti di cui a volte erano loro stessi gli autori, o
che a volte ricevevano dai letterati colti e dai chierici. I
giullari portavano nelle piazze, nelle fiere, nelle aule dei
signori, degli ecclesiastici una letteratura, ereditata dai
mimi e dagli istrioni romani, affinata e maturata attraverso
l’opera dei colti chierici, da cui avevano assimilato un
complesso patrimonio culturale e una vasta esperienza
tecnica della composizione.
Nel fervore di vita culturale dei secoli XI-XIII maturava la
sintesi tra gli ideali classici, la spiritualità cristiana e
le nuove istanze della classe signorile. Una rivoluzione di
costume in cui si fondono aspetti letterari e fatti sociali.
Nei modi letterari c’è una realtà sociale dinamica.
A questa società in movimento portano notevole contributo
ben tre generazioni di trovatori.
Quegli ideali garantivano armonia sociale nelle corti dei
grandi feudatari.
I componimenti trobadorici cantavano la fine dell'amore, le
sofferenze d'amore, la lontananza dell'amore, l'alba.
L’amore diventa un principio di ordine sociale.
Il “canso” o “cançon”, un insieme di versi e musica, cantava
l'amore del cavaliere, vassallo della dama di cui è
innamorato; la “chanson de croisade” veniva utilizzata per
esortare i cristiani a prendere parte alle guerre sante; la
“chanson de toile”, una delle forme poetiche più antiche
della letteratura francese, rappresentava l'innamorata,
intenta al lavoro del telaio, che cantava, in ricordo
dell'amato morto; la “pastourelle” era dialogo tra una
pastorella ed il cavaliere che tentava di sedurla; le “albe”
descrivevano la separazione degli amanti dopo una notte
d’amore.
Nei canti dei troubadours, in cui la melodia è strettamente
legata al testo, in cui musica e oralità rivestono grande
importanza, la tematica principale è l’amore. La passione
amorosa è una forza misteriosa di elevazione psicologica e
sentimentale.
Il tema erotico, epurato dagli elementi di maggiore
sensualità, tutela i valori della cultura cristiana.
La donna, “domna” (la moglie del feudatario) diviene,
così, una figura ideale, irraggiungibile, cui è rivolto un
amore-passione, carico di valenze etiche, quali la
“cortesia” (liberalità e raffinata educazione), la “mezura”
(capacità di dominare gli istinti con razionalità) e
“l’onor” (non solo di casta) risultato dell’amore
corrisposto.
La “domna ensenhada”, che incarna l’ideale femminile
trobadorico, è raffinata, squisitamente gentile, educata
alle “finezze” della vita: poesia, arte, musica, danza.
La canzone d’amore, modulata in forme varie, sia per metrica
che per stile, espressa in un volgare affinato e preciso,
ruota attorno a tre personaggi tipici: la donna,
inaccessibile, di cui vengono lodate virtù e bellezza,
l’amante (cavalier servente) che canta una passione
contrastata ed il “lauzengier” (il calunniatore invidioso
che ostacola la storia d’amore.
In uno stile oscuro ed aristocratico, “trobar clus”, ricco
di figure retoriche, incomprensibili al popolo, il poeta
provenzale manifestava la sua capacità espressiva e la
conoscenza della concezione amorosa, nucleo centrale della
società di corte del tempo. Nel trobar clus la tematica
erotica si fuse con la visione cristiana e l’amore divenne
una tensione etica che riversava i suoi valori in tutti gli
aspetti della vita.
Più tardi i trovatori elaboreranno uno stile raffinato e
prezioso “trobar ric” che eliminerà l’oscurità del
contenuto, tramite ricercatezze metriche e armonia del
verso.
Nella poesia occitanica la forma, che mira alla perfezione
assoluta, riveste l’immaginazione del poeta, raffinato, che
appartiene al mondo dell’alta cultura.
“Farai un vers de dreit nien / non er de mi ni d’autra gen /
non er d’amor ni de joven, / ni de ren au, / qu’enas fo
trobatz en durmen / sus un chivau »...
(Farò una poesia di puro nulla / non sopra me, nè sopra gli
altri / neppur d’amore e di gioventù / e di null’altro /
ch’anzi fu scritta / sopra un cavallo”... – Guilhelm De
Peitieu)
La poesia nasce solo attraverso l’esercizio di un’arte
severa che s’impara attraverso una disciplina austera.
“Companho, farai un vers qu’er covinen / et aura i mais de
foudatz no i a de sen / et er totz mescaltz d’amor e de joi
e de joven.
(Compagni, farò un canto appropriato / e più follia vi sarà
che senno / e amore e gioia e giovinezza insieme.)
La grandezza del movimento letterario occitano sta nel
messaggio inviato: la poesia è vocazione, mestiere,
laboratorio (“mon obrador”), esercitato con grande fatica.
Dante esprimerà lo stesso concetto, parlando del grande
trovatore Arnaut Daniel, “fabbro eccellente della lingua
materna”.
Alla scuola dei trovatori si forma Dante, Petrarca e
Guinizelli, che con la canzone “Al cor gentil rempaira
sempre amore” (“rempaira” è parola di origine provenzale che
significa "tornare a casa", "rimpatriare"), affermò
l'affinità che lega il sentimento d'amore alla nobiltà
d'animo. Amore come principio di elevazione e perfezione
morale; e nobiltà come dote spirituale piuttosto che come
fatto ereditario, in stretto rapporto con la "gentilezza"
d'animo e la capacità di amare.
Tra i più noti trovatori italiani che scrissero in lingua
occitanica ci fu
Sordello
da Goito
che scrisse il Compianto in morte di ser Blacatz nel
1236.
E Raimbaut de Vaqueiras, fra i primi trovatori provenzali a
stabilirsi in Italia, ci ha lasciato un interessante
contrasto in lingua d’oc e in dialetto genovese fra un
giullare provenzale e una dama genovese, composto
probabilmente poco prima della fine del sec. XII e che va
annoverato fra i più antichi documenti di uso letterario di
un dialetto italiano.
In Italia sin dall’inizio del Duecento arrivavano molti
trovatori, soprattutto dopo gli effetti della cosiddetta
crociata contro gli Albigesi, e intrattenevano relazioni,
oltre che con il Monferrato, con le corti di Savoia e di
Saluzzo e poi, spingendosi verso est, con i Malaspina e gli
Este e con altre casate, di minore peso politico ma
ugualmente attive nella promozione della poesia, come quelle
dei Carretto e dei Romano.
Infatti, un trovatore del Quercy, Uc de Saint Circ,
stabilitosi a Treviso nella corte dei Romano verso il 1220,
fu il revisore e il diffusore di molti testi occitani.
La presenza più antica dei trovatori è testimoniata
nell’Italia nord-occidentale (Piemonte e Liguria), ma è nel
Veneto (nell’area trevigiana) che la cultura trobadorica si
stabilizzò e produsse i suoi frutti maggiori. Da qui
proviene gran parte dei “Canzoneri”, manoscritti, spesso
lussuosi ed elegantemente miniati, che contengono antologie
poetiche provenzali.
Questo fenomeno assicurò la conservazione del patrimonio
lirico dei trovatori, che altrimenti sarebbe andato in gran
parte perduto.
È un lungo percorso della tradizione romanza, che
ha lasciato tracce nella poesia italiana, che va conosciuto
e sottratto al destino di marginalità cui sembrava
condannato.
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