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EDITORIALI 

Arte pag. 4


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    Editoriali, recensioni e saggi di arte

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pubblicato il 9 marzo 2013

MATTIA PRETI A 400 ANNI DALLA NASCITA

 

Le opere di Mattia Preti, Pittore (Taverna 1613 - La Valletta 1699) già in mostra dal 24 febbraio al 22 aprile, al Museo Civico di Taverna, diretto da Giuseppe Valentino: 27 opere già presenti nella sala espositiva, e altre 50 provenienti da Malta, dal Louvre, da El Prado, dagli Uffizi e da tutti i musei nazionali,  saranno in mostra a Malta, nel Palazzo Magistrale de La Valletta, dal 3 maggio al 7 luglio prossimi.

Da aprile a dicembre a Palazzo Arnone, a Cosenza, si terrà un'altra esposizione, dal titolo "Nulla dies sine Mattia", mentre ulteriori iniziative coinvolgeranno Tropea, Reggio Calabria e Crotone. Insomma, una serie di celebrazioni che si concluderanno esattamente il prossimo anno, il 24 febbraio 2014, a Taverna, con la presentazione dell'Atlante Pretiano, ovvero il percorso relativo all'opera omnia dell'artista.

 Mattia Preti, detto il Cavalier Calabrese, personalità complessa, ebbe una sostanziale organicità di stile. Il suo eclettismo apparente è dato, infatti, dal desiderio di raggiungere rapidamente larghi effetti decorativi sulla traccia dei Veneti dell'ultimo Cinquecento; l'elemento vitale del suo stile sta invece nel proporsi, con chiara visione pittorica, il fondamentale problema chiaroscurale, che, sulle orme del Caravaggio, attraverso G. B. Caracciolo (il Battistello), da un lato, e il migliore Guercino e il Lanfranco, dall'altro, rappresentò sempre la ragione prima della sua arte. Il suo luminismo si attua (anche attraverso complessi propositi di composizione) sempre più decisamente nelle tele raccolte, dove la costrizione dello spazio sembra intensificare nella fantasia dell'artista, nello stesso tempo, il valore chiaroscurale e il sentimento drammatico.

Quel che più conta in lui, è sempre una particolare esigenza di semplificazione, che, provenendo dalla riforma caravaggesca, assume attraverso il Battistello una materia pittorica più ricca, dal Guercino invece una mobilità di chiaroscuro, del tutto diversa, però, dalla stessa maniera del maestro. Una certa rudezza quasi paesana, unita a una spontanea larghezza di squadro nel comporre fanno comunque di lui uno dei più grandi pittori italiani del Seicento. (Cfr: Treccani)

 

Madonna col Bambino tra i santi Michele Arcangelo e Francesco d’Assisi
detta “Madonna degli angeli”
Olio su tela cm.269x192 – Sec. XVII (ottavo decennio) – Museo Civico, Sala “Mattia Preti

 

Il Battesimo di Cristo
Olio su tela cm.140x110 – XVII secolo, sesto decennio ? – Chiesa di Santa Barbara –

I altare laterale a destra

 

Eterno Padre
Olio su tela cm.40x60 – ca.1679 – Chiesa di Santa Barbara – cimasa IV altare, cappella laterale

 

Presentazione di Gesù al Tempio
Olio su tela cm.202x136 – primi anni 1680 – Chiesa di Santa Barbara – I altare laterale a sin.

 

Patrocinio di Santa Barbara
Olio su tela cm.460x305 – anni 1680 – Chiesa di Santa Barbara – altare maggiore.

Opere - © Musei di Taverna - CZ -

 

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pubblicato il 20 Gennaio 2012

MOSTRA

SOPRAFFACTIONS

Galleria Nazionale - Palazzo Arnone - Cosenza

A Cosenza, Palazzo Arnone, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed  Etnoantropologici della Calabria e l’associazione socio culturale “Proposta Universitaria Libera” hanno presentato dal 4 al 19 febbraio 2012 la mostra: SOPRAFFACTIONS COSENZA.

Sopraffactions, progetto nato nel 2009, giunge alla Galleria Nazionale di Cosenza dopo le fortunate tappe di Roma e di Fabriano. Trentasei le opere esposte, tra queste le tele degli artisti cosentini Maria Credidio, Alfredo Granata e Luigia Granata, frutto di una ricerca orientata al confronto, allo scambio e alla contaminazione.

 

 <<La Galleria Nazionale – precisa il soprintendente BSAE della Calabria, Fabio De Chirico - prosegue nella sua apertura verso le espressioni e le ricerche del contemporaneo, a conferma che il museo, in quanto luogo che ospita l’arte, al pari dell’arte, deve incessantemente ridefinire il suo ruolo, sperimentando percorsi alternativi e sollecitando fruizioni innovative>>.

 

Artisti in mostra: Maria Credidio, Alfredo Granata, Luigia Granata, Anna Massinissa, Gabriele Mazzara, Franco Zingaretti, Luigi Ballarin, Gerardo Di Salvatore, Lughia

 

 

 

 

 

 

 

 

Periodo: 4-19 febbraio 2012

Curatore: Giuseppe Salerno

 Associazione Socio Culturale Proposta Universitaria Libera

Presidente: Francesco Iorio

Direttore Artistico: Luigia Granata

Tel.: 3401030071

http://www.mondopul.com

E-mail – info@mondopul.com

 

Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria

Soprintendente: Fabio De Chirico

Coordinamento: Domenico Belcastro 

Ufficio stampa: Silvio Rubens Vivone – Patrizia Carravetta 

Tel.:  0984 795639 fax  0984 71246

E-mail: sbsae-cal.ufficiostampa@beniculturali.it

 

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pubblicato l'8 dicembre 2011

UN MUSEO D’ARTE SACRA A MORANO

“LA VESTE DELLA SPOSA”

 Memoria storica e lettura del territorio

 

 di Maria Zanoni

 

Morano, uno dei centri storici più suggestivi e belli d’Italia, paese “Bandiera Arancione ", unico in Calabria, si arricchisce del Museo d’arte Sacra.

La struttura museale, ideata da tre giovani (Andrea Magnelli, Leonardo Di Luca e Roberto Coscia de Cardona, sostenuti da Don Gianni Di Luca, Parroco della Collegiata della Maddalena), va ad aggiungersi al Museo di Storia dell’Agricoltura e della Pastorizia, a quello Naturalistico “Il Nibbio”, alle altre Chiese-museo, ricche di pregevoli opere d’Arte ed al Castello normanno che, nel contesto paesaggistico naturale del Parco del Pollino, fanno di Morano una “perla”.

 

La Mostra permanente allestita nella Chiesa del Carmine, da tempo in disuso per le normali funzioni, ha lo scopo di raccontare un brano di storia della Congregazione del Carmine e della Collegiata della Maddalena attraverso paramenti sacri, argenti ed incisioni, un patrimonio d’Arte del Barocco e del Settecento, miracolosamente scampato all'oblio del tempo ed all'incuria degli uomini.

 

La sezione riservata ai Paramenti sacri è riconducibile alla produzione manufatturiera ed artistica che va dal periodo Barocco alla fine del 1800, che utilizzava sete e damaschi provenienti dalle filande moranesi e napoletane. Particolare rilevanza rivestono le donazioni di Donna Maria Rosa Pignatelli, moglie del Principe Spinelli, riconoscibili dagli stemmi del nobile casato ivi apposti.

 

La sezione di argenteria sacra, in gran parte inedita, è arricchita da suppellettili liturgiche provenienti la laboratori argentieri napoletani; tra cui la splendida Croce Reliquiaria in lamina d'argento del 1730.

 

Nella sezione Arredi Sacri, si può ammirare una colonna di orologio a pendolo in stile Rococò, opera dei Maestri Fusco che operarono a Morano alla fine del Settecento.

Una sezione è riservata alle antiche Pergamene.

Nella Chiesa del Carmine, fondata nel 1568, ora sede del Museo d'Arte Sacara, si può ammirare anche un piccolo organo positivo del '700, di anonimo, dipinto da Gennaro Cociniello.

 

 

Questa encomiabile operazione culturale, nata dalla iniziativa privata di tre giovani volontari, prestati al servizio della conservazione dei Beni Culturali della loro cittadina, ha creato un prodotto culturale che deve essere fruito dalla collettività.

Questi beni sacri, ripuliti dalla polvere e raccolti nelle teche raccontano storia, se inseriti in un giusto circuito di “conoscenza – conservazione – valorizzazione e comunicazione”. Solo così il Museo assume un carattere “dinamico”.

 

Il Museo cessa, così, di essere un luogo dove conservare e custodire oggetti, in un’atmosfera spenta e morta di abbandono, e diventa uno strumento di recupero della propria storia ed anche di sviluppo economico.

Il museo, in quanto sistema di comunicazione, può diventare uno strumento di interazione con la società circostante capace di raggiungere tutto il tessuto sociale attraverso l’attivazione di un circuito di lettura del territorio, capace di rafforzare sempre più il senso d’identità dei luoghi, in grado di generare un positivo sentimento di appartenenza e di produrre un utile effetto di trascinamento, d’interesse e di studio, oltre che di richiamo turistico.

 

E’ necessario creare una dinamica di crescita culturale ed economica, stabile nel tempo, che si basi su programmi di comunicazione e di promozione svolti in sinergia tra Enti pubblici, Istituzioni culturali ed Associazioni di categoria. E per questo sono necessarie risorse, sinergie tra pubblico e privato, per una concreta azione di promozione dell’educazione alla tutela del patrimonio culturale, a cominciare dalla Scuola, agenzia della cultura in grado di formare la coscienza della partecipazione, preparare al futuro, aiutando la formazione di nuove coscienze, volte al miglioramento della qualità della vita in questa nostra complessa società postindustriale.

È necessario il coinvolgimento del mondo della scuola in un'attività conoscitiva e partecipativa di notevole importanza per le giovani generazioni, spinte da un'esigenza di identità dovuta all'alienante sradicamento dalle matrici culturali originarie.

La Scuola deve guidare all’uso didattico del territorio, creando visite guidate e percorsi culturali tra musei, biblioteche e parchi, luoghi depositari della memoria storica, della identità, che devono essere conosciuti, rispettati, visitati e capiti.

Sono necessarie azioni di creazione o di potenziamento di siti web; non si può pensare di realizzare un museo senza prestare attenzione a questo universo tecnologico che influenza la struttura sociale, culturale e ambientale.

Bisogna avviare un sistema coordinato di promozione tra musei, beni artistici paesaggistici ed enogastronomici; e attivare collegamenti con i sistemi di turismo ambientale a livello nazionale.

Questa realtà deve diventare dinamica e interattiva. Questo museo deve diventare punto di scambio comunicativo, un museo che parla alla gente, racconta storia, un museo diffuso, in stretto rapporto con il territorio, l’insieme di musei, chiese, tradizioni, per rileggere le vicende storiche della comunità moranese.

 

Deve essere organizzato; tale organizzazione può essere incardinata nella rete dei musei locali e quelli regionali. La programmazione delle attività e delle risorse deve essere operata congiuntamente fra tutte le istituzioni, con accordi di programma, protocolli d’intesa tra Comune, regione e Ministero dei Beni Culturali. La salvaguardia dei patrimoni e la produzione di servizi al pubblico sono possibili anche con i tetti di spesa attuali, esigui.

Bisogna creare una rete museale che coinvolge diversi aspetti della realtà socio-economica. E Morano ha tutte le qualità per farlo.

I beni culturali sono un misto di economia e cultura.

E la cultura è l’unica chiave che può aprire le porte di un nuovo rinascimento della Calabria.

 

Esposizione permanente di Arte Sacra “LA VESTE DELLA SPOSA”

Chiesa del Carmine  - piazza Giovanni XXIII  - Morano Calabro  -  CS

 

Per info, prenotazione visite, orari di apertura Museo:

 

Andrea Magnelli – 3460589400

Leonardo Di Luca – 3495774380

 Roberto Coscia de Cardona - 3407044684

 

 

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pubblicato l'8 dicembre 2011

ARTE SVELATA

Capolavori di Cosimo Fanzago.

Il restauro delle sculture dal ciborio della Certosa di Serra San Bruno

alla Galleria Nazionale di Cosenza fino al 29 gennaio 2012

Palazzo Arnone

 

Nel 1631 durante il priorato di don Ambrogio Gasco viene dato incarico a Cosimo Fanzago (Clusone,1591 – Napoli, 1678) di realizzare il monumentale altare-ciborio della Certosa di Santo Stefano del Bosco a Serra San Bruno, smembrato a seguito del terremoto del 1783 e rimontato pressoché integralmente, attorno al 1837, nella chiesa dell’Addolorata a Serra San Bruno.

 

Dell’imponente impresa del maestro restano oggi nel museo d’arte sacra del duomo di Vibo Valentia alcuni mirabili manufatti bronzei raffiguranti quattro angeli oranti; due angeli reggicanestro; San Lorenzo, santo Stefano, san Bruno, San Martino e un  frammento architettonico. Proprio a questo straordinario progetto e corpus di opere fanzaghiane la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria dedica Arte svelata. Capolavori di Cosimo Fanzago. Il restauro delle sculture dal ciborio della Certosa di Serra San Bruno.

 

Putto

 

angelo retro

 

San Lorenzo

San Martino

La mostra, curata da Fabio De Chirico con il coordinamento scientifico di Rosanna Caputo, è occasione straordinaria per ammirare i capolavori del ciborio serrese, riportati all’antico splendore dopo un attento restauro e per conoscere la complessa figura di Cosimo Fanzago, personalità dominante il panorama della scultura secentesca napoletana.

 

La mostra ARTE SVELATA Capolavori di Cosimo Fanzago. Il restauro delle sculture dal ciborio della Certosa di Serra San Bruno potrà essere visitata fino al 29 gennaio 2012. Fino al 31 dicembre 2011 con il seguente orario: 10.00-18.00 da martedì a sabato (escluso i festivi); domenica 11 dicembre 2011 dalle ore 14.00 alle ore18.00. Dal primo al 29 gennaio 2012 da martedì a domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00.

 

Cura: Fabio De Chirico

Coordinamento scientifico: Rosanna Caputo

 

Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria

Soprintendente: Fabio De Chirico

Ufficio stampa: Silvio Rubens Vivone – Patrizia Carravetta 

tel.:  0984 795639 fax  0984 71246

e-mail: sbsae-cal.ufficiostampa@beniculturali.it

 

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pubblicato il 16 ottobre 2011

Opere penitenziali di Ulrico Montefiore

 di Adriana De Gaudio

L’ultima produzione pittorica di Montefiore esposta al Museo del Presente di Rende (CS) crea choc visivo ed emotivo per il linguaggio provocatorio e sconcertante che egli usa nel rappresentare temi religiosi su tele di grande formato, ottenute con l’ ausilio del computer. Ai benpensanti la mostra fa istintivamente arricciare il naso e chiudere gli occhi. Opere terrificanti, che sconfessano non solo l’estetica rinascimentale,  (ad eccezione dell’arte di Donatello e di Masaccio) ma fanno tabula rasa di tanta bella pittura della Storia dell’Arte italiana.

Il “brutto” di Montefiore fa ricordare, in certo qual modo, alcune opere inquietanti dello scultore quattrocentesco Donatello; l’artista fiorentino, superando il canone medioevale, secondo il quale bisognava raffigurare orripilanti i diavoli dei Giudizi Universali e belle le immagini della Madonna, era convinto che l’esperienza della vita, la sofferenza,  se da un lato abbruttisce, dall’altro matura nell’uomo la saggezza, la bontà e la santità interiore.

 

L’artista castrovillarese, diversamente, meditando sull’odierna realtà sociale mistificata e mistificatrice, la quale cerca in paradisi artificiali di eludere la sofferenza e la paura della morte, svela la vacuità dell’attuale vivere edonistico, e mostra crudelmente la verità del dolore umano, radicato al peccato originale. Da alcuni anni Montefiore, tormentato dal mistero dell’iniquità, cerca il senso del dolore umano, e lo trova in Cristo in Croce, eccelso esempio di Vittima innocente sacrificale, che ha versato il suo sangue per riscattare i peccati del mondo. Nella sua appassionata indagine Montefiore attinge a diverse fonti: i testi biblici, le Laude, che si prestano alla sacra rappresentazione, e il Miserere del monaco Iacopone da Todi, personalità complessa, fervido credente, affine, per certi lati, al suo passionale carattere. Nella straordinaria operazione rapsodica di Montefiore si individuano oltre alle fonti letterarie anche quelle artistiche. Con destrezza singolare egli assimila esperienze tratte da scultori romanici e gotici d’oltralpe, da artisti italiani (Giotto, G. Bellini) e da pittori  rinascimentali tedeschi: Mathias Grünewald, Lucas Cranach, Hans Holbein, dal pittore fiammingo Hieronymus Bosch, i quali, rifiutando l’idealizzazione formale dell’iconografia sacra e l’ intento moralistico, hanno raffigurato temi religiosi in modo del tutto personale, con asprezza realistica.

 

La produzione matura di Montefiore porta, nel suo forbito lessico pittorico, l’impronta non solo del segno di questi artisti del passato, che hanno avuto l’ardire di operare controcorrente, ma anche, di ricordi picassiani.

Per affinità elettiva il pittore calabrese potrebbe affiancarsi ad altri artisti del Novecento per come essi hanno reso espressiva l’atrocità fisica del Cristo Crocifisso. Ad esempio: il pittore tedesco Lovis Corinth, nella Crocifissione del 1907 e nel Cristo rosso, si  riallaccia, anche egli al pittore Grünewald, dal quale mutua il toccante pathos, che altera l’anatomia del corpo del “suo”Cristo, ripreso nello spasmo dell’agonia; il pittore fauve Emil Nolde, che deformando la figura del Cristo, rischia, come Montefiore, la caricatura (La Crocifissione, 1912). Il pittore inglese Graham Sutherland nella Crocifissione (1946), esasperando la sofferenza, priva il Cristo di ogni attributo divino; in seguito accoglie nella sua pittura immagini repellenti che evocano il “bestiario”goticheggiante del Medioevo.

 

Figure bestiali che vediamo in molti dipinti di Montefiore, trapiantate sulle teste dei penitenti. L’esasperazione del dolore trácima nel corpo umano, ne altera la fisiognomica, fino a giungere a una metamorfosi animalesca.

Dopo aver esaminato nel contesto le opere di Montefiore, ci potremmo chiedere: la svolta nell’arte del maestro calabrese, dopo la “bella ed elegante” pittura della prima maniera, caratterizzata da una linea euritmica, che rende le forme sinuose, e dai colori dolci e delicati, di memoria settecentesca, è generata dal bisogno di originalità, oppure il pittore, catturato nel profondo del cuore dal mistero dell’iniquità e del dolore umano, cerca col pennello-bisturi di sviscerare, vivisezionando le membra del Cristo uomo, la verità salvifica?

 

Che sia una pittura di forte effetto rappresentativo  Montefiore ne è consapevole; per certo sa pure che non si può sradicare il male, il quale continua misteriosamente a straziare altre vittime innocenti. Da oltre duemila anni si segnalano innumerevoli martiri della violenza familiare, di morti bianche, di bambini trucidati o seviziati, di disastri bellici, di cataclismi naturali o di incidenti occasionali. I martiri, vivendo il supplizio di Cristo nello strazio della propria carne, “compensano” quel che è mancato al martirio di Gesù : questa è la spiegazione che San Paolo dà al dolore umano.

 

Montefiore,  parimenti a Mel Gibson, indugia, attraverso le tante re-interpretazioni della Crocifissione e la Passione di Cristo, sull’efferatezza dell’omicidio e/o deicidio, senza correre il rischio d’imboccare un percorso eretico. Direi che egli è un inquieto cercatore di Dio attraverso Cristo, figlio dell’uomo. Le opere penitenziali, anche se non sono destinate ad essere inserite nelle Chiese, attestano proprio il travaglio interiore dell’Artista, che vive drammaticamente il rapporto uomo- mondo, uomo-Dio.

Dall’analisi di alcuni dipinti immaginiamo di cogliere lo “sfogo” di liberazione interiore di una sofferenza che speriamo si evolva verso esiti meno icastici.

 

Hostia( 2010) è un dipinto che si ispira all’assassinio del vescovo Luigi Padovesi, avvenuto il 3 giugno 2010. Il titolo Hostia, offerta sacrificale, allude a un’ innocente vittima. Sulla croce  sta inchiodato il prelato, il quale ha la mitria sul capo, indossa la casula sbrindellata, volge lo sguardo dolente al cielo, esala affannosamente l’ultimo sospiro. Il pastorale, attributo vescovile, gli trapassa la gola. I chiodi conficcati nelle mani e nei piedi sono ben evidenziati. Sulla croce si affacciano tre volti del Cristo, ripresi nell’agonia, morte e resurrezione. Nel cielo plumbeo balugina  l’arcobaleno, segno di speranza e di gloria dopo il martirio.

 

 Testimoni oculari (2010) è, tra le tante Crocifissioni, la composizione, a mio avviso, più unitaria stilisticamente, per l’armonica rispondenza di linee curve. L’arcobaleno circolare, dietro la croce, inscrive con la sua piena rotazione la circonferenza delle braccia di Cristo; l’aureola, le forme curvilinee dei muscoli pettorali, dei polpacci delle gambe, dei ginocchi valghi , dei talloni dei piedi incrociati, propri dell’agnello condotto al macello. Nella parte sottostante, secondo l’iconografia tradizionale,  stanno la Madre e San Giovanni, maschere tragiche con occhi sgranati e bocche sdentate, un’altra figura con le palpebre socchiuse, quasi a non voler guardare né ascoltare l’urlo disumano del Cristo agonizzante. Fa da sfondo un cielo variegato di nubi.

 

Morte del sole ( 2010) – In questo dipinto 100x220, più volte rielaborato, il richiamo a M. Grünewald  è evidente. In primo piano, Il Cristo in croce, oltraggiato dalla sofferenza

più efferata e disumana che la Storia ricordi, presenta fattezze animalesche, davvero

ripugnanti. Il Cristo, secondo le Scritture, rappresenta il Sole della nuova Era; questo Sole, alle tre pomeridiane, si eclissa all’orizzonte, ma nel buio del globo riflette la luce dell’aurora che si profila  in variegate sfumature.

 

Altra opera, d’intensa espressività e coerenza stilistica, la Pietà per un povero figlio  (2010), è un’originale interpretazione dello schema compositivo tradizionale della Pietà nell’Arte. Fa da sfondo alla scena un cielo sfavillante di colori sfumati. A sinistra, la Madre, vestita con un umile e ruvido saio di colore marrone chiaro, regge tra le braccia il Figlio morto. Colpiscono alcuni particolari raccapriccianti: i visi di entrambi, deformati dal dolore; le mani scheletriche del Cristo sembrano artigli che raspano la terra. A destra, in alto, irrompe gigantesca la testa del Padre Eterno, ripresa così come la raffigura il grande Michelangelo nella Creazione di Adamo nella Cappella Sistina. Media il rapporto tra il gruppo di figure a sinistra e Dio Padre a destra la colomba bianca, simbolo dello Spirito Santo. Ė evidente che Montefiore voglia ricordare la Trinità.

 

Altre opere meriterebbero uguale attenzione come: il Grande pianto (2010), dove il dolore della tragedia cristiana coinvolge da vicino lo stesso Autore, che si raffigura in un corale di voci; Giuseppe di Arimatea, un membro del Sinedrio, “uomo buono”, è ripreso nell’atto di raccogliere in un calice il fiotto di vivo sangue mentre sgorga dal costato del Cristo;  Ai piedi della Croce(2011), dipinto che visualizza dettagli impressionanti, già visti,altrove, che Montefiore “zuma” in primissimo piano, forse per dare compiutezza al “frammento” pittorico.

Credo che il maestro Montefiore, dopo aver raggiunto nella rappresentazione visiva l’acme del dolore umano, si volga verso altre sperimentazioni tematiche, che  sicuramente daranno all’osservatore la possibilità di stupirsi ancora.

                                                    

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pubblicato il 1° ottobre 2011

“Cose persone luoghi” del pittore Saverio  Santandrea

di Adriana De Gaudio

Una ricca antologia di dipinti, eseguiti dal pittore castrovillarese Saverio Santandrea,  nel corso degli anni, è stata inaugurata, nella Sala delle Arti del Protoconvento Francescano di Castrovillari, il 15 settembre scorso.

Autentica è la vocazione artistica dell’Autore. Conosciuto a scuola, come studente dell’ISA era portato allo studio della Storia dell’Arte; dopo aver conseguito la maturità col massimo dei voti, si è poi dedicato esclusivamente all’Arte.

Una scelta difficile a comprendersi oggi, considerato che molti giovani mirano ad accaparrarsi un posto di lavoro di facile guadagno, che l’arte non dà “pane”, e viene praticata solo come un hobby oppure utilizzata per ricavarne prodotti di mercato. Una scelta coerente dunque questa  di Santandrea  che gli permette di operare nel “segreto” del suo studio con dedizione assoluta, volta alla ricerca di un ideale di bellezza formale e stilistica.

Il pittore castrovillarese ha ricevuto una formazione classica. Dagli artisti del passato egli sceglie idealmente come maestri il pittore post- impressionista Paul Cézanne e il pittore metafisico Giorgio Morandi.

Come Cézanne, Santandrea sente il limite dei pittori impressionisti, nel modo in cui essi percepiscono all’aria aperta l’oggetto nella fugacità della impressione visiva, privandolo della forma, forma che recupera per dare all’oggetto la durata nel tempo, in uno spazio costruito dalla propria coscienza. Ne consegue un sincretismo tra la realtà esterna e l’interiorità:  Santandrea, infatti, elabora mentalmente ciò che vede dal vero per trascriverlo sulla tela con i suoi mezzi espressivi: la linea, il chiaroscuro, i colori, la luce.

 

Da Morandi Santandrea eredita la purezza delle forme, rese nel contorno da una linea essenziale, linea che isola gli oggetti in un’atmosfera silenziosa di ricordo metafisico.

La mostra di Santandrea comprende disegni, nature morte, ritratti, autoritratti, luoghi.

 

Le opere grafiche attestano non solo la padronanza disegnativa dell’artista ma permette anche di seguire il filo logico del pensiero del nostro pittore, il quale non disegna di getto, ma medita su ciò che osserva, stabilisce un rapporto di empatia con cose e persone, direi di dialogo, fatto di ascolto, di domande e risposte.

 

Un pittore “filosofo” alla maniera di Cézanne, portato a cercare il senso della vita nella nostra quotidianità non certo soddisfacente, così spesso vuota e deludente. In questo deserto spirituale sovviene, per grazia divina, l’arte, un mezzo certamente di salvezza, di riscatto dalla mediocrità della realtà odierna. Santandrea, infatti, tramite la sua arte si fa testimone veridico di un messaggio visivo che è al contempo sociale, antropologico e culturale, comprensibile a tutti i livelli.

Osserviamo attentamente le sue tante nature morte: Sono pagine  di un diario figurativo, intense. Si diversificano dalle nature morte del Seicento, dove predomina il monito del memento mori,  nel senso che gli artisti di quel tempo sottolineano la precarietà di ogni cosa, della vita stessa. La mela “bacata”nel canestro di frutti di Caravaggio è un chiaro esempio.

 

Le nature morte di Santandrea, pur evocando l’antica pittura per i colori “ terrosi ”, non sono oggetti “privi di vita”, al contrario sembrano invitare ad essere toccati, per respirarne il profumo (Vedasi canestro con limoni e altre composizioni con melograni o fiori).  Sono composizioni queste, a volte complesse, che rimandano ancora a Cézanne,  per il chiaro intento di esaltare le forme attraverso l’uso sapiente dei colori.

 

Santandrea usa toni smorzati, passaggi chiaroscurali a volte forti a volte delicati, pennellate larghe e pausate, in sintonia, come ho già accennato, al suo temperamento meditativo e pacato. La luce si sprigiona dalla materia pittorica; pulsando qua e là, genera vitalità.

Altro tema prediletto dall’Autore è la figura. Per Santandrea dipingere ritratti e autoritratti significa penetrare, attraverso la fisiognomìa dei soggetti, nell’interiorità, coglierne il carattere.

Osservando, infine, i luoghi, i paesaggi, essi esprimono, attraverso efficaci passaggi tonali o chiaroscurali, la concreta resa formale e cromatica, la personale interpretazione di una visione della realtà che Santandrea coglie non solo con gli occhi ma anche col cuore.

 

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