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EDITORIALI
Arte pag. 4
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Editoriali,
recensioni e saggi di arte
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pubblicato il 9 marzo 2013
MATTIA PRETI A 400 ANNI DALLA
NASCITA
Le opere di
Mattia Preti, Pittore (Taverna
1613 - La Valletta
1699) già in mostra
dal 24 febbraio al 22 aprile, al Museo Civico di
Taverna, diretto da Giuseppe Valentino: 27 opere già presenti nella sala
espositiva, e altre 50 provenienti
da Malta, dal Louvre, da El Prado, dagli Uffizi e da
tutti i musei nazionali,
saranno in mostra a Malta, nel Palazzo Magistrale
de La Valletta, dal 3 maggio al 7 luglio prossimi.
Da aprile a
dicembre a Palazzo Arnone,
a Cosenza, si terrà un'altra esposizione, dal
titolo "Nulla dies sine Mattia", mentre
ulteriori iniziative coinvolgeranno Tropea, Reggio
Calabria e Crotone. Insomma, una serie di
celebrazioni che si concluderanno esattamente il
prossimo anno, il 24 febbraio 2014, a Taverna, con
la presentazione dell'Atlante Pretiano, ovvero il
percorso relativo all'opera omnia dell'artista.
Mattia
Preti,
detto il Cavalier Calabrese, personalità complessa,
ebbe una sostanziale organicità di stile. Il suo
eclettismo apparente è dato, infatti, dal desiderio
di raggiungere rapidamente larghi effetti decorativi
sulla traccia dei Veneti dell'ultimo Cinquecento;
l'elemento vitale del suo stile sta invece nel
proporsi, con chiara visione pittorica, il
fondamentale problema chiaroscurale, che, sulle orme
del Caravaggio, attraverso G. B. Caracciolo (il
Battistello), da un lato, e il migliore Guercino e
il Lanfranco, dall'altro, rappresentò sempre la
ragione prima della sua arte. Il suo luminismo si
attua (anche attraverso complessi propositi di
composizione) sempre più decisamente nelle tele
raccolte, dove la costrizione dello spazio sembra
intensificare nella fantasia dell'artista, nello
stesso tempo, il valore chiaroscurale e il
sentimento drammatico.
Quel che più conta in lui, è sempre una particolare
esigenza di semplificazione, che, provenendo dalla
riforma caravaggesca, assume attraverso il
Battistello una materia pittorica più ricca, dal
Guercino invece una mobilità di chiaroscuro, del
tutto diversa, però, dalla stessa maniera del
maestro. Una certa rudezza quasi paesana, unita a
una spontanea larghezza di squadro nel comporre
fanno comunque di lui uno dei più grandi pittori
italiani del Seicento.
(Cfr: Treccani)

Madonna col Bambino tra i
santi Michele Arcangelo e Francesco d’Assisi
detta “Madonna degli angeli”
Olio su tela cm.269x192 – Sec. XVII
(ottavo decennio) – Museo Civico, Sala
“Mattia Preti
|

Il Battesimo di Cristo
Olio su tela cm.140x110 – XVII secolo,
sesto decennio ? – Chiesa di Santa Barbara –
I altare laterale a destra
|

Eterno Padre
Olio su tela cm.40x60 – ca.1679 – Chiesa
di Santa Barbara – cimasa IV altare,
cappella laterale
|

Presentazione di Gesù al
Tempio
Olio su tela cm.202x136 – primi anni
1680 – Chiesa di Santa Barbara – I altare
laterale a sin.
|

Patrocinio di Santa
Barbara
Olio su tela
cm.460x305 – anni 1680 – Chiesa di Santa
Barbara – altare maggiore.
Opere - ©
Musei di Taverna
- CZ - |
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pubblicato il 20 Gennaio 2012
MOSTRA
SOPRAFFACTIONS
Galleria Nazionale - Palazzo Arnone - Cosenza
A
Cosenza, Palazzo Arnone,
la
Soprintendenza per i Beni
Storici, Artistici ed
Etnoantropologici della
Calabria e
l’associazione
socio culturale “Proposta Universitaria Libera”
hanno
presentato dal 4 al 19 febbraio 2012 la mostra:
SOPRAFFACTIONS
COSENZA.
Sopraffactions, progetto nato nel 2009, giunge alla
Galleria Nazionale di Cosenza dopo le fortunate
tappe di Roma e di Fabriano. Trentasei le opere
esposte, tra queste le tele degli artisti cosentini
Maria Credidio, Alfredo Granata e Luigia Granata,
frutto di una ricerca orientata al confronto, allo
scambio e alla contaminazione.
<<La Galleria Nazionale – precisa il soprintendente
BSAE della Calabria, Fabio De Chirico - prosegue
nella sua apertura verso le espressioni e le
ricerche del contemporaneo, a conferma che il museo,
in quanto luogo che ospita l’arte, al pari
dell’arte, deve incessantemente ridefinire il suo
ruolo, sperimentando percorsi alternativi e
sollecitando fruizioni innovative>>.
Artisti in mostra: Maria Credidio, Alfredo Granata,
Luigia Granata, Anna Massinissa, Gabriele Mazzara,
Franco Zingaretti, Luigi Ballarin, Gerardo Di
Salvatore, Lughia
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Periodo: 4-19 febbraio 2012
Curatore: Giuseppe Salerno
Associazione
Socio Culturale Proposta Universitaria Libera
Presidente:
Francesco Iorio
Direttore
Artistico: Luigia Granata
Tel.:
3401030071
http://www.mondopul.com
E-mail –
info@mondopul.com
Soprintendenza per
i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della
Calabria
Soprintendente:
Fabio De Chirico
Coordinamento:
Domenico Belcastro
Ufficio stampa:
Silvio Rubens Vivone – Patrizia Carravetta
Tel.: 0984 795639
fax 0984 71246
E-mail:
sbsae-cal.ufficiostampa@beniculturali.it
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pubblicato l'8 dicembre 2011
UN MUSEO D’ARTE SACRA A MORANO
“LA VESTE DELLA
SPOSA”
Memoria storica e lettura del territorio
di
Maria Zanoni
Morano, uno dei
centri storici più suggestivi e belli d’Italia,
paese “Bandiera Arancione ", unico in Calabria, si
arricchisce del Museo d’arte Sacra.
La struttura
museale, ideata da tre giovani (Andrea Magnelli,
Leonardo Di Luca e Roberto Coscia de Cardona,
sostenuti da Don Gianni Di Luca, Parroco della
Collegiata della Maddalena), va ad aggiungersi al
Museo di Storia dell’Agricoltura e della Pastorizia,
a quello Naturalistico “Il Nibbio”, alle altre
Chiese-museo, ricche di pregevoli opere d’Arte ed al
Castello normanno che, nel contesto paesaggistico
naturale del Parco del Pollino, fanno di Morano una
“perla”.
La
Mostra permanente allestita nella Chiesa del
Carmine, da tempo in disuso per le normali funzioni,
ha lo scopo di raccontare un brano di storia della
Congregazione del Carmine e della Collegiata della
Maddalena attraverso paramenti sacri, argenti ed
incisioni, un patrimonio d’Arte del Barocco e del
Settecento, miracolosamente scampato all'oblio del
tempo ed all'incuria degli uomini.
La sezione riservata ai
Paramenti sacri è riconducibile alla
produzione manufatturiera ed artistica che va dal
periodo Barocco alla fine del 1800, che utilizzava
sete e damaschi provenienti dalle filande moranesi e
napoletane. Particolare rilevanza rivestono le
donazioni di Donna Maria Rosa Pignatelli, moglie del
Principe Spinelli, riconoscibili dagli stemmi del
nobile casato ivi apposti.
La sezione di
argenteria sacra, in gran parte inedita, è
arricchita da suppellettili liturgiche provenienti
la laboratori argentieri napoletani; tra cui la
splendida Croce Reliquiaria in lamina d'argento del
1730.
Nella sezione Arredi
Sacri, si può ammirare una colonna di orologio a
pendolo in stile Rococò, opera dei Maestri Fusco che
operarono a Morano alla fine del Settecento.
Una sezione è riservata alle antiche Pergamene.
Nella Chiesa del Carmine, fondata nel 1568, ora sede
del Museo d'Arte Sacara, si può ammirare anche un
piccolo organo positivo del '700, di anonimo,
dipinto da Gennaro Cociniello.
Questa encomiabile
operazione culturale, nata dalla iniziativa privata
di tre giovani volontari, prestati al servizio della
conservazione dei Beni Culturali della loro
cittadina, ha creato un prodotto culturale che deve
essere fruito dalla collettività.
Questi beni sacri,
ripuliti dalla polvere e raccolti nelle teche
raccontano storia, se inseriti in un giusto circuito
di “conoscenza – conservazione – valorizzazione e
comunicazione”. Solo così il Museo assume un
carattere “dinamico”.
Il Museo cessa,
così, di essere un luogo dove conservare e custodire
oggetti, in un’atmosfera spenta e morta di
abbandono, e diventa uno strumento di recupero della
propria storia ed anche di sviluppo economico.
Il museo, in
quanto sistema di comunicazione, può diventare uno
strumento di interazione con la società circostante
capace di raggiungere tutto il tessuto sociale
attraverso l’attivazione di un circuito di lettura
del territorio, capace di rafforzare sempre più il
senso d’identità dei luoghi, in grado di generare un
positivo sentimento di appartenenza e di produrre un
utile effetto di trascinamento, d’interesse e di
studio, oltre che di richiamo turistico.
E’ necessario
creare una dinamica di crescita culturale ed
economica, stabile nel tempo, che si basi su
programmi di comunicazione e di promozione svolti in
sinergia tra Enti pubblici, Istituzioni culturali ed
Associazioni di categoria. E per questo sono
necessarie risorse, sinergie tra pubblico e privato,
per una concreta azione di promozione
dell’educazione alla tutela del patrimonio
culturale, a cominciare dalla Scuola, agenzia della
cultura in grado di formare la coscienza della
partecipazione, preparare al futuro, aiutando la
formazione di nuove coscienze, volte al
miglioramento della qualità della vita in questa
nostra complessa società postindustriale.
È necessario il
coinvolgimento del mondo della scuola in un'attività
conoscitiva e partecipativa di notevole importanza
per le giovani generazioni, spinte da un'esigenza di
identità dovuta all'alienante sradicamento dalle
matrici culturali originarie.
La Scuola deve
guidare all’uso didattico del territorio, creando
visite guidate e percorsi culturali tra musei,
biblioteche e parchi, luoghi depositari della
memoria storica, della identità, che devono essere
conosciuti, rispettati, visitati e capiti.
Sono necessarie
azioni di creazione o di potenziamento di siti web;
non si può pensare di realizzare un museo senza
prestare attenzione a questo universo tecnologico
che influenza la struttura sociale, culturale e
ambientale.
Bisogna avviare un
sistema coordinato di promozione tra musei, beni
artistici paesaggistici ed enogastronomici; e
attivare collegamenti con i sistemi di turismo
ambientale a livello nazionale.
Questa realtà deve
diventare dinamica e interattiva. Questo
museo deve diventare punto di scambio comunicativo,
un museo che parla alla gente, racconta storia, un
museo diffuso, in stretto rapporto con il
territorio, l’insieme di musei, chiese,
tradizioni, per rileggere le vicende storiche della
comunità moranese.
Deve essere
organizzato; tale organizzazione può essere
incardinata nella rete dei musei locali e quelli
regionali. La programmazione delle attività e delle
risorse deve essere operata congiuntamente fra tutte
le istituzioni, con accordi di programma, protocolli
d’intesa tra Comune, regione e Ministero dei Beni
Culturali. La salvaguardia dei patrimoni e la
produzione di servizi al pubblico sono possibili
anche con i tetti di spesa attuali, esigui.
Bisogna creare una
rete museale che coinvolge diversi aspetti della
realtà socio-economica. E Morano ha tutte le qualità
per farlo.
I beni culturali
sono un misto di economia e cultura.
E la cultura è
l’unica chiave che può aprire le porte di un nuovo
rinascimento della Calabria.
Esposizione
permanente di Arte Sacra “LA VESTE DELLA SPOSA”
Chiesa del
Carmine - piazza Giovanni XXIII - Morano Calabro
- CS
Per info,
prenotazione visite, orari di apertura Museo:
Andrea Magnelli –
3460589400
Leonardo Di Luca –
3495774380
Roberto Coscia de
Cardona - 3407044684
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pubblicato l'8 dicembre 2011
ARTE SVELATA
Capolavori di Cosimo Fanzago.
Il restauro
delle sculture dal ciborio della Certosa di Serra
San Bruno
alla
Galleria Nazionale di Cosenza
fino al
29 gennaio 2012
Palazzo Arnone
Nel 1631 durante il priorato di don Ambrogio Gasco
viene dato incarico a Cosimo Fanzago (Clusone,1591 –
Napoli, 1678) di realizzare il monumentale
altare-ciborio della Certosa di Santo Stefano del
Bosco a Serra San Bruno, smembrato a seguito del
terremoto del 1783 e rimontato pressoché
integralmente, attorno al 1837, nella chiesa
dell’Addolorata a Serra San Bruno.
Dell’imponente impresa del maestro restano oggi nel
museo d’arte sacra del duomo di Vibo Valentia alcuni
mirabili manufatti bronzei raffiguranti quattro
angeli oranti; due angeli
reggicanestro; San Lorenzo, santo Stefano,
san Bruno, San Martino e un
frammento architettonico. Proprio a questo
straordinario progetto e corpus di opere fanzaghiane
la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed
Etnoantropologici della Calabria dedica Arte
svelata. Capolavori di Cosimo Fanzago. Il restauro
delle sculture dal ciborio della Certosa di Serra
San Bruno.

Putto
|

angelo retro
|

San Lorenzo |

San Martino |
La mostra, curata da Fabio De Chirico con il
coordinamento scientifico di Rosanna Caputo, è
occasione straordinaria per ammirare i capolavori
del ciborio serrese, riportati all’antico splendore
dopo un attento restauro e per conoscere la
complessa figura di Cosimo Fanzago, personalità
dominante il panorama della scultura secentesca
napoletana.
La mostra ARTE SVELATA Capolavori di Cosimo
Fanzago. Il restauro delle sculture dal ciborio
della Certosa di Serra San Bruno potrà
essere visitata fino al 29 gennaio 2012. Fino
al 31 dicembre 2011 con il seguente orario:
10.00-18.00 da martedì a sabato (escluso i festivi);
domenica 11 dicembre 2011 dalle ore 14.00 alle
ore18.00. Dal primo al 29 gennaio 2012 da martedì a
domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00.
Cura: Fabio De Chirico
Coordinamento scientifico:
Rosanna Caputo
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed
Etnoantropologici della Calabria
Soprintendente: Fabio De
Chirico
Ufficio stampa: Silvio Rubens Vivone – Patrizia
Carravetta
tel.: 0984 795639 fax 0984 71246
e-mail:
sbsae-cal.ufficiostampa@beniculturali.it
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pubblicato il 16 ottobre 2011
Opere penitenziali di Ulrico Montefiore
di Adriana De Gaudio

L’ultima
produzione pittorica di Montefiore esposta al Museo
del Presente di Rende (CS) crea choc visivo ed
emotivo per il linguaggio provocatorio e
sconcertante che egli usa nel rappresentare temi
religiosi su tele di grande formato, ottenute con l’
ausilio del computer. Ai benpensanti la mostra fa
istintivamente arricciare il naso e chiudere gli
occhi. Opere terrificanti, che sconfessano non solo
l’estetica rinascimentale, (ad eccezione dell’arte
di Donatello e di Masaccio) ma fanno tabula rasa di
tanta bella pittura della Storia dell’Arte italiana.
Il “brutto” di
Montefiore fa ricordare, in certo qual modo, alcune
opere inquietanti dello scultore quattrocentesco
Donatello; l’artista fiorentino, superando il canone
medioevale, secondo il quale bisognava raffigurare
orripilanti i diavoli dei Giudizi
Universali e belle le immagini della Madonna,
era convinto che l’esperienza della vita, la
sofferenza, se da un lato abbruttisce, dall’altro
matura nell’uomo la saggezza, la bontà e la santità
interiore.
L’artista
castrovillarese, diversamente, meditando
sull’odierna realtà sociale mistificata e
mistificatrice, la quale cerca in paradisi
artificiali di eludere la sofferenza e la paura
della morte, svela la vacuità dell’attuale vivere
edonistico, e mostra crudelmente la verità del
dolore umano, radicato al peccato originale. Da
alcuni anni Montefiore, tormentato dal mistero
dell’iniquità, cerca il senso del dolore umano, e lo
trova in Cristo in Croce, eccelso esempio di Vittima
innocente sacrificale, che ha versato il suo sangue
per riscattare i peccati del mondo. Nella sua
appassionata indagine Montefiore attinge a diverse
fonti: i testi biblici, le Laude, che si
prestano alla sacra rappresentazione, e il
Miserere del monaco Iacopone da Todi,
personalità complessa, fervido credente, affine, per
certi lati, al suo passionale carattere. Nella
straordinaria operazione rapsodica di Montefiore si
individuano oltre alle fonti letterarie anche quelle
artistiche. Con destrezza singolare egli assimila
esperienze tratte da scultori romanici e gotici
d’oltralpe, da artisti italiani (Giotto, G. Bellini)
e da pittori rinascimentali tedeschi: Mathias
Grünewald, Lucas Cranach, Hans Holbein,
dal pittore fiammingo Hieronymus Bosch, i
quali, rifiutando l’idealizzazione formale
dell’iconografia sacra e l’ intento moralistico,
hanno raffigurato temi religiosi in modo del tutto
personale, con asprezza realistica.
La produzione
matura di Montefiore porta, nel suo forbito lessico
pittorico, l’impronta non solo del segno di questi
artisti del passato, che hanno avuto l’ardire di
operare controcorrente, ma anche, di ricordi
picassiani.
Per affinità
elettiva il pittore calabrese potrebbe affiancarsi
ad altri artisti del Novecento per come essi hanno
reso espressiva l’atrocità fisica del Cristo
Crocifisso. Ad esempio: il pittore tedesco Lovis
Corinth, nella Crocifissione del 1907 e nel
Cristo rosso, si riallaccia, anche egli al
pittore Grünewald, dal quale mutua il toccante
pathos, che altera l’anatomia del corpo del
“suo”Cristo, ripreso nello spasmo dell’agonia; il
pittore fauve Emil Nolde, che deformando la figura
del Cristo, rischia, come Montefiore, la caricatura
(La Crocifissione, 1912). Il pittore inglese
Graham Sutherland nella Crocifissione
(1946), esasperando la sofferenza, priva il Cristo
di ogni attributo divino; in seguito accoglie nella
sua pittura immagini repellenti che evocano il
“bestiario”goticheggiante del Medioevo.
Figure bestiali
che vediamo in molti dipinti di Montefiore,
trapiantate sulle teste dei penitenti.
L’esasperazione del dolore trácima nel corpo umano,
ne altera la fisiognomica, fino a giungere a una
metamorfosi animalesca.
Dopo aver
esaminato nel contesto le opere di Montefiore, ci
potremmo chiedere: la svolta nell’arte del maestro
calabrese, dopo la “bella ed elegante” pittura della
prima maniera, caratterizzata da una linea
euritmica, che rende le forme sinuose, e dai colori
dolci e delicati, di memoria settecentesca, è
generata dal bisogno di originalità, oppure il
pittore, catturato nel profondo del cuore dal
mistero dell’iniquità e del dolore umano, cerca col
pennello-bisturi di sviscerare, vivisezionando le
membra del Cristo uomo, la verità salvifica?
Che sia una
pittura di forte effetto rappresentativo Montefiore
ne è consapevole; per certo sa pure che non si può
sradicare il male, il quale continua misteriosamente
a straziare altre vittime innocenti. Da oltre
duemila anni si segnalano innumerevoli martiri della
violenza familiare, di morti bianche, di bambini
trucidati o seviziati, di disastri bellici, di
cataclismi naturali o di incidenti occasionali. I
martiri, vivendo il supplizio di Cristo nello
strazio della propria carne, “compensano” quel che è
mancato al martirio di Gesù : questa è la
spiegazione che San Paolo dà al dolore umano.
Montefiore,
parimenti a Mel Gibson, indugia, attraverso le
tante re-interpretazioni della Crocifissione e la
Passione di Cristo, sull’efferatezza dell’omicidio
e/o deicidio, senza correre il rischio d’imboccare
un percorso eretico. Direi che egli è un inquieto
cercatore di Dio attraverso Cristo, figlio
dell’uomo. Le opere penitenziali, anche se non sono
destinate ad essere inserite nelle Chiese, attestano
proprio il travaglio interiore dell’Artista, che
vive drammaticamente il rapporto uomo- mondo,
uomo-Dio.
Dall’analisi di
alcuni dipinti immaginiamo di cogliere lo “sfogo” di
liberazione interiore di una sofferenza che speriamo
si evolva verso esiti meno icastici.
Hostia(
2010) è un dipinto che si ispira all’assassinio del
vescovo Luigi Padovesi, avvenuto il 3 giugno 2010.
Il titolo Hostia, offerta sacrificale, allude
a un’ innocente vittima. Sulla croce sta inchiodato
il prelato, il quale ha la mitria sul capo, indossa
la casula sbrindellata, volge lo sguardo dolente al
cielo, esala affannosamente l’ultimo sospiro. Il
pastorale, attributo vescovile, gli trapassa la
gola. I chiodi conficcati nelle mani e nei piedi
sono ben evidenziati. Sulla croce si affacciano tre
volti del Cristo, ripresi nell’agonia, morte e
resurrezione. Nel cielo plumbeo balugina
l’arcobaleno, segno di speranza e di gloria dopo il
martirio.
Testimoni
oculari (2010) è, tra le tante Crocifissioni, la
composizione, a mio avviso, più unitaria
stilisticamente, per l’armonica rispondenza di linee
curve. L’arcobaleno circolare, dietro la croce,
inscrive con la sua piena rotazione la circonferenza
delle braccia di Cristo; l’aureola, le forme
curvilinee dei muscoli pettorali, dei polpacci delle
gambe, dei ginocchi valghi , dei talloni dei piedi
incrociati, propri dell’agnello condotto al macello.
Nella parte sottostante, secondo l’iconografia
tradizionale, stanno la Madre e San Giovanni,
maschere tragiche con occhi sgranati e bocche
sdentate, un’altra figura con le palpebre socchiuse,
quasi a non voler guardare né ascoltare l’urlo
disumano del Cristo agonizzante. Fa da sfondo un
cielo variegato di nubi.
Morte del sole
( 2010) – In questo dipinto 100x220, più volte
rielaborato, il richiamo a M. Grünewald è evidente.
In primo piano, Il Cristo in croce, oltraggiato
dalla sofferenza
più efferata e
disumana che la Storia ricordi, presenta fattezze
animalesche, davvero
ripugnanti. Il
Cristo, secondo le Scritture, rappresenta il Sole
della nuova Era; questo Sole, alle tre pomeridiane,
si eclissa all’orizzonte, ma nel buio del globo
riflette la luce dell’aurora che si profila in
variegate sfumature.
Altra opera,
d’intensa espressività e coerenza stilistica, la
Pietà per un povero figlio (2010), è
un’originale interpretazione dello schema
compositivo tradizionale della Pietà nell’Arte. Fa
da sfondo alla scena un cielo sfavillante di colori
sfumati. A sinistra, la Madre, vestita con un umile
e ruvido saio di colore marrone chiaro, regge tra le
braccia il Figlio morto. Colpiscono alcuni
particolari raccapriccianti: i visi di entrambi,
deformati dal dolore; le mani scheletriche del
Cristo sembrano artigli che raspano la terra. A
destra, in alto, irrompe gigantesca la testa del
Padre Eterno, ripresa così come la raffigura il
grande Michelangelo nella Creazione di
Adamo nella Cappella Sistina. Media il rapporto
tra il gruppo di figure a sinistra e Dio Padre a
destra la colomba bianca, simbolo dello Spirito
Santo. Ė evidente che Montefiore voglia ricordare la
Trinità.
Altre opere
meriterebbero uguale attenzione come: il Grande
pianto (2010), dove il dolore della tragedia
cristiana coinvolge da vicino lo stesso Autore, che
si raffigura in un corale di voci; Giuseppe di
Arimatea, un membro del Sinedrio, “uomo buono”,
è ripreso nell’atto di raccogliere in un calice il
fiotto di vivo sangue mentre sgorga dal costato del
Cristo; Ai piedi della Croce(2011), dipinto
che visualizza dettagli impressionanti, già
visti,altrove, che Montefiore “zuma” in primissimo
piano, forse per dare compiutezza al “frammento”
pittorico.
Credo che il
maestro Montefiore, dopo aver raggiunto nella
rappresentazione visiva l’acme del dolore umano, si
volga verso altre sperimentazioni tematiche, che
sicuramente daranno all’osservatore la possibilità
di stupirsi ancora.
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pubblicato il 1° ottobre 2011
“Cose persone luoghi” del pittore Saverio
Santandrea
di Adriana De Gaudio
Una
ricca antologia di dipinti, eseguiti dal pittore
castrovillarese Saverio Santandrea, nel corso degli
anni, è stata inaugurata, nella Sala delle Arti del
Protoconvento Francescano di Castrovillari, il 15
settembre scorso.
Autentica è la
vocazione artistica dell’Autore. Conosciuto a
scuola, come studente dell’ISA era portato allo
studio della Storia dell’Arte; dopo aver conseguito
la maturità col massimo dei voti, si è poi dedicato
esclusivamente all’Arte.
Una scelta
difficile a comprendersi oggi, considerato che molti
giovani mirano ad accaparrarsi un posto di lavoro di
facile guadagno, che l’arte non dà “pane”, e viene
praticata solo come un hobby oppure utilizzata per
ricavarne prodotti di mercato. Una scelta coerente
dunque questa di Santandrea che gli permette di
operare nel “segreto” del suo studio con dedizione
assoluta, volta alla ricerca di un ideale di
bellezza formale e stilistica.
Il pittore
castrovillarese ha ricevuto una formazione classica.
Dagli artisti del passato egli sceglie idealmente
come maestri il pittore post- impressionista Paul
Cézanne e il pittore metafisico Giorgio Morandi.
Come Cézanne,
Santandrea sente il limite dei pittori
impressionisti, nel modo in cui essi percepiscono
all’aria aperta l’oggetto nella fugacità della
impressione visiva, privandolo della forma, forma
che recupera per dare all’oggetto la durata nel
tempo, in uno spazio costruito dalla propria
coscienza. Ne consegue un sincretismo tra la realtà
esterna e l’interiorità: Santandrea, infatti,
elabora mentalmente ciò che vede dal vero per
trascriverlo sulla tela con i suoi mezzi espressivi:
la linea, il chiaroscuro, i colori, la luce.
Da Morandi
Santandrea eredita la purezza delle forme, rese nel
contorno da una linea essenziale, linea che isola
gli oggetti in un’atmosfera silenziosa di ricordo
metafisico.
La mostra di
Santandrea comprende disegni, nature morte,
ritratti, autoritratti, luoghi.
Le opere grafiche
attestano non solo la padronanza disegnativa
dell’artista ma permette anche di seguire il filo
logico del pensiero del nostro pittore, il quale non
disegna di getto, ma medita su ciò che osserva,
stabilisce un rapporto di empatia con cose e
persone, direi di dialogo, fatto di ascolto, di
domande e risposte.
Un pittore
“filosofo” alla maniera di Cézanne, portato a
cercare il senso della vita nella nostra
quotidianità non certo soddisfacente, così spesso
vuota e deludente. In questo deserto spirituale
sovviene, per grazia divina, l’arte, un mezzo
certamente di salvezza, di riscatto dalla
mediocrità della realtà odierna. Santandrea,
infatti, tramite la sua arte si fa testimone
veridico di un messaggio visivo che è al contempo
sociale, antropologico e culturale, comprensibile a
tutti i livelli.
Osserviamo
attentamente le sue tante nature morte: Sono pagine
di un diario figurativo, intense. Si diversificano
dalle nature morte del Seicento, dove predomina il
monito del memento mori, nel senso che gli
artisti di quel tempo sottolineano la precarietà di
ogni cosa, della vita stessa. La mela “bacata”nel
canestro di frutti di Caravaggio è un chiaro
esempio.
Le nature morte di
Santandrea, pur evocando l’antica pittura per i
colori “ terrosi ”, non sono oggetti “privi di
vita”, al contrario sembrano invitare ad essere
toccati, per respirarne il profumo (Vedasi canestro
con limoni e altre composizioni con melograni o
fiori). Sono composizioni queste, a volte
complesse, che rimandano ancora a Cézanne, per il
chiaro intento di esaltare le forme attraverso l’uso
sapiente dei colori.
Santandrea usa
toni smorzati, passaggi chiaroscurali a volte forti
a volte delicati, pennellate larghe e pausate, in
sintonia, come ho già accennato, al suo temperamento
meditativo e pacato. La luce si sprigiona dalla
materia pittorica; pulsando qua e là, genera
vitalità.
Altro tema
prediletto dall’Autore è la figura. Per Santandrea
dipingere ritratti e autoritratti significa
penetrare, attraverso la fisiognomìa dei soggetti,
nell’interiorità, coglierne il carattere.
Osservando,
infine, i luoghi, i paesaggi, essi esprimono,
attraverso efficaci passaggi tonali o chiaroscurali,
la concreta resa formale e cromatica, la personale
interpretazione di una visione della realtà che
Santandrea coglie non solo con gli occhi ma anche
col cuore. |
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