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EDITORIALI
Etnie pag. 4
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editoriali,
recensioni e saggi su Etnie
le
minoranze etnico-linguistiche storiche in Italia
Etnie di Calabria
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pubblicato il 31 gennaio 2011
Gli Armeni: una presenza etno -
religiosa
tra Oriente ed Occidente
Un popolo profondamente cristiano
di Pierfranco Bruni
La
cultura armena č una di quelle presenze etniche
che andrebbe studiata con pił attenzione e con
un particolare riguardo soprattutto ai processi
antropologici e religiosi che hanno una profonda
matrice cristiana. Non puņ essere pił non
considerata una cultura a sé rispetto a quelle
che vengono normalmente tutelate da una legge
che salvaguarda e valorizza le lingue
minoritarie (ma con le lingue chiaramente
entrano in gioco anche gli aspetti etno
antropologici e letterari.
Mi riferisco certamente ad una cultura che ha
antiche radici e ad una minoranza che va
considerata storica. Ha un patrimonio artistico
e letterario abbastanza consistente e
considerevole anche dal punto di vista di una
letteratura che ha saputo esprimere una forte
tensione sia politica che esistenziale.
Il pił delle volte la presenza armena in Italia
e in Europa la si fa risalire intorno ai primi
decenni del Novecento in riferimento al massacro
e al genocidio degli armeni riferito al 1915
(cč da precisare che il termine genocidio
risale al 1943 e il termine fu creato da
Raffaele Lemkel e si riferiva, allora,
esclusivamente allo sterminio degli armeni
durante la prima guerra mondiale) ma in Italia
la loro presenta la si puņ registrare anche in
quel patrimonio storico artistico che č
diventato un dato tangibile di una testimonianza
che parla attraverso una griglia simbolica.
Uscendo dalla storia e dalla tragedia della
storia del genocidio (fatto e dato che comunque
resta sempre profondo e determinante nellanima
di un popolo) la dimensione cristiana del popolo
armeno č dentro una manifestazione espressa
dalle strutture che rappresentano il cammino o
la diaspora di un popolo che si č trovato a
vivere tutti i passaggi della temperie ottomana,
musulmana e turca.
Gli armeni, una piccola geografia tra i paesi
russi e turchi, ha sempre cercato di integrarsi
allinterno di un mondo profondamente euro
occidentale. Un dialogo mai interrotto tra la
lingua e letnia e ciņ lo si evince proprio dai
codici letterari che costituiscono una delle
chiavi di lettura pił importanti per tentare di
capire la spiritualitą e la tensione umana dei
passaggi epocali vissuti dal popolo armeno.
In Pietre sul cuore Diario di Varvar, una
bambina scampata al genocidio degli armeni, a
cura di Alice Tachadjian (Sperling), si puņ
leggere:
quando ancora ero una fanciulla/e ho
cominciato a parlarti,/mia lingua armena,/a
partire da quel giorno/come un gioiello ti ho
stretto al cuore.
La lingua come fenomeno condizionante in un
processo in cui lelemento etnico č dentro una
identitą cristiana e la lingua č la
rappresentazione di una ereditą che non puņ
perdersi, che non puņ andare persa, che vive
dentro i luoghi del pensare di una civiltą.
In fondo č una questione che tocca tutte le
minoranze. I due riferimenti certi per non
disperdere il vero valore de un popolo č nella
tradizione e la tradizione si esplica sia grazie
alla religione sia grazie alla lingua. Ancora
nel testo citato si legge:
in esilio, la
religione e la lingua sono la garanzia della
sopravvivenza di un popolo. Dove vengono meno
questi due porti viene meno la matrice
ereditaria anche se alcune volte č necessario
condividere una osservazione che recita: Cerca
di dimenticare, perché, se ricorderai, non
potrai pił campare.
La nostalgia č la pił grave delle malattie, per
noi immigrati. La nostalgia č un concetto
chiave nella visione antropologica delle
minoranze. Perché queste minoranze non vivranno
pił realmente la geografia del ritorno. E il
ritorno stesso diventa una assonanza mitica
nellesistere dei popoli minoritarie che hanno
abbandonato il proprio Paese di origine. Il
popolo armeno č stato attraversato da passaggi
tragici. Non vanno dimenticati. Restano in una
memoria le cui radici hanno una profonditą
fortemente cristiana.
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pubblicato il 13
dicembre 2010
Risorgimento, Etnie e contributo
delle minoranze linguistiche
nel Regno di Napoli
di Pierfranco
Bruni
In
un tempo di processi storici e di riletture
intorno allUnitą dItalia e le sue celebrazioni
insiste un legame che ha una sua valenza
particolare e tocca aspetti relativi alla lingua
e alla funzione identitaria di un popolo, ma non
si puņ prescindere da quelle valenze etniche che
hanno formato le culture e la civiltą nazionale
di un popolo. La civiltą del popolo italiano
nasce intorno ad un intreccio di percorsi etnici
e di fattori strettamente antropologici.
Il concetto di
Tradizione resta centrale in quel passaggio
nevralgico tra la cultura post rinascimentale e
pre risorgimentale. Le pressioni proveniente
dallIlluminismo sono tutte dentro i primi anni
del 1800, ovvero nel legame tra cultura delle
Insorgenze e Risorgimento post unitario. Le
lingue, le koinč, le etnie e il concetto stretto
di etnos sono elementi formativi nella cultura
nazionale. Dentro questa cultura storia e
letteratura si intrecciano. Risorgimento, Unitą
dItalia e Minoranze linguistiche. Un percorso
che ha una sua precisa valenza sia sul piano
istituzionale che su quello direttamente
culturale. Ed č proprio su questa tematica che
le riflessioni hanno una loro particolare
incidenza nella dialettica storica.
Mi pare
incontrovertibile ridiscutere sul ruolo sia di
Garibaldi tra le comunitą Italo Albanesi sia
di Francesco Crispi, statista di origini
Arbereshe della Sicilia. Sono due punti di
riferimento. Come resta un punto di riferimento
la discussione intorno alla problematica
inerente il brigantaggio, le insorgenze e il
ruolo di Francesco II e Maria Sofia allinterno
del Regno delle Due Sicilie e alla difesa ultima
di Gaeta.
La domanda che
spesso ci siamo posti e non smettiamo di
sottolineare č ancora quella che riguarda il
contributo delle minoranze linguistiche dato
alla costruzione dellUnitą dItalia.
Un fatto č
certo. Soprattutto gli Italo Albanesi hanno
visto nel Risorgimento una continuitą spirituale
e politica del concetto di identitą e di
appartenenza. Ma il Risorgimento in sé non
significa immediatamente Unitą dItalia.
Ed č proprio
su questo argomentare che stiamo sviluppando una
serie di incontri e di confronti. Ecco perché la
mostra Il contributo delle minoranze
linguistiche nell'Unitą d'Italia", č un progetto
del Ministero per i Beni e le Attivitą Culturali
sul quale siamo lavorando alla luce di una
rilettura di un processo sia storico che
letterario, costituisce uno stimolo per aprire
una vasta dialettica su due elementi centrali:
Risorgimento e identitą nazionale.
Il
contributo delle minoranze linguistiche
nell'Unitą d'Italia" č, comunque, anche il tema
di una Mostra pannellare con un percorso
bibliografico ragionato, nella ricorrenza dei
150 anni dell'Unitą d'Italia, in corso di
svolgimento nella Sala di Carosino (Ta) del
Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi,
organizzata dall'IRAL e dal Ministero per i Beni
e le Attivitą Culturali - Direzione Generale per
le Biblioteche, gli Istituti Culturali e il
Diritto d'Autore, (direttore Maurizio Fallace)
in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura
del Comune di San Marzano di San Giuseppe
(Comunitą di lingua Arbereshe). Infatti, la
mostra si sposterą nel mese di gennaio 2011 nei
saloni del Palazzo della Cultura di San Marzano.
La mostra
prende in considerazione personalitą storiche e
letterarie del mondo Italo - Albanese che hanno
contribuito all'identitą nazionale. Si tratta di
un argomentare importante in quanto sono proprio
personalitą che vivono la cultura del
bilinguismo ad aver rafforzato l'idea nazionale
italiana.
La mostra č
divisa in pannelli con immagini e particolari
storici con elementi didattici e una
rappresentazione significativa di testi storici,
con bibliografia, che documentano il rapporto
tra minoranze Arbereshe e Unitą d'Italia. Una
Mostra tra immagini, commento e libri storici e
letterari.
Nella Mostra
sono stati puntualizzati aspetti su personaggi
come Francesco Crispi (di origine Arbereshe
della Sicilia, nato il 1818 e morto il 1901),
statista di grande fama e per due volte
Presidente del Consiglio dei Ministri, Guglielmo
Tocci (1827 - 1916), Pasquale Scura (Calabrese
di Vaccarizzo Albanese, nato il 1791 e morto il
1868 a Napoli, fu Ministro di Grazia e Giustizia
con Garibaldi) sino a due costituzionalisti
contemporanei quali Costantino Mortati (1892 -
1985, uno dei padri della attuale Costituzione)
e Gennaro Cassiani (1903 - 1978), pił volte
Ministro della Repubblica Italiana.
Ma
l'attenzione č rivolta anche alla presenza di
Giuseppe Garibaldi tra gli Italo - Albanesi, i
quali parteciparono numerosi alle imprese
garibaldine. L'obiettivo č anche quello di
rileggere il quadro storico pre Unitą d'Italia e
il coinvolgimento nel progetto risorgimentale
delle comunitą di lingua e di etnia arbereshe.
Queste comunitą, pur portandosi dietro una
appartenenza culturale e valoriale importante,
sono riuscite a svolgere un compito di estrema
importanza e di collante con i Paesi Italo -
Albanesi, tanto che Garibaldi trovņ ospitalitą
in queste comunitą all'insegna del tricolore.
Il Ministero
per i Beni e le Attivitą Culturali svolge un
ruolo pregnante in questa occasione perché non č
soltanto la storia una chiave di lettura, ma la
storia della diaspora di queste comunitą diventa
storia unitaria sotto un'unica bandiera puntando
alla difesa della lingua e al confronto tra
culture. Lo Mostra offre dei frammenti in un
percorso che si apre a ventaglio sulla
problematica unitaria all'insegna anche delle
celebrazione del 150 anniversario dell'Unitą
d'Italia.
Nel corso
della serata si č svolta, tra l'altro, una
relazione scientifica sul tema: "Da Pasquale
Scura a Francesco Crispi. Due statisti Italo -
Albanesi nella storia dell'Unitą d'Italia". Un
particolare suggestivo e stimolante per una
prospettiva dialettica sia sul piano storico,
sia su quello giuridico che culturale in senso
pił generale. La storia, allinterno della
nostra ricerca, viaggia insieme ai processi
antropologici. Cč un valore etnico che
interessa sia la lingua che le ereditą che
toccano direttamente il Regno di Napoli e
successivamente il Regno delle Due Sicilie.
Una Mostra e
un incontro, su un itinerario istituzionale,
all'insegna della consapevolezza e della
comprensione delle minoranze linguistiche in un
raccordo con la temperie del Risorgimento.
Napoli ha rappresentato sempre una geografia
complessa allinterno dei rapporti tra identitą
nazionale e monarchia.
Napoli,
dunque, come Regno di Napoli ma anche come Regno
delle Due Sicilie. Allinterno di questa
geografia gli Italo Albanesi hanno giocato un
ruolo significativo che tuttora ha una sua
valenza istituzionale se si pensa agli assetti
territoriali sia letterari che linguistici. Le
minoranze linguistiche hanno dato un contributo
proprio nella capacitą di un dialogo tra ereditą
e appartenenza. Scrittori come Girolamo De Rada
č riuscito a far dialogare la storia del Regno
di Napoli con lAlbania.
UnAlbania e
un Regno di Napoli che hanno sempre raccordato
valenze non solo culturali ma anche economiche.
Questa storia č nella continuitą di un dialogo
costante tra la civiltą del Sud e il
Mediterraneo. Se lUnitą dItalia č stata
realizzata con il contributo delle minoranze
linguistiche non possiamo neppure dimenticare
che lazione popolare di un Risorgimento
incompiuto che passa attraverso le Insorgenze e
Francesco II e Maria Sofia annobvera personalitą
proveniente anche da quelle culture minoritarie.
Ciņ che Giordano Bruno Guerri chiama guerra
civile del Risorgimento vive dentro quei
processi etnici che sono incontro e scontro di
processi storici.
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pubblicato il 7
Settembre 2010
ieri era la tipica famiglia
arbėreshė, oggi sono le imprese plurifamiliari
moter u nėnghė thė garova nč thė garņgnhė
di Atanasio Pizzi
La famiglia arbėreshė del 1476 si caratterizza
per le modalitą qui di seguito elencate:
per ampiezza, considerevolmente maggiore;
per struttura, ottenuta dalla fusione di
pił nuclei coniugali in un unico complesso,
detto esteso;
per natura, quale comunitą di vita
oltreché di lavoro, unitą produttiva e
affettiva.
Caratteristiche che nel corso di cinque secoli
sono man mano sbiadite.
La famiglia arbėreshė che basava la sua economia
nella pastorizia e le risorse agricole, da
numeroso gruppo familiare, essendo nel tempo
cambiato il modello di vita e le risorse non
sono pił quelle di allora, oggi ha assunto la
tipica formula di famiglia urbana.
L'ampiezza della famiglia pastorale e agricola
arbėreshė, appare storicamente determinata da
un complesso di fattori, fondamentale era,
infatti, l'influenza della struttura familiare,
estesa e quindi della condizione sociale: le
forme familiari essendo particolarmente legate
alla conduzione di terre, in affitto o anche in
piccola proprietą.
Indiscutibilmente, le famiglie arbėreshė a
formula plurifamiliare presenta notevoli
vantaggi sotto il profilo della razionalitą.
Non pił tre stalle, non pił tre vigneti, non pił
tre dispersi appezzamenti per la coltura di
pieno campo: e soprattutto non pił tre
coltivatori costretti ad un assurdo
enciclopedismo.
Il primo di essi potrą quindi specializzarsi
nellallevamento, il secondo nelle colture
arboree, il terzo nelle altre vegetali.
Senza contare che le ingrandite dimensioni
economiche della famiglia arbėreshė
solleciteranno pił facilmente l'introduzione di
una metodica contabilitą, nonché una pił intensa
presenza negli organismi di mercato.
Di qui una occasione per interessare ad assumere
responsabilitą, nella presenza dei mercati e
degli scambi.
In pratica molte difficoltą devono essere
scontate, ripartire i compiti e le
responsabilitą tra gli uomini e donne non č
impresa da poco, ma tutti sapendo e riconoscendo
lindubbio bene che si fa nei confronti di tutto
il gruppo, assolvono con religiosa dedizione il
proprio compito.
Un compito puņ essere pił qualificato di un
altro, onde la eventualitą di stabilire norme
precise che diano ad ogni componente il
giusto peso e alla specializzazione di ogni
competenza.
Non si tratta solo di regolare l'amor proprio;
si tratta di ottenere il benessere del gruppo
familiare: operazione che nel credo e nella
forma mentis degli arbėreshė ha fatto la loro
forza.
Essi furono i veri protagonisti della
realizzazione di quel antico progetto pensato e
messo in atto dal Principe Luca Sanseverino di
Bisignano, ovvero rendere fertile e produttivo
il territorio della Calabria Citra, ma solo un
popolo caparbio e solidale come quello
arbėreshė, ligio a quelle antiche regole non
scritte, poteva fare si che divenisse realtą.
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pubblicato il 7
Settembre 2010
PALAZZO
BUGLIARI A S. SOFIA D'EPIRO
e trapėsa
di Atanasio Pizzi
Spazio ideale per i giochi estivi, conca
naturale riconosciuta dai sofioti come
Trapėsa, qui affacciava con tutto il suo
splendore architettonico Palazzo Bugliari.
Costruito intorno al 1835
utilizzando manovalanze Bisignanesi la quale
utilizzava le migliori metodologie di
costruzione in quellepoca.
Incastonato nel naturale declivio aveva nei
fronti esposti a sud e ad ovest il giardino
posto alla stessa quota del piano nobile.
Il giardino rendeva unico il palazzo, essenze
arboree, i vialetti attraverso percorsi floreali
e la fontana circolare con i cigni, era il
luogo tra i pił suggestivi del paese.
Ledificio a pianta pressoché quadrata conteneva
nel prospetto principale, esposto a est, tutti
gli elementi architettonici tipici dei palazzi
nobiliari di inizio ottocento.
A piano terra erano collocati landrone, da cui
attraverso una scala in pietra si accedeva al
piano nobile, i depositi per le derrate
alimentari e le cantine.
Nel primo piano la distribuzione interna
conteneva lo studio, le stanze da letto, il
grande soggiorno con il camino e la cucina.
Gli arredi e la imponente libreria conservavano
ancora indelebili i segni di vita vissuta di una
delle famiglie pił nobili di Santa Sofia.
Ledificio del personale di servizio, annesso al
palazzo, si sviluppava in due livelli: a piano
terra il ricovero per i cavalli e al primo piano
il personale.
Il supportico realizzato nella connessione tra i
due manufatti collegava la piazza con via Epiro,
oltre a consentire il passaggio allaccesso di
servizio posto nella parte posteriore, qui era
collocato anche il locale di accumulo del
carbone.
Il palazzo per pił di centocinquanta anni č
stato testimone delle vicende del nostro paese,
imperturbabile e attento osservatore, ha visto
le trasformazioni edilizie ed orografiche al suo
intorno e su largo
trapėsa.
Ha visto trasformarsi il corpo adibito al
personale di servizio a sede
dellAmministrazione Comunale.
Le vecchie stalle diventare i laboratori della
nascente Scuola Media, dedicata allillustre
compaesano Pasquale Baffi.
Palazzo Bugliari č stato il modello
architettonico a cui hanno tratto ispirazione
nolte famiglie del centro albanofono, che agli
inizio dellottocento elevando il loro potere
economico realizzavano pił dignitose residenze.
Quando ledificio fu donato alla comunitą
sofiota, si auspicava che avesse avuto una degna
destinuazione duso e continuare ad essere punto
di riferimento per la cultura e la formazione
arėreshė.
Da prima abbandonato, poi sede di edilizia
popolare, in seguito interventi di restauro e
recupero funzionale lo hanno modificato
strutturalmente ed architettonicamente.
Davanti allingresso il piccolo e utile
manufatto realizzato in calce e pietra: sieti,
č stato barattato con un anonimo e singolare
marciapiede (!).
Realizzando ladeguamento funzionale della sede
Comunale sono stati copiati verosimilmente tutti
i suoi elementi architettonici della facciata su
largo Trapėsa.
Gli accessi, le vie di esodo, i portali, le
finestre, i cornicioni e naturalmente gli
infissi hanno assunto gli stessi tratti
architettonici dellantico manufatto, creando un
clima di confusione che ha fatto perdere ogni
tipo di riferimento.
In poche parole tutto quello che nella carta del
restauro non č menzionato.
Anche il giardino, č stato oggetto di un
radicale stravolgimento, tale da interrompere
ogni riferimento con lantico e storico palazzo.
Ora finalmente č sede definitiva del Museo
del Territorio e del Costume Arbėreshė;
ma purtroppo ancora oggi non riesce ad emergere
sotto la nuova veste, poichč mancano i fondi e
soprattutto le persone fisiche che sappiano dare
alla struttura il giusto dinamismo e saperlo
condurre nei circuiti etnici che contano.
A mio parere manca la persona che sappia
organizzare il museo adeguatamente, con
specifica qualifica museale e sappia mettere in
risalto le eccellenze sartoriali e tessili,
prodotte dai sofioti tra lottocento e il
novecento.
Non si puņ continuare inesorabilmente ad
affidarsi allinventiva o a mirate, singole e
remote visite, cosģ il museo non avrą mai un
idoneo rilancio.
Ne il suo inestimabile patrimonio fatto di
abiti, di tessuti, corredi, ecc., ecc. che tante
famiglie, fidandosi della struttura, hanno
sapientemente donato avra la ribalta che si
palesava.
Il museo con i suoi bauli di storia rappresenta
una pietra miliare per letnia albanofona di
Calabria Citra e non solo.
Sėn Sofia non puņ continuare ad essere fanalino
di coda dArberia, le sue eccellenze non possono
essere riassunte in unanonima porta azzurra,
nei taralli, alle prospettive interne della
chiesa e stoglitė, queste ultime pur
mancanti dei raffinati e fondamentali elementi
decorativi che le caratterizzano; preferendoli
ad inutili e sterili personalismi.
Noi sofioti abbiamo una nobile storia, fatta di
illustri personaggi grazie ai quali letnia
arbėreshė č conosciute in tutta Europa.
Cosģ facendo si offendono i figli di Sofia
che per le giuste cause hanno dato in cambio la
loro stessa vita.
Sofioti con il solo bagaglio fatto di specifica
preparazione hanno visto aperte le porte dei pił
rinnomati istituti di formazione dItalia o
invitati a presiedere alte cariche
istituzionali.
E a questi personaggi che abbiamo il dovere di
ispirarci in quanto modelli ideali Sofioti.
Illustri personaggi che attendono ancora di
avere licona o lepigrafe giusta in loro
ricordo, abbiamo il dovere di meditare con
adeguata preparazione storica a chi assegnare o
dedicare le sedi istituzionali(!), per non
parlare delle curiose cittadinanze
onorarie.
A questi va tutto il nostro rispetto e stima, ma
non sono loro che con le proprie vicende
personali hanno fatto o fanno la storia del
paese che vale e ci onora. |
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pubblicato l' 11
Agosto 2010
GJITONIA, IERI, OGGI E DOMANI
gjiriu te triesa
. gjitoni te shėmėra
di Atanasio arch. Pizzi
Lorigine delle genti dAlbania rimane ancora
avvolta in un alone di mistero, gli stessi
storici, a tuttoggi non hanno ancora chiarito
definitivamente la discendenza e lorigine di
questo popolo.
Di cui si
scriveva: Non che ponessero in libri alcuna
legge, ma ad imitazione di Licurgo piantavano
gli statuti ne' costumi e nella disciplina per
l'eternitą.
La loro vita
era regolata dalle leggi tramandate oralmente,
di generazione in generazione per secoli e di
seguito unificate dal principe
Lekė Dukagjini.
Il Kanun, riportato in forma scritta dal
padre francescano
Shtjefėn Kostantin Gjeēovsotto
nel XX secolo,poi passate alle stampe nel 1933;
diviso in dodici volumi in cui la cellula su cui
si fonda lorganizzazione sociale della comunitą
č rappresentata dalla famiglia.
Essa č concepita come una piccola repubblica che
esercita la sua autonomia allinterno del
proprio cotile dove si affaccia il tugurio.
La famiglia, composta di due o pił fratelli in
coabitazione, negli spazi appena descritti, con
le proprie mogli, figli e genitori: il clan,
a capo del quale non sempre era insediata la
persona pił anziana ma il pił delle volte la pił
carismatica, da cui dipendeva ogni cosa che
potesse interessare il clan.
Gli albanesi
allinterno del loro spazio, condividendo le
ricchezze agricole, pastorali, gli animali da
soma e domestici, otre ad imprimere nella mente
dei pił giovani, sani principi morali a
beneficio del gruppo familiare.
Le prime notizie sulle migrazioni albanesi in
Italia, non riguardano nč profughi nč esuli ma
soldati. A partire dal XV secolo quando il re di
Napoli, Alfonso I dAragona, fece venire
drappelli di mercenari dallAlbania per
contrastare le rivolte dei baroni locali e per
sconfiggere lo stesso Renato dAngiņ.
Agli albori del 1400 la Calabria, come la
Sicilia, faceva parte del Regno di Napoli;
scenari di rivolte dei feudatari contro il
governo angioino; gli albanesi si interposero
per fornire i loro servizi militari ora alluna
ora allaltra fazione in lotta.
Alfonso dAragona ricorse spesso ai servizi di
Demetrio Reres tra gli anni 1416 e 1442; il
nobile condottiero albanese, portņ con se tre
gruppi di soldati, comandati oltre che da lui
dai suoi due figli.
Lintervento dellesercito albanese fu
determinante ai fini dallequilibrio politico di
allora, tanto che lo stesso Reres fu nominato
governatore della provincia di Reggio e molti
suoi uomini, si stabilirono a nord della
Calabria Ultra ed in Sicilia, ricevendo come
ricompensa alcuni territori in donazione.
Nel 1461, fu Giorgio Castriota Skanderbeg, il
riconosciuto eroe nazionale albanese ad
impegnarsi nellorganizzare una spedizione
militare per sostenere Ferrante I dAragona, re
di Napoli.
Il Ferrante per accrescere le proprie difese
contro lesercito angioino, chiese ed ottenne
laiuto delle eccellenti truppe del principe
albanese Skanderbeg.
Nella localitą compresa tra Greci, Orsara di
Puglia e Troia, furono teatro del pił duro
scontro fra i due eserciti, la dove, gli
Aragonesi vinsero grazie alla caparbietą
dellesercito Albanese facendo sģ che la loro
azione segnasse profondamente gli assetti
politico-istituzionali del regno Aragonese.
Fu comunque la morte di Scanderbeg, avvenuta a
Lezha alla etą di 63 anni, ad opera dei turchi,
questo determinņ un forte esodo dalle loro terre
dei profughi albanesi, poiché fortemente
perseguitato dai vincitori; e il regno di Napoli
divenne il rifugio ideale per quegli esuli.
Gli albanesi che da questo momento vengono
individuati come Arbėreshė, accolti a popolare
zone aspre, insicure, insalubri e senza idonee
vie di comunicazione, ma grazie alla loro
esperienza agricola e pastorale seppero
migliorare quei territori.
In oltre insediandosi in quelle terre vi
trapiantarono usi e costumi del loro Paese
dorigine, il che per la diversitą con quelli
locali, li portņ a vivere isolati e ad avere
solo gli essenziali contatti con le popolazioni
autoctone.
Tra il 1470 e
il 1530, gli arbėreshė per sfuggire alle esose
gabelle imposte dai principi e dai vescovi che
avevano i diritti di quelle terre, erano soliti
distruggere o bruciare i loro pagliai scegliendo
la vita nomade, per evitare gli esattori che
periodicamente si recavano a riscuotere il
dovuto.
Acquisito il
diritto, di edificare e di ereditą dei loro beni
immobili; intorno alla seconda metą del XVI
secolo, si stabilirono definitivamente
abbandonando quel modo di vivere da precari.
Intorno al
1564 i rappresentanti istituzionali dei vari
agglomerati urbani di etnia arbėreshė, furono
ufficialmente informati dal viceré, pena cinque
anni di galera, di realizzare cinte murarie a
coronamento degli agglomerati urbani; solo al
loro interno era concesso di circolare a cavallo
o portare con se qualsiasi tipi di arma.
Perņ il terremoto che di li a poco interessņ la
valle del Crati e la carestia conseguente, fece
disattendere tali disposizioni, solo in parte
messe in atto dagli albanofoni.
L'abitazione era in primo luogo un rifugio,
spazio addomesticato e difeso, sottratto alle
intemperie; che in seguito acquisterą la
necessaria qualitą edilizia.
Esse, si realizzava in base a principi
consuetudinari, con tecniche e materiali
naturali, stabilendosi spontaneamente un
rapporto di conformitą tra la fabbrica e
l'ambiente.
I primi
insediamenti, erano realizzati nei pressi di
anfratti naturali, grotte o realizzando i cosi
detti pagliai, in Arbėreshė caglive,
attorno a cui si recintava uno spazio condiviso
da tutta la famiglia.
Carlo Maria Occaso li descriveva cosģ: gli
Albanesi della Calabria del Nord, ovvero quelli
di Calabria Citra, non conoscevano differenze di
ceti e tutti raccolti in tuguri di paglia
esercitavano la pastorizia.
La recinzione
del cortile (Scesci), realizzata con
tronchi infissi nel terreno a cadenze
irregolare, questi reggevano la recinzione vera
e propria realizzata con rami di robinia, che
rendevano di difficile accesso larea.
Il tugurio o
il pagliaio assolveva alla funzione di deposito
delle derrate alimentari, di ricovero per gli
animali e da dormitorio per i componenti della
famiglia.
Nella zona
posteriore del tugurio o nei pressi del cortile
gli arbėreshė realizzavano un area idonea a
recapitare quello che oggi si identifica in una
discarica (copėshėti).
I nuclei
familiari cosģ organizzati si posizionavano uno
nei pressi dellaltro, a ridosso dei tracciati
viari collinari.
I tracciati seguivano quella linea ideale mai
posta al di sotto di 350m., sul livello del
mare, preservandosi dalle punture delle
anofele particolarmente efficaci nelle zone
poste a valle, lungo le pianure e le coste.
Dalla strada grande, arteria di comunicazione
secondaria, viottoli ad uso esclusivo dei
vari gruppi familiari, collegavano i scesci
dove si svolgeva la loro vita sociale.
Secondo la
posizione che le famiglie occupavano rispetto a
questi tracciati, si identificavano in: la
superiore "dregliarti", quella inferiore
"dreshjimi", tale che avessero il
controllo totale sulla via di comunicazione.
Quando le
disponibilitą economiche dei gruppi familiari e
le capitolazioni nei confronti dei
rappresentanti istituzionali, diedero pił
certezze agli arbėreshė, riconoscendo ad essi
gli stessi diritti delle popolazioni autoctone,
il tugurio venne sostituito dal catoio, (Katoki),
modulo edilizio realizzato in muratura, mentre
il cortile e larea di recapito rimasero
concettualmente le stesse.
I rapporti di
scambio pur se limitati, hanno sempre creato
motivo di socializzazione tra le popolazioni
arbėreshė e quelle autoctone; č in questa fase
che gli albanofoni cominciarono a cambiare i
loro modello di vita; incentrato sullo spazio
del cortile (scesci), sul cui affaccio si
apprestavano ad aggregare il modulo edilizio:
il Katoio.
Le difficoltą
logistiche, consentivano agli arbėreshė di
realizzare i modelli edilizi, incidendo il meno
possibile sulla orografia del terreno, oltre che
da antichi legami determinanti laggregazione,
producendo cosģ unapparente e irrazionale
schema.
Esso č
facilmente riconoscibile in due tipologie
urbanistiche, ad andamento lineare o complesso.
Questo
rappresenta un momento importante della comunitą
albanofona, infatti, č in questa fase che si
tracciano le basi per quei modelli urbanistico
sociale che vene identificato nella Gjitonia.
Essa non č
altro che lantico cortili, su cui non affaccia
pił lunico tugurio ma una serie di Katoi,
residenze delle famiglie, non pił intese come
descritte nel Kanun; ma formata dal marito, la
moglie, i figli e i genitori, materni o paterni;
pur sempre mantenendo i fraterni legami di
sangue con i componenti la famiglia del antico
gruppo.
Alla cui guida
rimaneva sempre la persona pił carismatica, che
attribuiva alla gjitonia il proprio nome,
facilitando ancor oggi, a noi arbėreshė a
individuare quei storici ameni siti.
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pubblicato il 27
luglio 2010
Il rito
bizantino: storia e struttura
Convegno
a Greci
a cura di Merita Sauku Bruci
In occasione
della ricorrenza dei 300 anni dalla fondazione
della Chiesa Madre di Greci (AV), intitolata a
S. Bartolomeo apostolo (1710-2010),
lamministrazione comunale, in collaborazione
con la parrocchia, il 1 luglio 2010 ha
organizzato un Convegno sul rito bizantino, che
per i primi due secoli dalla immigrazione
dallAlbania era praticato, come in tutte le
altre comunitą arbёreshe, anche a Greci.
Prof.
Don Antonio Porpora: storia e struttura del rito
bizantino.
Nella sua
relazione il Prof. Porpora, della Facoltą
Teologica dellItalia Meridionale di Napoli, ha
inteso mettere in evidenza che la chiesa
cattolica non si puņ identificare con la chiesa
latina, come spesso avviene, perché abbraccia
anche Chiese orientali di rito bizantino, copto,
etiopico, siro, armeno, maronita. La tendenza
allidentificazione della chiesa cattolica con
la latina č frutto del processo di
latinizzazione innescato dalla chiesa di Roma
con vari provvedimenti ispirati al concetto di
praestantia latini ritus (superioritą del
rito latino sugli altri).
Ci sarebbe
voluto il Concilio Vaticano II per affermare con
decisione che anche le chiese di rito bizantino
cattolico godono di pari dignitą.
Il relatore
ha, quindi, espresso il concetto secondo cui i
riti non sono una somma di cerimonie sacre, ma
lespressione di una cultura, di una teologia,
di una visione della vita spirituale, e,
pertanto, lespressione di una comunitą, e della
sua storia, lespressione cioč di una chiesa,
della sua spiritualitą liturgica. In questa
prospettiva si puņ comprendere meglio lessenza
della varietą dei riti: da quello latino a
quello copto, al siro-occidentale e
siro-orientale, al rito armeno e a quello
bizantino.
Don A. Porpora
č passato, in seguito, a presentare le
caratteristiche della struttura delle chiese da
un punto di vista architettonico, accennando ai
lineamenti delle chiese greche (Salonicco),
ispirate alla Basilica di Costantinopoli, alle
chiese russe, alla loro struttura interna
(nartece, navata, santuario delimitato
dalliconostasi), e sottolineando i valori
simbolici dei colori: oro dedicato a Cristo,
azzurro alla Madonna, verde alla Trinitą, rosso
ai santi.
Il relatore ha
trattato anche della liturgia, del suo
significato nel percorso spirituale che
interessa lintero ciclo dellanno. Diverse sono
state le tradizioni nella formazione dei testi
liturgici che attualmente si riducono
essenzialmente a tre: la liturgia di S. Giacomo,
lunica che si celebra fuori dalliconostasi, la
liturgia di S. Basilio, la pił lunga, e quella
di S. Giovanni Cristostomo, la pił usata durante
tutto il ciclo dellanno. Leucologio,
considerato come il libro delle preghiere
liturgiche, nel corso dei secoli ha visto
svilupparsi pił tradizioni: la
costantinopolitana, e quelle monastiche del
Monte Sinai, dellItalia meridionale e del Monte
Athos.
Il prof.
Porpora ha attirato lattenzione anche sulle
maggiori funzioni liturgiche giornaliere: lesperinon,
preghiera della sera, lapodipnon, del
dopocena, il mesoniktikon, funzione della
mezzanotte, lorthros, o mattutino, la
divina liturgia o messa, e lufficio
delle ore; e sulle ricorrenze delle celebrazioni
dellanno liturgico del ciclo fisso e di quello
mobile.
A conclusione
il relatore ha ribadito che il rito bizantino
contiene una grande ricchezza di contenuti e di
forme che meritano di essere conosciute, anche
in occidente, e possibilmente vissute.
Prof.
Italo Costante Fortino: latinizzazione della
maggior parte delle comunitą arbёreshe.
Greci (AV),
il paese formato da immigrati arbёreshё, che si
innestņ su unantica comunitą gią di rito
bizantino, č passato al rito latino nella
seconda metą del XVII secolo. Come Greci, i due
terzi delle comunitą arbёreshe di rito bizantino
sono trasmigrati al rito latino nello stesso
periodo: Portocannone, Montecilfone,
Campomarino, Ururi, Casalvecchio, Casalnuovo,
Chieuti, Barile, Ginestra, Maschito, Cerzeto,
Cavallerizzo, Cervicati, S. Martino di Finita,
S. Giacomo di Cerzeto, Mongrassano, Rota Greca,
S. Caterina Albanese, Falconara Albanese, S.
Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Amato,
Andali, Caraffa, Gizzeria, Marcedusa, Vena di
Maida, Zangarona, Carosino, Faggiano,
Fragagnano, Monteiasi, Montemesola, Monteparano,
Roccaforzata, S. Crispieri, S. Giorgio Ionico,
S. Marzano di S. Giuseppe, Galatina, S. Cristina
Gela, Biancavilla, Bronte, S. Michele di
Ganzaria, S. Angelo Muxaro ecc. In sintesi le
comunitą passate al rito latino sono 65, quelle
che hanno resistito e ancora oggi mantengono il
rito bizantino sono 26.
Il prof.
Fortino ha ricordato che gli arbёreshё quando si
stanziarono nel Regno di Napoli (sec. XV-XVI )
seguivano il rito bizantino ed erano in perfetta
armonia con la chiesa latina di Roma, anche
perché il Concilio di Firenze (1439) aveva
sancito lunione tra la Chiesa cattolica e
quella ortodossa. In forza di ciņ, tutte le
comunitą arbёreshe dItalia da un punto di vista
canonico, con laccordo del Patriarca di
Costantinopoli e del Papa di Roma, dipendevano
dal Patriarcato di Ocrida (Macedonia) che
nominava un metropolita con sede ad Agrigento,
in Sicilia, e con giurisdizione sugli albanesi e
greci di rito bizantino residenti in Italia. Al
primo metropolita di Agrigento, Giacomo,
successe Pafnuzio di Cipro, a questi Timoteo di
Korēa, e infine, lultimo, Acacio Casnesio,
originario di Corfł.
Illuminanti
rimangono i provvedimenti pontifici (Accepimus
nuper) di Papa Leone X (1521) a tutela delle
peculiaritą del rito bizantino in Italia. Ma
appena qualche decennio dopo, con le
deliberazioni restrittive del Concilio di Trento
(1563), si ebbero conseguenze gravissime che
danneggiarono il rito bizantino: Papa Pio IV col
documento Romanus Pontifex (1564)
annullņ il diritto riconosciuto a Ocrida e
Costantinopoli e sottopose le comunitą arbёreshe
di rito bizantino ai vescovi latini, con la
volontą di sopprimere o, almeno, di favorire
lestinzione per esaurimento del rito greco in
Italia (V. Peri) come ribadito dal
successore Papa Pio V nel documento pontificio
Providentia Romani Pontificis (1566). I
deliberazioni del Concilio di Trento, attuati
dai due succitati Papi, hanno aperto una falla
che avrebbe latinizzato i due terzi delle
comunitą arbёreshe dellItalia meridionale. I
concili provinciali successivi, - basti citare
solo quello di Benevento (1567) e quello di
Bisignano (1571) - , interpretando con sospetto
le usanze rituali bizantine, favorivano forme di
latinizzazione allinterno del rito stesso. Nel
1742, poi, Papa Benedetto XIV esplicitando la
tesi della superioritą del rito latino su tutti
gli altri, col documento Etsi pastoralis
collocava il rito bizantino in uno stato di
inferioritą rispetto al rito latino. I succitati
provvedimenti mirarono a cancellare il concetto
di chiesa cattolica bizantina e a ridurlo a sole
forme rituali bizantine.
Cosģ
ridimensionata la comunitą arbёreshe di rito
bizantino, la chiesa cattolica latina di Roma
prendeva, tuttavia, provvedimenti a favore di
quanti avevano resistito alla latinizzazione:
Papa Gregorio XIII fondava nel 1577 il Collegio
Greco di Roma dove risiedeva un vescovo
ordinante anche per il clero arbёresh, nel 1732,
su sollecitazione di esponenti della famiglia
Rodotą, Papa Clemente XII creava a S. Benedetto
Ullano il Collegio Corsini, e finalmente nel
1919 Papa Benedetto XV creava lEparchia di
Lungro e nel 1937 Pio IX quella di Piana degli
Albanesi. Il secondo sinodo intereparchiale
Lungro, Piana degli Albanesi e Monastero di
Grottaferrata celebratosi di recente
(2005-2006), ha posto le basi per una
configurazione pił autentica della chiesa
cattolica bizantina in Italia secondo il Diritto
Canonico delle Chiese Cattoliche Orientali.
GREĒI: Konferencė me temė Riti
bizantin: historia dhe struktura
hartuar nga Merita Sauku Bruci
Me
rastin e festimeve pėr 300 vjetorin e themelimit
tė Kishės Mėmė tė Greēit (Avellino), kushtuar
Shėn Bartolomeut apostull (1710-2010),
administrata komunale, nė bashkėpunim me
famullinė, mё 1 korrik 2010 organizuan njė
konferencė pėr ritin bizantin, i cili ka qenė
praktikuar nė Greēi, ashtu si edhe nė tė gjitha
ngulimet arbėreshe, gjatė tė dy shekujve tė parė
tė emigrimit nga Shqipėria.
Prof. Don Antonio Porpora:
historia dhe struktura e ritit bizantin.
Nė kumtesėn e
tij, Prof. Porpora, i Fakultetit Teologjik tė
Italisė Jugore nė Napoli u pėrpoq tė theksojė se
kisha katolike nuk mund tё njejtёsohet me kishėn
latine, siē ndodh shpesh, pasi kisha katolike
pėrfshin edhe kishat lindore tė ritit bizantin,
kopt, etiopian, sirian, armen, maronit.
Tendenza pėr njejtėsim tė kishės katolike me atė
latine ėshtė frut i procesit tė latinizimit tė
ndėrmarrė nga kisha e Romės e tė mbėshtetur nga
njė numėr masash e vendimesh, qė u frymėzuan nga
koncepti i praestantia latini ritus
(superioriteti i ritit latin mbi tė tjerėt).
U desh tė
mblidhej Konēili i II i Vatikanit, pėr tė pohuar
me forcė se edhe kishat e ritit bizantin katolik
godono di pari dignitą (gėzojnė tė njёjtin
dinjitet).
Kumtuesi
qartėsoi konceptin sipas tė cilit ritet nuk janė
njė shumėsi ceremonish tė shenjta, por shprehja
e njė kulture, e njė teologjie, e njė vizioni tė
jetės shpirtėrore, janė shprehja e njė
komuniteti, e historisė sė tij; janė pra
shprehja e njė kishe, e spiritualitetit
liturgjik tė saj. Parė nė kėtė perspektivė mund
tė kuptohet mė mirė larushia e riteve: nga ai
latin tek ai kopt, siro-perėndimor e
siro-lindor, nga riti armen tek ai bizantin.
Don A.
Porpora, kaloi mė pas tek paraqitja e
karakteristikave tė strukturės sė kishave nga
pikpamja arkitektonike, duke u ndalur tek linjat
e kishave greke (Selanik), qė janė frymėzuar nga
Bazilika e Kostandinopojės, tek kishat ruse, me
strukturėn e brėndshme (narteēe, anijatё,
shenjtore qė kufizohet nga ikonostasi),
dhe nėnvizoi dhe vlerėn simbolike tė ngjyrave me
tė cilėn janė veshur sė jashtmi kupolat: e artė
kur kisha i dedikohet Krishtit, e kaltėr kur i
dedikohet Sh. Mėrisė, e gjelbėr nė rastin kur i
kushtohet Trinisė sė Shenjtė dhe e kuqe kur i
kushtohet shenjtorėve.
Kumtuesi foli
edhe pėr liturgjinė, pėr vendin qė zė nė tėrė
rrugėtimin shpirtėror gjatė tė gjithė cikleve tė
vitit. Traditat e formimit tė teksteve
liturgjike janė tė ndryshme, aktualisht
kufizohen nė tri: Liturgjia e Sh. Japkut, e
vetmja qė celebrohet jashtė ikonostasit,
liturgjia e Sh. Vasilit, mė e gjata, dhe ajo e
Sh. Janj Krizostomit, mė e pėrdorura gjatė
gjithė ciklit tė vitit. Eucologji, ose
libri i lutjeve liturgjike, gjatė shekujve ka
ndjekur zhvillimin e shumė traditave: atė tė
Kostandinopojės, atė tė murgjėve tė Malit Sinai,
tė Italisė sė Jugut e atė tė Malit Athos.
Prof. Porpora
tėrhoqi vėmendjen edhe mbi funksionet liturgjike
mė tė rėndėsishme ditore si: esperinon
ose lutja e mbrėmjes, apodipnon ose lutja
e pas darkės, mesoniktikon ose shėrbesa e
mesnatės, lorthros ose shėrbesa e
mėngjesit, mė pas liturgjia e shenjtė ose mesha,
shėrbesa e lutjeve si edhe festimet e vitit
liturgjik, festat e fiksuara dhe ato tė
spostueshme.
Nė fund
kumtuesi saktėsoi qė riti bizantin ėshtė shumė i
pasur nė pėrmbajtje dhe nė forma qė meritojnė tė
njihen, edhe nė perėndim, e pse jo edhe tė
pėrjetohen.
Prof. Italo Costante Fortino: latinizimi i
pjesės mė tė madhe tė komuniteteve arbėreshe.
Greēi (AV),
katund i formuar nga emigrantė tė hershėm
arbėreshė, mbi bazėn e njė komuniteti ekzistues
tė ritit bizantin, kaloi nė ritin latin nė
gjysmėn e dytė tė shekullit XVII. 2/3 e
komuniteteve arbėreshe tė ritit bizantin, ashtu
si Greēi kaluan nė ritin latin nė tė njejtėn
periudhė: Portocannone, Montecilfone,
Campomarino, Ururi, Casalvecchio, Casalnuovo,
Chieuti, Barile, Ginestra, Maschito, Cerzeto,
Cavallerizzo, Cervicati, S. Martino di Finita,
S. Giacomo di Cerzeto, Mongrassano, Rota Greca,
S. Caterina Albanese, Falconara Albanese, S.
Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Amato,
Andali, Caraffa, Gizzeria, Marcedusa, Vena di
Maida, Zangarona, Carosino, Faggiano,
Fragagnano, Monteiasi, Montemesola, Monteparano,
Roccaforzata, S. Crispieri, S. Giorgio Ionico,
S. Marzano di S. Giuseppe, Galatina, S. Cristina
Gela, Biancavilla, Bronte, S. Michele di
Ganzaria, S. Angelo Muxaro ecc. Nė total
komunitetet e kaluara nė ritin latin janė 65,
kurse ato qė rezistuan dhe ende sot ruajnė ritin
bizantin janė 26.
Prof Fortino
kujtoi se arbėreshėt kur u vendosėn nė
Mbretėrinė e Napolit (shek. XV-XVI) praktikonin
ritin bizantin dhe ishin nė harmoni tė plotė me
kishėn latine tė Romės, edhe pėr faktin se
Konēili i Firences (1439) kishte vendosur
bashkimin e Kishės Katolike dhe ortodokse. Nė
mbėshtetje tė kėtij fakti, tė gjitha komunitetet
arbėreshe tė Italisė nga pikpamja kanonike, me
marrėveshjen e Patriarkut tė Kostandinopojės dhe
tė Papės sė Romės, vareshin nga Patrikana e
Ohrit (Maqedoni) qė emėronte njė metropolit me
seli nė Agrixhento (Siēili), dhe me juridiksion
mbi shqiptarėt e grekėt e ritit bizantin tė
vendosur nė Itali. Pas metropolitit tė parė tė
Agrixhentos, Japkut, vijoi nė kėtė detyrė
Pafnuzio i Qipros, mė pas Timoteo i Korēės, dhe
pėrfundoi me Acacio Agnesio-n, me origjinė nga
Korfuzi.
Tė rėndėsishme
pėr largpamėsinė e tyre mbeten vendimet papnore
(Accepimus nuper) tė marra nga Papa
Leoni X (1521) pėr ruajtjen e veēantive tė ritit
bizantin nė Itali. Por disa dekada mė pas, me
vendimet kufizuese tė Konēilit tė Trentit
(1563), riti bizantin u shkatėrrua keqas: Papa
Piu IV me dokumentin Romanus Pontifex
(1564) anuloi tė drejtėn qė ju njoh Ohrit dhe
Kostandinopojės dhe ia nėnshtroi komunitetet
arbėreshe tė ritit bizantin peshkopėve latinė,
nisur nga la volontą di sopprimere o,
almeno, di favorire lestinzione per esaurimento
del rito greco in Italia (vullneti pėr tė
hequr, ose tė paktėn pėr tė favorizuar shuarjen
e ritit grek nė Itali pėr shkak shterimi -
V.Peri) ashtu siē shkruhet nga pasuesi Papa Piu
V nė dokumentin papnor Providentia Romani
Pontificis (1566). Vendimet e Konēilit tė
Trentit, tė zbatuara nga tė dy Papėt e cituar mė
lart, krijuan njė ēarje qė solli me kohė
latinizimin e 2/3 tė komuniteteve arbėreshe tė
Italisė sė Jugut. Konēilet krahinore tė
mėvonshėm, - mjafton tė citojmė vetėm atė tė
Beneventos (1567) dhe atė tė Biznjanit (1571) -,
duke interpretuar me dyshim praktikat rituale
bizantine, favorizuan edhe forma tė latinizimit
nė brendėsi tė vetė ritit. Mė pas, nė 1742,
Papa Benedeto XIV doli hapur me tezėn e
superioritetit tė ritit latin mbi gjithė tė
tjerėt, me dokumentin Etsi pastoralis
duke e vendosur ritin bizantin nė njė pozitė
inferiore nė raport me atė latin. Vendimet e
sipėrcituara synuan tė fshinin konceptin e
kishės katolike bizantine dhe ta reduktonin
vetėm nė forma ritualesh bizantine.
Edhe pasi
pёsuan kėtė dimension tė ri komunitetet
arbėreshe tė ritit bizantin, kisha katolike
latine e Romės, megjithatё, vazhdoi tė merrte
masa nė favor tė atyre qė i rezistuan
latinizimit: Papa Gregori XIII themeloi nė 1577
Kolegjin Grek tė Romės, ku kishte selinė njė
peshkop urdhėrues edhe pėr klerin arbėresh; po
kėshtu nė 1732, me nxitjen e eksponenteve tė
familjes Rodotą, Papa Klementi XII themeloi nė
Sh. Benedikt Ulan Kolegjin Korsini dhe mё nė
fund nė 1919 Papa Bendedikti XV krijoi Eparkinė
e Ungrės (Lungro) dhe nė 1937 Piu IX do tė
krijonte atė tė Horės sė Arbėreshёve (Piana
degli Albanesi). Sinodi i dytė ndėreparkial
Ungra, Hora e Arbėreshve dhe Manastiri i
Grotaferratės, qė u mbajt para pak vitesh
(2005-2006), vuri themelet pėr njė konfigurim mė
autentik tė kishės katolike bizantine nė Itali
sipas tė Drejtės Kanonike tė Kishave Katolike
Lindore.
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pubblicato
il 15 luglio 2010
IL FUTURO PER I NOSTRI CENTRI
STORICI
Mėma e sėrith ēimiter
.e kisė lėk!
di Atanasio Pizzi
Il nucleo consolidato nei secoli di luoghi ove
gli uomini si riducono a stare insieme,
costituisce la componente essenziale del
patrimonio culturale dei nostri paesi e ad essi
si deve il contributo pił determinante,
all'identitą dei centri albanofoni.
Questa consapevolezza generalmente diffusa, cosģ
come la conseguente esigenza di tutela degli
insediamenti storici, conservati perché lģ si
vuole ancora stare insieme oggi.
In linea di principio la richiesta conservativa
si pone con le medesime ragioni cosģ per il
centro storico della grande cittą come per i
centri minori, stretto dentro le espansioni,
invaso dall'edilizia di brutta periferia, che
gli fa perdere la sua forma e non consente pił
di ridisegnarne i vecchi confini.
Nello specifico dei paesi albanofoni non
mantengono intatto il rapporto con il
circostante ambiente, ne conserva il ruolo di
caposaldo paesaggistico nelle molteplici
prospettive; soffrono dell'abbandono indotto
dalle radicali trasformazioni dell'economia
agricola di cui era stata per secoli la diretta
espressione.
Animare il dibattito sul senso del centro
storico come organismo insediativo unitario,
come unico monumento appunto, che č sede di vita
collettiva e al mantenimento delle condizioni di
vita, č legata la sua conservazione e la sua
sopravvivenza.
Restauro e risanamento conservativo delle
strutture fisiche edili e della morfologia
urbana assieme al recupero delle tradizionali
funzioni che alimentavano la loro sopravivenza.
Negare all'architettura moderna l'idoneitą a
intervenire nei contesti storici non implica un
pregiudizio nei suoi confronti, ma al contrario,
quella negazione si fonda sul riconoscimento dei
pił autentici valori dell'architettura di oggi
che sono di rottura della tradizione e che la
rendono perciņ incompatibile con il principio di
spazialitą prospettica al quale obbediva
l'architettura del passato.
Č la coscienza storica del passato, che ci
impone di rispettare la spazialitą dei centri
storici e di rifiutare la reciproca
contaminazione tra i modi tradizionali di
costruire e gli stilemi dell'architettura
contemporanea.
Insomma la conservazione dei centri storici č la
vera innovazione, siamo moderni perché
rifiutiamo di comportarci come era legittimo nel
passato.
E moderna la concezione del centro storico
come organismo complesso che non č fatto
soltanto della successione delle singole
architetture e deve la sua unitą
all'integrazione degli elementi compositivi di
diversa natura, valendo gli spazi inedificati
(siano strade, piazze orti e giardini) quanto le
strutture costruite.
Ed č moderna la conservazione, del risanamento
conservativo, non solo del singolo edificio ma
del complessivo organismo urbano.
Il rapporto tra antico e moderno nella cittą si
pone per incompatibili accostamenti, perché il
risanamento dei centri storici e la costruzione
della cittą moderna sono operazioni diverse nel
metodo, essendo la vitalitą dell'insediamento
storico direttamente condizionata dalla corretta
organizzazione e delle rispettive funzioni, con
i relativi servizi e le funzioni della
centralitą tradizionale, agli architetti di oggi
č affidato il compito arduo, che ancora attende
di essere adempiuto e di riscattare i pił
recenti insediamenti urbani.
Perché č nell'urbanistica la condizione
essenziale della tutela dei centri storici che
la legge del 1967 (la prima incisiva riforma
della legge urbanistica del 1942) prescrive di
registrare e perimetrare nei piani regolatori e
di disciplinare secondo criteri prevalentemente
conservativi che si adegui ai materiali e
sistemi costruttivi che li caratterizzano.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio
(approvato nel 2004 e vagliato in due
consecutive ripassi 2006 e 2008) conferma quanto
gią era acquisito nel vigore della precedente
normativa e cioč che il centro storico puņ
essere oggetto di tutela paesaggistica nel
rapporto con il contesto ambientale di cui
costituisce un polo visivo, ma essi esigono una
tutela ben penetrante, oltre il profilo
paesaggistico, che recuperi funzioni analoghe,
innanzitutto di stabile residenza, a quelle per
le quali quei centri furono costituiti.
Indicazioni specifiche nel percorso
dellautostrada A3, relativo al tratto che
attraversa i paesi albanofoni di Calabria Citra.
Indicazioni di quattro itinerari etnici ben
definiti, con appropriata cartellonistica
stradale.
Realizzare punti di accoglienza mirata, quali:
l'albergo diffuso, museo delle tradizioni e dei
mestieri, musei multimediali interattivi, reti
wireless allinterno del centro storico,
nominativi della gjitonie, tali che possano
invogliare i visitatori a intrattenersi negli
scenari dalle innumerevoli leggende che
avvolgono ogni gjitonia albanofona.
Sia dichiarato l'interesse culturale all'intero
centro storico dei paesi minoritari arbėrėshe,
il cui recupero, associato a sistemi itineranti
multimediali, possano interagire con il
visitatore che, fornito di PC, apprende la
storia di quella determinata gjitonia, le
eccellenze che la distinguevano in campo
artistico, conserviero gastronomico, enologico,
tessile, sartoriale etnico e culinario;
allargando il sistema ai paesi della comunitą
albanofona dei quattro itinerari, fornendo cosģ
in tempo reale comparazioni e informazioni
storiografiche, delle innumerevoli eccellenze.
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