Centro Cultura e Arte 26 - Ricerca antropologica etnofotografica e promozione beni culturali, arte, tradizioni di Calabria

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PERCORSI MEDITERRANEI

PALMENTI

di Calabria


Palmenti a Ferruzzano (RC)

Palmenti a S. Caterina Ionio (CZ)

 

 

 

 

 

 

 

PALMENTI di CALABRIA

antiche vasche per la vinificazione


Il palmento, vasca scavata nella roccia, appartenente ad epoche diverse, da quella pre-ellenica a quella bizantina, come attestano anche le croci incise sulle pareti, primordiale industria di trasformazione dei prodotti agricoli (uve e cereali), è un bene culturale importante per indagare la centralità che il territorio assunse nelle relazioni economiche e civili del Mediterraneo e ancor più per indagare le nostre radici, i rapporti tra i contadini e la terra, gli articolati processi di appropriazione del territorio, di difesa e organizzazione del lavoro agricolo e le trasformazioni dei sistemi produttivi.

Qui sono documentati i palmenti identificati nelle zone a più intensa vocazione vitivinicola, dall’antichità ai tempi recenti: la vallata del Bruzzano e del Bonamico nella Locride, la valle del Neto e il territorio intorno a Cirò, gli altipiani dal Pollino alla Sila e la costiera tirrenica.

 

I palmenti raccontano la storia di un mondo contadino e pastorale, legato ad una cultura trasmessa oralmente che non ha potuto lasciare molte testimonianze scritte; illustrano il lavoro e le tecniche di trasformazione dell’uva, dal periodo greco ai nostri giorni. Come attestano fonti storiche, il nome vero e proprio di "palmentum" (il termine deriva dal latino palmes palmitis, tralcio di vite o da "paumentum", l'atto di battere, pigiare) lo si trova solo e con frequenza, in numerosi documenti medioevali del IX e X secolo dell'Italia meridionale, accanto a quello di "trapetum", suo omologo per la preparazione dell'olio. Nella documentazione medioevale di Rioja, terra del vino nel nord della Spagna, appaiono per la prima volta menzionati come torcularia, lacus o laco nell’anno 959, vasche scavate nella roccia ubicate in pieno campo, nelle vigne. In un altro documento del 1095 si desume che i lagares spagnoli venivano istallati anche nei centri urbani. I palmenti della penisola Iberica, da Ebro, Duero, fino alla Catalogna e al Portogallo, interessanti ed a volte spettacolari, sono stati attribuiti dagli studi archeologici all’epoca romana.

Dei numerosi palmenti di Ferruzzano, così come di tanti altri rinvenuti in Puglia, all’isola del Giglio, a Malta, in Campania, in Lucania, per la maggiorparte scavati nella roccia, a volte intatti, altre rimaneggiati in epoche successive, è difficile definire l’epoca di costruzione. I manufatti, tecnicamente elaborati, sulle cui pareti sono ben riconoscibili i colpi di piccone potrebbero essere di epoca magno-greca, romana o bizantina; i più rudimentali, consunti, su cui il tempo ha cancellato i segni, forse appartengono al periodo preellenico. Discorso a parte meritano i palmenti di Pietragalla in provincia di Potenza; lì il prof. Vincenzo D’Angelo ha prodotto una ricerca interessante sui circa 200 palmenti costruiti nella roccia dalla seconda metà dell’Ottocento alla metà del ‘900. Il palmento tipo (lanò, in grecanico, derivato dal greco classico Làknos) era costituito da due vasche, comunicanti tra loro attraverso un foro, scavate nella roccia arenaria: una superiore (buttìscu), il calcatorium dei Romani, dove l’uva veniva pigiata con i piedi, ed una inferirore (pinàci), dove si raccoglieva il mosto.

 

Dove non c’era roccia friabile, il palmento veniva costruito in muratura, impermeabilizzando le vasche con uno stato di intonaco di circa 3 cm. costituito da sabbia e calce mista a coccio pestato che faceva da collante, alla maniera dei Romani. L’uva versata nel buttiscu, il cui foro veniva otturato con argilla, veniva pigiata e lasciata riposare lì per un giorno ed una notte; quindi, eliminato il tappo, si lasciava defluire il mosto nel pinàci, che aveva sul fondo un incavo a forma circolare (fundèllu), per raccogliere il mosto fino all’ultima goccia. Poi nella vasca superiore, attraverso delle scanalature ricavate nelle pareti laterali, veniva posizionata una grossa tavola piena di fori (foràta), per creare una strettoia (consu) in cui si versavano le vinacce per essere ulteriormente schiacciate da una specie di pressa costituita da un tavolone di legno di quercia forato (chjancùni) su cui poggiava un pesante tronco di legno (leva) che terminava a forcella, azionato da un tronchetto filettato (fusu), retto da una pesante pietra che fungeva da contrappeso (màzara). Infine il mosto veniva riposto nelle anfore vinarie, interrate per mantenere fresco il prodotto.

 

palmenti a cielo aperto a Ferruzzano (RC)

 

palmenti in grotta a Castrovillari (CS)

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palmenti a Casabona (KR)

 

palmento di epoca romana a Belvedere M. (CS)

 

palmento a Carolei (CS)

 

Santa Caterina dello Ionio (CZ): palmenti nei vigneti.

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