Storia della Calabria
la
società calabra nei secoli: dal paleolitico agli anni
Settanta
(sintesi storica da Riti e
Miti)
La fisionomia della
Calabria.
La
terra di Calabria (15.080 Kmq) è essenzialmente montuosa.
L'ultima propaggine della dorsale appenninica degrada verso
il mare lungo 780 Km di coste, alte e pittoresche sul
Tirreno, basse e rettilinee sullo Ionio. Il confine con la
Basilicata è segnato per 80 Km dal massiccio del Pollino
(2248 m) che scende verso il mare con la piana di Sibari
(470 Kmq).
L' Appennino calabro corre
verso la punta estrema dello stivale, svettando le sue cime
più alte: il Montalto (1955 m.) nell'Aspromonte ed il Botte
Donato (1928 m) nel massiccio della Sila.
La conformazione geografica
della Regione ha impedito la formazione di grandi corsi
d'acqua. Il Crati, che con il suo affluente Coscile
attraversa la pianura di Sibari, ha un corso di 81 Km. ed il
Neto, che come il precedente nasce dalla Sila e sfocia nello
Ionio, è lungo 84 Km.
La regione con i suoi
2.139.000 abitanti (142 per Kmq) registra una densità di
popolazione piuttosto bassa in Italia. Ma, come afferma il
Gambi, "la distribuzione e la consistenza dei luoghi abitati
non è un riflesso della topografia, ma di eventi
squisitamente umani".(1)
Alla povertà del suolo,
calcareo e brullo nelle zone settentrionali e siliceo con
dense foreste in quelle meridionali, si sono aggiunte
calamità naturali (terremoti, malaria ecc.) e fattori
storici, soprattutto, che hanno soffocato per secoli lo
sviluppo della regione. Le risorse economiche della
Calabria, basate prevalentemente sull'agricoltura, hanno
risentito, oltre che di una difficile e scarsa rete
stradale, di sistemi alquanto arretrati di coltivazione,
attuati in piccole proprietà terriere che danno redditi
insufficienti agli stessi coltivatori.
Nel 1861 la regione era
attraversata da 420 Km di strade. Agli inizi del '900 la
rete stradale era di 3450 Km; oggi misura circa 15.000 Km.
Ancora nella prima metà dell'Ottocento la Calabria era ben
in vista in Italia per le sue industrie siderurgiche nelle
Serre catanzaresi, la Mongiana e la Ferdinandea, e per
quelle tessili della piana di Sibari dove si produceva in
abbondanza cotone e lana. Con l'unificazione della penisola,
venendo meno la politica protezionistica doganale borbonica,
la regione si caratterizzò come terra di contadini e di
emigrati. Proprio in questo periodo si accrebbe il divario
tra lo sviluppo industriale del Nord e il sottosviluppo
agricolo del Sud.
La "questione" affonda le
sue radici nelle condizioni sociali ed economiche antiche:
le conquiste araba e normanna, lo sviluppo del feudalesimo
ed il formarsi del latifondo, l'accentramento monarchico dei
regni angioini ed aragonesi, la lunga e sfruttatrice
dominazione spagnola alla quale scarsi rimedi poté portare
la dinastia borbonica.
La Calabria della seconda
metà dell'Ottocento, con l'unificazione, invece di
avvantaggiarsi dell'aiuto di altre regioni più progredite,
si vide ulteriormente oppressa dalle tasse, dalla
burocrazia, dalla coscrizione obbligatoria.
Ma questa "terra di miseria e
di abbandono" possiede un patrimonio inestimabile di
bellezze naturali e testimonianze di molteplici e
straordinarie civiltà che qui si sono incontrate e
scontrate, lasciando i segni.
I segni della Preistoria
Sono passati circa 14 mila anni da che le coste calabre ed
i monti adiacenti furono abitati nell'età della pietra
scheggiata, come attesta il materiale rilevato nella caverna
di Torre Talao presso Scalea e nella grotta del Romito a
Papasidero. In questa grotta profonda 50 metri e alta 10 è
stato rinvenuto un disegno su roccia, delle dimensioni di 1
metro e 20 cm, che riproduce un toro. Il graffito è tipico
della pittura muraria del Paleolitico.
Nello stesso 1961 fu ritrovata presso Roccella Ionica una
necropoli di 37 tombe risalenti al periodo che va dalla fine
della età del bronzo all'inizio dell'età del ferro. A Torre
Mordillo, nel territorio di Spezzano Albanese, nel 1888
venne alla luce una necropoli di 229 tombe di epoca
preellenica. Gli arredi tombali di queste necropoli
testimoniano che le popolazioni indigene si fusero con i
popoli greci, approdati sulle nostre coste nella seconda
metà del sec. VIII° a.C.
La colonizzazione greca.
Abili
guerrieri, animati da desiderio di conquista, per necessità
di sottrarsi alle persecuzioni religiose e politiche nella
loro patria, cercarono nuovi lidi e si fermarono su quelli
dello Ionio.
Una colonia di Achei nel 710 a.C. fondò Sibari e Crotone;
più a sud approdò una colonia di Dori e fondò Locri.
L'influsso della raffinata civiltà e dell'arte di queste
città-stato sui paesi occidentali fu grande. Il tempo
distruttore ci lascia ancora qualche testimonianza.
Nel VI° sec. a.C. per commerciare i loro manufatti in
ceramica e le loro merci con i paesi campani ed etruschi, i
Greci di Sibari, navigando il Coscile e attraversando la
valle dell'Esaro, giunsero alla foce del Lao- attuale
territorio di Scalea- e lì fondarono Laos.
La città di Sibari andava assumendo un posto di preminenza
sulle altre città della Magna Graecia : Crotone, Locri e
Reggio. Agli inizi del 500 a.C. era la prima città greca in
Italia con 100.000 abitanti. Ricca e corrotta, incline alla
vita raffinata, Sibari possedeva un vasto territorio e molti
schiavi per poterlo sfruttare e per sviluppare il commercio.
Ben presto, però, entrò in rivalità con Crotone, città di
Pitagora, che nel 510 a. C. dimostrò la sua potenza,
distruggendo completamente la grande Sibari.
Dopo la disfatta di Sibari, mentre Crotone lottava con
Locri, dando inizio ad un periodo di decadenza e abbandono
di quella zona, scesero dal Nord i bellicosi popoli dei
Lucani e dei Bruzi. Questi si stabilirono sui monti della
Sila, fondando la loro roccaforte (Cosenza) alla confluenza
del fiume Busento col Crati. I Bruzi assoggettarono le
popolazioni indigene, minatori e contadini che avevano
abitato isolati le zone interne in seguito alla
colonizzazione greca, con il proposito di dominare l'intera
regione. Fu a questo punto che le colonie greche, con a capo
Thurio fondata dai superstiti sibariti, si ribellarono e
chiesero aiuto ai Romani (285 a.C.).
L'avvento della civiltà latina non cancellò del tutto quella
magno-greca.
Ancora oggi tra le popolazioni calabre sopravvivono: lingua,
usi, costumi e credenze di impronta greca. Il pianto ed i
lamenti funebri delle donne calabre, discinte e spettinate,
ricordano le"prefiche" greche. Il lamento funebre delle
nostre contadine in epoche passate "si avvicina
sensibilmente ai riti delle lamentazioni funebri del mondo
pre-cristiano".(2) E' anche greca l'usanza ancora viva fino
a qualche anno fa a Castrovillari e nei paesi del
circondario, in occasione di un lutto, che parenti ed amici
più intimi portassero alla famiglia in lutto, dopo il
funerale, il pranzo pronto, poiché in quella casa non si
poteva accendere il fuoco e cucinare. Anche le stoviglie ed
il resto occorrente per la consumazione venivano portate
nella casa in lutto e lì lavate per bene, tanto che non
restasse nessun segno della casa sfavorita dalla sorte; si
faceva altresì molta attenzione che non si rompesse qualche
bicchiere (ciò sarebbe stato di cattivo augurio per la
famiglia che offriva il pranzo,"u cunzu").
Il dominio di Roma.
Con l'arrivo degli eserciti romani iniziò la decadenza
della Magna Graecia e la schiavizzazione delle popolazioni
della Regione che attraversò tempi difficili, per
l'isolamento e l'abbandono in cui la lasciò Roma.
Immense estensioni boschive furono sfruttate dai Romani -
come attesta esaurientemente Plinio, a. XIV, 25-6 - per
ricavarne legname per la costruzione delle navi da guerra.
Tra le poche vestigia romane che il tempo ci ha tramandato:
la via Popilia, l'attuale 19 delle Calabrie,
costruita intorno al 128 a.C. per volere di Annio Rufo,che
congiungeva Napoli con Reggio; la via Traiana, la
attuale S.S. 18 tirrenica, fatta costruire dall'imperatore
Traiano nel I° sec. a.C. ; la via Ionica, l'attuale
106, costruita nel I° sec. d.C. sotto Antonino Pio, che
congiungeva Reggio con Eraclea (città colonia di Taranto).
L'astro romano cominciò a tramontare quando la Calabria fu
invasa da popoli germanici di passaggio per l'Africa. I
Visigoti con a capo Alarico, che incontrò la morte nel 410
presso Cosenza, e poi i Vandali costrinsero le popolazioni
della costa a ritirarsi nelle zone interne, sulle montagne,
per meglio difendersi. Le zone costiere, così, si
spopolarono e divennero paludose e malariche.
Nel I° sec d. C. arrivano i Bizantini.
Spentesi le ultime battaglie barbare, cominciava a
diffondersi un certo fervore religioso, dietro la spinta di
M. Aurelio Cassiodoro che raccolse molti monaci nel
monastero del golfo di Squillace.
Intanto da Bisanzio, capitale dell'impero d'Oriente,
Costantino dichiarava il Cristianesimo religione di Stato.
Tra il IX° ed il X° sec cresceva l'influenza bizantina in
Calabria, dando un notevole impulso alla società, sotto
l'aspetto politico, economico e religioso.
Popolazioni bizantine e monaci di rito greco, detti
basiliani, sospinti dalle invasioni saracene, migravano
verso le zone interne della regione, dove ben presto sorsero
importanti monasteri e centri abitati.
Mentre le popolazioni locali, in seguito alle scorrerie
turche, si ritiravano sui monti, dando vita a nuovi borghi,
i Saraceni fondavano i loro casali (Saracena).
La società del tempo vedeva emergere il ceto ecclesiastico e
quello dei funzionari militari, acculturati. Fu sotto il
dominio bizantino che la Regione, che dai precedenti
conquistatori era chiamata Bruzio, fu denominata
Calabria, terra bella (Kalà) e fiorente (brìo).
Infatti la regione attraversò un florido periodo, proprio in
coincidenza con la sua bizantinizzazione, periodo destinato
ben presto a concludersi con le invasioni normanne. Nella
zona del Pollino le popolazioni anche sotto il giogo dei
nuovi dominatori rimasero legate ai riti, alla lingua ed
alla cultura bizantini, come testimonia il persistere di
alcuni costumi ancora ai nostri giorni.
Sotto i Bizantini divenne obbligatorio imporre il sacramento
del battesimo ai neonati, con il nome di un Santo. Col
passare del tempo tra il popolo si radicò la credenza che
col battesimo il bambino uscisse dallo stato animale e
divenisse più buono rispetto ai non battezzati, discoli e di
carattere irruento. Già in tenerissima età veniva dato
insieme al Battesimo anche il Sacramento della Cresima, come
si usa ancora oggi nei paesi di rito ortodosso. La cultura
diffusa dai monaci basiliani ha introdotto nelle usanze dei
popoli calabresi la venerazione delle immagini sacre e la
liturgia della Settimana Santa, svolta con le sacre
rappresentazioni.
Il periodo di pace normanno-svevo (XI°-XIII°sec.)
In seguito alla conquista normanna, intorno all'anno Mille
si diffuse maggiormente il cattolicesimo, per la tolleranza
dei nuovi conquistatori, ma cessarono i contatti con
Bisanzio. I Normanni favorirono il monachesimo per
sostituire al rito greco quello latino. Tra il 1059 ed il
1061 per volere di Roberto il Guiscardo venne fondata
l'abbazia della Matina, presso S. Marco Argentano.
La prima azione bellica dei capi normanni, Guglielmo Braccio
di Ferro, conte di Puglia, e del fratello Roberto contro i
Bizantini si ebbe nella valle del Crati. Il Guiscardo, che
nel 1057 aveva iniziato la conquista della regione,
spingendosi fino a Reggio, nel 1064 occupò Castrovillari e
poi Morano e Cassano.
Iniziò un periodo di sviluppo e ristrutturazione del
territorio che fu diviso in contee, sotto la giurisdizione
dei nuovi signori.
Con i Normanni inizia il Feudalesimo. Questi, infatti,
distribuirono territori e città ai signori feudatari, loro
fedeli, che in breve tempo divennero molto potenti e
cominciarono a covare progetti di indipendenza.
Molte furono le guerre sotto il regno di Federico II°, un
regno all'insegna del pesante fiscalismo.
Tra Angioini ed Aragonesi.
Alla morte del grande Federico II°, il Papa, appoggiato dai
Baroni calabresi, chiamò Carlo d'Angiò, per sottrarre i
territori ai Normanni.
Le terre vennero cedute ai nuovi feudatari francesi (i
conti).
Sotto Gli Angioini dal 1266 al 1441 la Calabria visse un
periodo di crisi economica e politico-sociale. Le
popolazioni si ritiravano sulle alture in luoghi
inaccessibili, spopolando i borghi, per sfuggire agli
esattori angioini, mentre in Sicilia il popolo si ribellava
con la guerra del Vespro nel marzo 1282.
In questo periodo di depressione sociale e morale andava
diffondendosi l'opera di predicazione dei Fraticelli,
seguaci di Gioacchino da Fiore.
Dopo un lungo periodo di guerre gli Angioini vennero
scacciati dagli Aragonesi. Sotto i nuovi dominanti (dal 1442
al 1503) le condizioni di crisi della regione non
cambiarono. Gli strati più poveri della popolazione, le
masse contadine, i pastori, sopraffatti dalle esazioni
fiscali, covavano sempre più odio contro gli Aragonesi.
Castrovillari si ribellò al re Ferdinando e questi, per
tenere a freno la popolazione, fece costruire un imponente
baluardo all'ingresso della città. Eravamo alla fine del
1400 e la dinastia aragonese cominciava ad avviarsi al suo
tramonto nel Regno di Napoli.
In pochi anni le terre furono usurpate dai baroni. Poche
furono le città che riuscirono a conservarsi demaniali. Le
potenti famiglie ricevettero vaste estensioni di territorio,
in cambio di appoggi alla dinastia regnante. I Sangineto si
stanziarono ad Altomonte; a Morano regnarono prima i
Sanseverino e poi gli Spinelli; i feudi di Saracena e Lungro
erano in mano ai Sanfelice. Ed anche Castrovillari,
dichiarata città demaniale da Ferrante d'Aragona, fu venduta
nel 1521 a Giovan Battista Spinelli, Conte di Cariati, per
28.000 ducati.
Il carico fiscale era sempre più pesante; e i baroni, che
avevano il monopolio del commercio dei prodotti agricoli,
costringevano molti proprietari a vendere le loro terre.
Incominciava un periodo nero per la Calabria.
La dominazione spagnola (XVI° sec.)
Quelli della dominazione spagnola furono anni di atroci
sofferenze, di contrasti con i baroni, acuiti da carestia e
da pestilenze: terribili quelle del 1656 e del 1668 che
mietevano le popolazioni, riducendole di un terzo. La
popolazione della Calabria, che alla metà del Cinquecento
era di 800.000 abitanti, alla fine del secolo era calata a
555.000 abitanti.
Dopo la terribile peste nel 1661 si contavano circa 408.000
abitanti.(4) Un incremento demografico si ebbe verso la fine
del Settecento, quando il numero degli abitanti salirà a
725.000.
Le grandi famiglie agli inizi del 1600 davano i primi segni
di decadenza, in conseguenza della loro vita sfarzosa. Ma il
dissesto finanziario si ripercuoteva sulla popolazione con
più pesanti tasse. I grandi latifondi baronali col tempo
passarono in mano ai fittavoli.
L'economia diede segni di ripresa nei primi decenni del
Settecento quando giunsero le prime riforme del saggio Carlo
III° di Borbone.
Mentre l'Italia centro-settentrionale rifioriva
culturalmente dietro la spinta del movimento
umanistico-rinascimentale, la Calabria restava una regione
inaridita dalla feudalità, appartenente al Regno di Napoli.
L'aristocrazia feudale, d'intesa con il governo spagnolo,
aveva raggiunto posizioni influenti nella società. Le grandi
famiglie possedevano i latifondi e vivevano nel lusso del
loro castelli, che, cinti da alte mura, separavano "i
signori" dai rozzi contadini .
La popolazione, misera, che da molti anni languiva nel borgo
intorno al castello, pagando esosi tributi ai feudatari e
alla Chiesa che possedevano ingenti proprietà, cominciava a
ribellarsi alle ingiustizie del malgoverno spagnolo.
Verso la fine del 1600 inondazioni e gelate invernali
compromisero i raccolti e nel 1693 un forte terremoto si
abbattè sulla Calabria, recando morte e distruzione a
Castrovillari, Morano, Mormanno ed altri centri della
regione. Furono anni di miseria e di carestia.
Gli insediamenti albanesi.
Sotto la dominazione spagnola le deserte contrade della
Calabria settentrionale andavano popolandosi di famiglie
albanesi, profughe dalla loro patria invasa dai Turchi.
Dopo la morte dell'eroe Giorgio Castriota Skanderbeg nel
gennaio 1468, il popolo albanese, sopraffatto dai Turchi,
cominciò l'esodo verso le coste calabre. Gruppi di pastori
profughi, spintisi verso le zone interne, alle falde del
Pollino, fondarono i primi villaggi (gruppi di capanne
costruite con fango e paglia) Frascineto, Eianina, Civita,
Lungro, Firmo, San Demetrio Corone, San Basile,
Acquaformosa, Spezzano Albanese ed altri.
I rapporti tra le nuove etnie e le popolazioni indigene non
furono inizialmente dei migliori.
Le popolazioni albanesi hanno lingua, costumi e mentalità
diverse, oltre al rito greco che le ha tenute unite
etnicamente fino ai tempi odierni.
Le comunità arbereshe, da secoli ben integrate nella nostra
terra, continuano a lottare, tenendo vive le loro tradizioni
popolari, per conservare la loro identità, per non lasciar
disgregare la loro cultura etnica e linguistica.
Gli Albanesi residenti attualmente in Calabria sono più di
100 mila, distribuiti in 25 comuni della Provincia di
Cosenza ed in 8 di quella di Catanzaro.
Dai Borboni all'Unità d'Italia.
Nella prima metà del Settecento la Calabria
si avviava ad un periodo di riforme, sotto l'amministrazione
di Carlo III° di Borbone (salito sul trono di Napoli nel
1743). L'attività lavorativa che sembrava godere di una fase
di ripresa, soprattutto nell'industria della seta e nella
lavorazione del legname, nella seconda metà del secolo entrò
in crisi.
Le critiche condizioni della società furono
aggravate dalle calamità naturali che si abbatterono sulla
regione, soprattutto nelle sue zone meridionali.
Nel 1783 un tremendo terremoto causò danni
irreparabili a molti paesi. I raccolti agricoli andarono
persi; i fiumi strariparono e inondarono terre e villaggi;
la popolazione versava in condizioni di indigenza veramente
spaventose. Il governo borbonico per porre riparo a tale
situazione istituì la "cassa sacra". Tale istituzione aveva
il compito di requisire i beni appartenenti alla Chiesa e,
rivendendoli, utilizzare i fondi per costruire strade e
bonificare le terre paludose. Si intendeva venire incontro
alle necessità delle masse contadine anche con una riduzione
delle tasse e l'assegnazione di un pezzo di terra da
coltivare per sopravvivere.
La "cassa sacra" tendeva ad eliminare il
latifondo ecclesiastico ed a favorire le classi meno
abbienti, ma finì per avvantaggiare la classe borghese (i
galantuomini). Cominciò così ad acuirsi la profonda frattura
tra la classe borghese, sempre più emergente, e quella dei
contadini che alla fine del settecento porterà a sanguinosi
scontri.
Nel febbraio 1806 i Francesi occuparono
Napoli. Si cominciava anche in Calabria a respirare aria di
riforme e di libertà.
Durante il governo dei napoleonidi - dal 1806
al 1815- si assistette ad un notevole rinnovamento: la
società calabra si avviava ad una graduale evoluzione
liberale e democratica.
Nell'agosto 1806 fu emanata la Legge sulla
eversione della feudalità.
LEGGE EVERSIVA DELLA FEUDALITA' - 2 AGOSTO
1806
1 - La feudalità con tutte le sue
attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni baronali
e i proventi annessi sono integrati alla sovranità.
2 - Tutte le città, terre e castelli, abolita
qualunque differenza, sono sottoposte alla comune legge del
Regno.
3 - I fondi e le rendite feudali sono
soggetti a tutti i tributi come ogni altro fondo o rendita.
4 - Sono abolite tutte le angherie, la
parangarie ed ogni altra prestazione o servigio che i
feudatari solevano riscuotere dalle popolazioni.
5 - Sono del pari aboliti tutti i diritti
proibitivi, i diritti di pesca, "bagliva", scannaggio ed
altri. Solo lo stato può fare concessioni o stabilire
privative.
6 - I demani feudali restano agli attuali
possessori, e così pure i cittadini continueranno a godere
degli usi civici su di essi costituti, fino a quando una
legge non ne ordinerà la divisione fra ex feudatario e
cittadino, in base al valore dei rispettivi diritti.
Per derimere le immancabili controversie fra
feudatari e Stato e fra feudatari e Comuni, viene costituita
la Commissione Feudale, con sede in Napoli".(5)
Tale Legge antifeudale prevedeva l'abolizione
dei privilegi dei baroni, lasciando agli stessi il possesso
delle loro terre, inoltre attribuiva ai Comuni le parti di
feudo - boschi e pascoli- su cui le popolazioni esercitavano
gli usi gratuiti di semina, pascolo e raccolta di legna da
ardere. I baroni-feudatari, privati degli antichi privilegi,
divennero semplici proprietari delle loro terre. Così fu
avviata la divisione delle terre demaniali tra feudatari e
Comuni e la distribuzione da parte di quest'ultimi ai
contadini che erano tenuti a pagare un canone annuo. Molti
contadini, però, non avendo i mezzi necessari, furono
costretti a vendere la terra loro assegnata ai più ricchi ,
che intanto arbitrariamente avevano usurpato vaste zone di
demanio comunale.
La legge dei
Napoleonidi non eliminò l'accentramento della proprietà
terriera nelle mani di poche famiglie, ma fece scomparire la
classe dei baroni, come ceto. In realtà questa forza
sociale, insieme al clero ed alla nuova borghesia -notai,
medici, avvocati - sopravvivrà ancora e condizionerà gli
sviluppi e le trasformazioni della società meridionale.
Il governo francese riformò anche
l'amministrazione fiscale, introducendo l'imposta fondiaria;
e nel gennaio 1809 emanò un nuovo codice penale. Ma una
delle più significative riforme amministrative riguardò la
suddivisione del Regno.
La suddivisione amministrativa e
giurisdizionale della Calabria, disposta dai Francesi nel
1806, comprendeva: la Provincia di Calabria Citra (il
territorio più vicino a Napoli) e la Provincia di Calabria
Ultra (più distante dalla capitale del Regno). Il confine
era segnato dal corso dei fiumi Neto (sulla costa ionica
presso Crotone) e Savuto sul Tirreno.
La Provincia "Citeriore" comprendeva:
1 - il Distretto di Cosenza con 142 Comuni
2 - il Distretto di Castrovillari con 52
Comuni
3 - il Distretto di Paola con 52 Comuni
4 - il Distretto di Rossano con 38 Comuni.
La Provincia "Ulteriore" con capitale
Vibo Valentia (l’antica Monteleone) comprendeva:
1 - Il Distretto di Vibo con 164 Comuni
2 - Il Distretto di Gerace con 61 Comuni
3 - il Distretto di Catanzaro con 84 Comuni
4 - il Distretto di Reggio con 102 Comuni.
La suddivisione delle due province fu imposta
dalla corte di Napoli soprattutto per ragioni fiscali ed
amministrative.
Ma con il ritorno dei Borboni sul trono di
Napoli nel 1816 la Regione fu divisa in tre Province:
1 - Calabria
Citeriore con capitale Cosenza
2 - Calabria
Ulteriore I° con capitale Reggio
3 - Calabria
Ulteriore II° con capitale Catanzaro.
Ai centri capoluogo di Provincia spettava
l'amministrazione delle finanze, del commercio, della
sicurezza pubblica.
Si organizzavano i Consigli comunali; "i
Comuni venivano dotati di un Sindaco e di una giunta (il
corpo di Città), i cui membri venivano scelti fra una
ristretta élite di proprietari terrieri e di professionisti.
(6)
Le riforme dei Francesi non ottennero i
risultati sperati, soprattutto in seguito alla politica dei
Borboni, che vennero restaurati sul trono di Napoli nel 1816
e vi resteranno fino all'arrivo di Garibaldi nell'agosto
1860.
Gli anni che precedettero l'Unificazione
della penisola fecero registrare un incremento della
popolazione calabra che da 805.042(censimento del 1816)
passò a 1.206.302 abitanti (censimento del 1861). (7)
La popolazione aumentava; si incrementavano i
centri urbani; venivano dissodate vaste estensioni di boschi
e coltivate a frumento. Progrediva nella Regione inoltre la
coltivazione dell'ulivo, della vite e del gelso; e si
diffondeva l'allevamento del bestiame. Chi si dedicava a
questa attività prendeva in fitto vaste estensioni di terra
per poter lasciare al pascolo le sue mandrie. All'aumento
della popolazione corrispose una maggiore richiesta di
prodotti agricoli; ma le tecniche produttive non subirono
innovazioni e la produttività non accelerò il suo ritmo. I
contadini molto spesso furono costretti a vendere il proprio
fondo ed a prestare la loro opera come salariati. Furono
anni terribili in cui il bracciante spesso non trovava
lavoro, se non durante i periodi di semina e raccolto, e
riceveva un salario che non bastava a sostentare la propria
famiglia.
E mentre nell'Italia settentrionale
decollava l'industria, l'economia calabrese crollava sotto
il peso della precipitosa caduta dei prezzi del vino e
dell'olio in particolare e dei cereali. La miseria e la
povertà dilaganti alimentarono il malcontento delle
popolazioni nei confronti della monarchia borbonica. In
breve tempo sorsero circoli e comitati per dibattere i
problemi più urgenti, dietro la spinta delle nuove idee di
libertà e di progresso, per preparare le masse alle dottrine
liberali. Molto efficienti furono i Comitati di Salute
Pubblica di Castrovillari, Cassano, San Demetrio e Rossano.
Ma gli avvenimenti di rivolta di quegli anni
erano, infatti, destinati a fallire, per il fatto che i
protagonisti erano gruppi di uomini male organizzati nel
coordinare le loro azioni, senza precisi programmi, che non
ebbero l'appoggio delle masse. Sotto le armi borboniche
caddero tra gli altri i valorosi fratelli Bandiera,
giustiziati a Cosenza il 25 luglio 1844.
Nonostante nelle Province di Calabria Citra molti furono i
processi e le condanne a morte dei rivoluzionari, era
prossima la fine della dinastia borbonica. Anche in Calabria
si respirava aria risorgimentale: le lotte e le ribellioni
continuarono fino all'agosto del 1860 quando le truppe
guidate da Garibaldi liberarono la regione.
Economia e società dopo l'Unità. Il Brigantaggio.
La nostra Regione, annessa al regno d'Italia dominato dai
Savoia, si trovò immersa in gravi difficoltà. Con
l'abolizione delle protezionistiche tariffe doganali, le
medie e piccole industrie furono costrette a chiudere.
Riguardo all'amministrazione statale, abolita la corte di
Napoli, le più alte cariche amministrative erano ricoperte
da piemontesi, ignari delle realtà meridionali, che le
popolazioni del sud guardavano con diffidenza.
Nei primi anni post-unitari, sciolto l'esercito borbonico,
molti uomini tornavano a casa disoccupati e con sempre
maggiore bisogno di lavorare, oppressi da esose tasse.
Nacque in questo periodo la lunga e sanguinosa protesta
delle popolazioni che va sotto il nome di "Brigantaggio", un
fenomeno storico assai complesso. Sempre più numerose bande
di briganti, appoggiate dalle masse contadine e protette
dalla Chiesa, animate da un senso di giustizia sociale, si
davano alla macchia. Intanto il Re Francesco II° di Borbone
fomentava la rivolta popolare con la speranza di tornare sul
trono.
Già da qualche secolo la Calabria si era caratterizzata per
l'azione di dissenso politico verso i precedenti governi da
parte di alcuni briganti, braccianti poveri, che, spinti
dalla fame, saccheggiavano e derubavano nelle proprietà dei
ricchi. Col passare del tempo il fenomeno si ingigantì tanto
che nella sola provincia di Cosenza si contavano più di
mille briganti.(8) A nulla erano servite le leggi repressive
emanate con l'intento di distruggere completamente le bande
che infestavano alcune province.
Nel 1863 fu emanata la "Legge Pica" che impegnava quasi la
metà dell'esercito italiano per la repressione del
brigantaggio. E così il nuovo Stato unitario appariva agli
occhi delle masse meridionali come uno stato fortemente
repressivo e fiscalista al quale guardare con sfiducia. Si
acuì in questo periodo una netta separazione tra popolo e
istituzioni e si andò sempre più rafforzando il legame tra
questo e le grandi famiglie proprietarie.
Il governo della Italia unita con la sua politica liberale
favorì lo sviluppo dell'agricoltura meridionale. L'olio e
gli agrumi della Calabria venivano richiesti dai mercati
internazionali, ma gli agricoltori si dimostravano poco
capaci di commerciare i loro prodotti in altre regioni
italiane o addirittura all'estero. Sin dalla restaurazione
borbonica la cerealicoltura aveva ceduto il passo alla
coltura degli ulivi e degli alberi da frutta. Ma il lavoro
agricolo non era l'unica occupazione delle popolazioni
meridionali nel secolo scorso. Le donne si occupavano della
filatura e della tessitura della lana, del lino e del
cotone, della manifattura della seta, dando vita a piccole
industrie manifatturiere, a conduzione familiare.
Nel distretto di Castrovillari si produceva in abbondanza
cotone, lino e seta. Abbondante era la produzione di olio,
vino e cereali a Cassano e Castrovillari dove esistevano
molini e frantoi idraulici. A Mormanno c'erano concerie di
cuoio; fabbriche di panni a Morano e di stoviglie a Cassano;
fabbriche di liquirizia a San Lorenzo del Vallo, di candele
a Mormanno; vi era uno stabilimento per la brillatura del
riso a Cassano; ad Altomonte esisteva uno stabilimento di
vini e liquori che esportava in Europa e persino in America.
Nella II° metà dell'Ottocento la Calabria possedeva
industrie metalmeccaniche che producevano attrezzature
agricole, torchi e ruote dentate necessari al settore
tessile. Seppure di portata artigianale e familiare,
localizzata in alcune aree, l'industria meridionale a quel
tempo non era di molto inferiore a quella settentrionale. Ma
col passare del tempo il divario andò acuendosi soprattutto
perché le grandi famiglie preferivano investire i loro
capitali in altri settori, meno rischiosi di quello
industriale. Anche la posizione geografica della regione, la
limitata rete stradale e la politica inadeguata dello Stato
unitario pesarono sull'arresto della crescita industriale
delle nostre zone.
Le piccole imprese, esposte alle tariffe libero-scambiste e
sottratte agli sgravi ed alle facilitazioni che avevano
concesso i Borboni, furono costrette a chiudere o a subire
ridimensionamenti.
E così, col declino dell'industria serica, grandi estensioni
di gelsi furono tagliate e coltivate a frutteti. Non
bisogna, inoltre, dimenticare che le amministrazioni locali
a quell'epoca non favorirono le attività imprenditoriali e
non sopperirono attivamente alla mancanza di strade e di
strutture efficienti, capaci di portare la regione verso lo
sviluppo industriale.
La crisi di fine secolo. L'emigrazione.
Negli ultimi 20 anni dell'Ottocento la
Calabria fu investita da una grave crisi agraria. La coltura
granaria fu duramente colpita dalle importazioni di grano
americano e russo; ed anche la coltura dei legumi e
dell'olivo fu sconvolta. Il solo settore che si avvantaggiò,
ma solo per pochi anni, fu quello della viticoltura, ma solo
perché i vigneti francesi erano stati distrutti dalla
fillossera.
La superficie destinata alla coltivazione del
grano, granturco, avena e orzo che negli anni intorno al
1870 era di circa 382.000 ettari si ridusse a 252.000
ettari; mentre si manteneva stabile la produzione di
fagioli, ceci e fave, (di cui si cibava abitualmente la
popolazione).
Calarono i prezzi: un quintale di grano che
nel 1881 costava 27 lire circa, diminuì a 22 Lire al
quintale nell'ultimo decennio del secolo. E così il prezzo
del vino passò da 35 Lire a ettolitro a 25 Lire; e il prezzo
dell'olio d'oliva calò del 32%.
In questi anni di crisi, mentre da un lato si
registrava un aumento della popolazione (da 1.140.396
abitanti, al censimento del 1861, si passava a 1.370.206 nel
1901),(9) dall'altro si osservava un calo del 20% dei
braccianti, mentre aumentavano affittuari e coltivatori
diretti.
Contemporaneamente aumentava il numero delle
donne che operavano nel settore dell'agricoltura. Centinaia
di donne che nei decenni precedenti erano occupate nelle
industrie tessili, con la crisi del settore, si rivolsero
all'agricoltura e tante altre furono costrette dalla
necessità di sostentare la famiglia, dopo la partenza dei
loro uomini verso terre lontane, in cerca di lavoro.
La crisi era altrettanto grave nel settore
della proprietà fondiaria calabrese.
La grande proprietà, oltre 50 ettari,
prevaleva generalmente nella zona pianeggiante del
circondario di Castrovillari; seguivano le piccole
proprietà, derivanti dalle ripartizioni che venivano
assegnate in misura eguale tra gli eredi.
Il proprietario impiegava scarsi capitali
nella terra, preferiva pagare un basso salario ai braccianti
e si accontentava di una minore rendita. D'altra parte
aumentavano i contadini, fittavoli, coloni e mezzadri. Nel
castrovillarese era maggiormente in uso la "mezzadria":il
colono ed il proprietario ripartivano a metà le spese per i
prodotti da seminare e dividevano anche in parti uguali gli
utili. I contadini dovevano accontentarsi di un misero
salario che variava dai 17 ai 30 soldi al giorno;
e intanto la fame cresceva.
L'imposta erariale sui terreni era aumentata
nel tempo; erano cresciute le imposte sul dazio di consumo,
la tassa sul bestiame e l'imposta di famiglia.
La situazione della Calabria alla fine
dell'Ottocento si presentava tra le più critiche del
Meridione; e la risposta a questa grave crisi fu
l'emigrazione transoceanica. Dal 1880 in poi ogni giorno i
paesi del circondario di Castrovillari avevano visto partire
decine di uomini in cerca di lavoro nelle Americhe.
Castrovillari e il suo hinterland fecero registrare nel 1901
un calo di 7.190 abitanti, proprio a causa dell'emigrazione.
(10)
Contadini, agricoltori, artigiani senza lavoro si
indebitavano per racimolare i soldi necessari per il viaggio
verso l'Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti e l'Uruguai.
Il flusso migratorio aumentò progressivamente fino a
raggiungere le 715.000 unità circa nel primo decennio del
Novecento. La grande emigrazione incise, oltre che nel
tessuto sociale delle popolazioni calabresi, in quello
economico. Al venir meno delle braccia maschili, corrispose
un aumento del lavoro femminile nella conduzione in proprio
dei terreni ed un incremento della manodopera minorile.
Intanto gli "americani" inviavano i loro guadagni alle
famiglie rimaste nei luoghi di origine. Qui parte di quei
soldi veniva messa da parte per poter comprare un
appezzamento di terreno o per iniziare, al rientro in
patria, una attività commerciale più remunerativa di quella
agricola della quale gli emigrati da anni si erano
disamorati.
Intanto mutavano idee, abitudini di vita,
costumi e le rimesse degli emigrati creavano nuove
opportunità d'investimento.
Dagli inizi del 1900 alla I° guerra
mondiale.
Dalla grande crisi agraria di fine Ottocento
non prese origine solo il fenomeno dell'emigrazione, ma
iniziò a muovere i primi passi il movimento contadino. La
speranza di riscatto delle masse meridionali era riposta nel
futuro progresso, nel socialismo che in quegli anni
cominciava a diffondersi anche nelle campagne.
Nuove realtà sociali si affacciavano sulla
scena politica; i ceti popolari, da sempre esclusi,
cominciavano a partecipare alla vita pubblica, grazie
soprattutto alla riforma elettorale del 1882 che consentiva
a chi sapeva leggere e scrivere ed aveva assolto il servizio
militare di votare. L'allargamento del suffragio politico
era notevole anche in Calabria: gli elettori passavano da 23
mila a 70 mila.
Con l'avanzata della Sinistra cominciavano a
diffondersi le prime aggregazioni sindacali, le leghe
contadine e ad emergere, dopo le Elezioni politiche del
1909, uomini nuovi, professionisti, non più appartenenti a
famiglie di grandi e medi proprietari terrieri, come in
passato. Così nel Collegio di Castrovillari chiudevano
un'epoca i deputati Vincenzo e Francesco Pace -nipoti del
Barone Toscano- che si erano succeduti dal 1871 al 1895 ed
emergevano figure nuove, come il socialista riformista
avvocato Attilio Schettini, eletto deputato nel 1909, ed il
repubblicano Luigi Saraceni, che verrà eletto alla Camera
dei deputati nel 1913. Il giovane avvocato, che insieme al
fratello Silvio fondò la rivista antigiolittiana "Il Moto",
aveva già dato prova della sua tempra il 1° settembre 1901
quando, a capo di un comitato esecutivo, aveva tenuto un
comizio a circa 8 mila persone nel piazzale del Ginnasio,
lanciando il grido di protesta:"Vincere o ribellarsi", per
sollecitare la ripresa dei lavori della ferrovia Lagonegro -
Castrovillari. (12)
Accanto ai primi nuclei socialisti, formati
da avvocati, medici, studenti, con qualche infiltrazione
contadina, andavano organizzandosi anche leghe di estrazione
cattolica. La partecipazione cattolica alle lotte
amministrative era guidata da ecclesiastici, tra i quali don
Carlo de Cardona.
Pur tra i dissensi e i contrasti questi
nuclei socialisti e le leghe "bianche" si impegnavano in una
lunga lotta per la trasformazione delle condizioni
economiche e sociali della regione.
Nonostante il governo, guidato da Giolitti,
aveva preso delle importanti iniziative legislative a favore
del Meridione: sgravi fiscali, agevolazioni finanziarie per
opere pubbliche, tuttavia le condizioni delle popolazioni
calabresi erano critiche.
Il terremoto che si era furiosamente
abbattuto sul territorio cosentino l'otto settembre 1905
attirò l'attenzione del governo centrale che inviò l'allora
ministro dei Lavori pubblici, on. Ferraris, a constatare le
reali condizioni delle zone colpite dal sisma. Dopo
l'inchiesta, lo Stato si assunse il carico delle spese
necessarie al ripristino delle strade e delle ferrovie
disastrate; creò, inoltre, l'Istituto Autonomo "Vittorio
Emanuele III°" per la concessione di crediti agevolati per
gli agricoltori e stabilì la concessione di mutui ai
cittadini per ristrutturare le abitazioni danneggiate.
Ingiustizie, speculazioni e ritardi sulla assegnazione dei
fondi per la ricostruzione dei paesi colpiti dal terremoto,
fecero sì che la Legge speciale per la Calabria rimanesse
sulla carta; oltretutto un piovoso autunno del 1907 aveva
devastato ampie estensioni di terreno, compromettendo i
raccolti nel circondario di Castrovillari. Le popolazioni,
disperate, cominciarono a dare segni di insofferenza. Il 13
febbraio di quell'anno a Firmo ci fu una sollevazione
popolare contro le imposte, sedata dai carabinieri; a Lungro
furono occupati gli uffici del Comune; anche a Saracena, a
Spezzano, a Castrovillari, a Verbicaro ed in altri centri
della provincia ci furono sollevazioni popolari contro il
governo giolittiano. Tali fatti richiamarono l'attenzione
del governo nazionale e della stampa sulle arretrate
condizioni della Calabria.
Dall'Inchiesta parlamentare dell'on. Nitti,
del 1910, si ha un quadro della situazione delle popolazioni
rurali e urbane nella provincia di Cosenza nei primi 20 anni
del '900.
Nel circondario di Castrovillari nel 1904
erano coltivati ad avena 12.831 ettari di
terreno.(13)Inoltre si coltivavano granturco, patate ed
altri cereali. La maggiorparte dei terreni restavano a
pascolo e a boschi; e 25mila ettari erano coltivati a
uliveti. Era altresì in espansione la coltura degli agrumi,
della vite e dei fichi. La maggiorparte di questi prodotti
andava a soddisfare il consumo della popolazione che versava
in condizioni disperate.
In quegli anni i fichi secchi ed il pane di
granturco o di segala erano alla base dell'alimentazione
quotidiana dei contadini. A sera, stanchi del lavoro nei
campi, si cibavano di una minestra di verdure, di patate o
legumi. Le famiglie più benestanti, che allevavano il
maiale, facevano provvista per tutto l'anno di grasso da
usare come condimento per le pietanze e di carne salata e
insaccata. Questa, tuttavia, era consumata solo nei giorni
di festa solenne.
In tempi di carestia e di disoccupazione
c'era chi si accontentava di mangiare solo pane o erbe
selvatiche cotte con poco condimento e chi poteva
permettersi di variare il suo regime alimentare, consumando
pane, pasta, formaggio, frutta e quanto poteva produrre nel
suo podere. Le condizioni più misere le subiva la
popolazione che era costretta a ricorrere al mercato per
l'acquisto dei beni di prima necessità, dato l'aumento dei
prezzi. Alla vigilia della grande guerra un chilo di pane
costava, infatti, 50 centesimi; la carne di maiale 2 Lire al
Kg; un litro di olio Lire 2,20 ed un litro di vino Lire
3,70.
Il salario di un bracciante era di 2 lire al
giorno; 60 centesimi percepivano le donne ed i ragazzi.
Scarseggiavano zucchero, caffè e birra,
generi entrati in uso, grazie agli emigranti, tra i ceti
medi della popolazione.
In quegli anni di maggiore flusso migratorio
si registrava un radicale mutamento nel tessuto sociale
meridionale, una riduzione dell'alto tasso di analfabetismo
(il circondario di Castrovillari contava l'80% di
analfabeti) una trasformazione delle condizioni di vita,
grazie alle rimesse degli emigrati.
Un certo progresso era stato compiuto anche
nel settore della viabilità: la regione disponeva di 4.400
Km. di strade carreggiabili(14); ma era stata fatta cosa
modesta, se i Comuni della Provincia erano in maggioranza
collegati da strade sterrate in pessimo stato di
manutenzione, difficili da percorrere durante i mesi
piovosi.
La
rete ferroviaria accusava forti ritardi di completamento. Il
tronco ferroviario che doveva collegare Spezzano A. a
Castrovillari ancora nel 1907 restava in progetto; il tronco
Castrovillari-Lagonegro nel 1910 non era stato completato.
Alla provincia di Cosenza appartenevano 475 Km di strade
percorribili su 800 dell'intera Calabria.(15)
Il malcontento della popolazione.
Negli anni bui della guerra (1915-18) la
popolazione patì la fame per la mancanza dei generi di prima
necessità. La produzione del grano era diminuita per il
richiamo alle armi degli uomini; mancava la farina ed il
prezzo della pasta aumentò da £ 0,88 a 1 £ al Kg.
All'enorme fabbisogno, insoddisfatto da frodi
ed accaparramenti, la popolazione rispose con insurrezioni
in vari paesi. Contro il carovita nel 1917 centinaia di
donne scendevano in piazza a manifestare il loro malcontento
ad Oriolo, a Mormanno, a Morano e a Castrovillari, dove
circa 500, donne occuparono il Municipio. Alla fine di quel
duro anno di guerra il blocco totale dei trasporti impediva
l'entrata delle scorte alimentari nella regione, gettando le
popolazioni nella disperazione della fame. Di fronte
all'infuriare del carovita le popolazioni scesero in piazza,
saccheggiando case e negozi, irrompendo nei municipi e
appiccando incendi. Il 1919 fu l'anno cruciale delle
rivolte. In gennaio la forza pubblica dovette intervenire
per sedare le dimostrazioni della folla a Lungro, Cassano,
Castrovillari ed in altri centri della Provincia. Il 27
luglio a Sant'Agata d'Esaro oltre 300 persone, in
maggioranza donne, armate di accette, coltelli e bastoni,
avevano scassinato 3 negozi di tessuti e uno di utensili di
rame. Il 23 gennaio la Confederazione generale del Lavoro
proclamò uno sciopero nazionale contro il carovita.
Nell'immediato dopoguerra questa situazione di disagio
andava acuendosi con il ritorno dei reduci dal fronte. Le
masse contadine, che avevano costituito il grosso
dell'esercito combattente ed erano partite nonostante la
loro opposizione all'intervento in guerra, al loro ritorno
in patria non videro soddisfatta nessuna delle promesse da
parte dei governanti, prima fra tutte l'assegnazione di un
"pezzo di terra".
Con il Decreto Visocchi del 2 settembre 1919
il governo riconobbe ai contadini poveri, organizzati in
cooperative, il diritto di occupare le terre incolte o
malcoltivate dei grandi proprietari, latifondisti,
usurpatori di terre demaniali. Ma per i ritardi di
applicazione del Decreto, i contadini iniziarono una lotta
accanita, repressa spesso con le armi, contro i grandi
proprietari, occupando le terre incolte. Le masse contadine
capirono che era necessario organizzare e condurre con
sistematicità la lotta che si presentava dura e difficile.
Fu allora che sorsero tante diverse forme di organizzazione,
di movimenti contadini in varie zone d'Italia, spesso non
coordinati tra loro, ma appoggiati dai gruppi politici
emergenti in quegli anni. La prima organizzazione a lottare
per la conquista dei contratti collettivi fu la "Federazione
nazionale dei lavoratori della terra", aderente alla
Confederazione generale del Lavoro, che contava 1.145.000
iscritti, operai agricoli, mezzadri, piccoli affittuari di
tendenza socialista.
Di tendenza cattolica, alle dipendenze del
Partito Popolare (fondato nel '19 da don Luigi Sturzo) era
la "Confederazione italiana dei lavoratori", mezzadri,
piccoli proprietari, agricoltori, con 945.000 iscritti.
Poi si era costituita la "Confederazione
italiana del Lavoro" di tendenza repubblicana, con 60.000
iscritti ed inoltre "L'Associazione nazionale degli ex
combattenti", attiva soprattutto nel Meridione dove assunse
il carattere di vera e propria organizzazione contadina.
(16)
Con le Elezioni amministrative parziali del
1919 e quelle generali del '20 la borghesia fondiaria fu
disfatta completamente e le masse contadine, sempre più
emergenti e politicizzate, fecero importanti conquiste.
Ai piccoli affittuari ed ai coloni vennero
riconosciuti i "contratti collettivi". I proprietari
rinunciavano ad imporre contratti individuali e scendevano a
patti con i contadini. Erano abolite le odiose forme di
sfruttamento, i privilegi padronali ed il feudale contratto
di "terzeria". Con il sistema di terzeria i proprietari
imponevano al colono il tipo di prodotto da coltivare nelle
loro terre e non affrontavano spesa alcuna, in quanto
concime e sementi erano a carico del contadino. Al momento
del raccolto il proprietario prendeva i due terzi del
prodotto e lasciava al contadino solo un terzo,
insufficiente a sfamare la famiglia. Vennero aboliti anche
gli "usi" di fornire giornate lavorative, senza
retribuzione, nelle terre del proprietario, di portare al
padrone ogni settimana un certo numero di uova e galline,
inoltre venne abolita la somma per il fitto della casa
colonica.
Con i nuovi contratti , soprattutto di
mezzadria, il contadino divideva a metà le spese con il
proprietario del fondo che coltivava e spartiva il raccolto.
I lavoratori agricoli, salariati giornalieri e annuali
ottennero un aumento della paga e una riduzione delle ore
lavorative nella giornata.
In questo periodo cominciarono a proliferare
cooperative agricole ed edilizie sostenute da gruppi
politici, con la speranza di trovare lavoro ai tanti
disoccupati.
Alle Elezioni del 1920 avevano riportato
vittorie elettorali i candidati del partito dei Combattenti;
mentre si trovava in difficoltà il partito socialista che al
Congresso di Livorno del 1921 si spaccherà in due: nacque
allora il Partito Comunista d'Italia, che presentò una sua
lista alle Elezioni politiche, riscuotendo ampi consensi.
Non presentarono una loro lista i Fascisti che si erano
riuniti a San Lucido nel 1° Congresso regionale. Da quel
momento le "camicie nere" cominceranno a caratterizzare il
loro operato politico, scontrandosi con i socialisti che in
quegli anni appoggiavano i contadini contro i proprietari
per l'occupazione delle terre.
Le annate dal '20 al '22 furono costellate da
ondate di scioperi e varie insurrezioni popolari contro il
rialzo incessante dei prezzi e il ritardo del completamento
dei lavori di opere pubbliche, appaltate già da un decennio.
Il 16 ottobre 1921 la popolazione di Castrovillari entrò in
agitazione per chiedere il completamento del tronco
ferroviario Lagonegro-Castrovillari, (della questione si era
già interessato il deputato Saraceni). Nel dicembre del '21
i contadini di Firmo occuparono il fondo di Serra Giumenta,
di proprietà dei Principi Bisignano. Nel febbraio '22 ci fu
uno sciopero a San Lorenzo del Vallo; in agosto a Morano ed
in altri centri della zona.
In quegli stessi anni andavano emergendo i
primi nuclei fascisti, costituiti soprattutto da giovani di
estrazione piccolo-borghese, alla ricerca di un mutamento
sociale della regione, di identità e di affermazione
politica.
Nel 1920 la provincia di Cosenza contava 115
iscritti al Partito fascista; nel 1921 ne contava: 363; nel
1922 :1036 iscritti.(17)
Questi primi nuclei fascisti che operavano
prima della marcia di Mussolini su Roma (ottobre '22) non
avevano ancora una valenza politica di rilievo.
La Prima Guerra Mondiale e la Calabria
approfondisci >>
Il ventennio fascista.
La "fascistizzazione" della Calabria ha
radici in fenomeni di diversa natura; e la composizione
sociale della organizzazione fascista nelle campagne si
differenzia da quella delle città.
Nei centri urbani del Paese i promotori del
movimento erano i commercianti, gli industriali, i quali
sovvenzionavano con laute somme di denaro l'azione dei
"fasci" e davano loro l'appoggio della polizia.
Nei Comuni rurali dopo i primi movimenti nati
dalla piccola e media borghesia, delusi dai risultati della
guerra e dall'immobilismo delle condizioni della società, i
fondatori dei primi fasci furono i grandi proprietari ed i
grandi affittuari che avevano in mente di appoggiare le
"squadre di azione" per indebolire le organizzazioni
contadine "rosse", e sopprimere i contratti collettivi, con
la forza e con il terrore.
Una volta al potere il Regime fascista si
caratterizzò per i suoi metodi dittatoriali e di
accentramento dei poteri. In un regime a partito politico
unico e senza libertà civili ogni dissenso era punito;
cosicché il regime godeva di un ampio consenso "passivo" tra
la popolazione; ciò non significa, però che il governo
fascista non abbia goduto di ampi consensi tra la
popolazione italiana. Negli anni trenta il consenso intorno
al regime si realizzò anche attraverso una serie di forme di
assistenza e previdenza sociale, quali INPS, INAIL, ONMI ed
inoltre con la distribuzione di pacchi dono (befana del
soldato ecc...). Nell'intento di migliorare le condizioni di
vita della popolazione il Regime curò in modo particolare
l'assistenza all'infanzia con le colonie marine e montane
per i figli dei lavoratori; istituì L'Opera Nazionale
Dopolavoro e curò le organizzazioni sportive. Il Duce stesso
incitava i giocatori a battersi per la vittoria,
significativa per la gloria dell'Italia. Nasceva lo stato
assistenziale che, con la conquista dell'Etiopia,
raggiungeva il massimo consenso.
Tuttavia esistevano delle forme di
opposizione clandestina tenute in vita soprattutto da
coraggiosi comunisti e socialisti che subiranno arresti,
intimidazioni e violenze.
Tra le prime riforme attuate dal Regime al
potere fu la soppressione dei Consigli comunali eletti dal
popolo al posto dei quali il governo nominò il Podestà,
(Legge 4 febbraio 1926). Il Podestà è libero di prender
personali iniziative nei riguardi della popolazione, (tasse,
dazi ecc..) e può disporre come crede dei fondi del Comune,
costituiti dalle imposte pagate dai cittadini; deve rendere
conto dei suoi atti solo al Prefetto.(18) Il popolo ha il
solo dovere di sottomettersi e ubbidire. Nei comuni agricoli
di solito il Podestà era un grande proprietario terriero,
designato dal governo dietro segnalazione della borghesia
fondiaria. Tra i podestà nominati nel 1926 nella zona del
Pollino ricordiamo l'avvocato Francesco Pace a
Castrovillari, Il geometra Filippo Rizzuti a Frascineto e
Civita, L'avvocato Costantino Capalbi a Morano, il
colonnello Giuseppe Cornacchia a Mormanno, il maggiore
Angelo Forte a Saracena, l'avvocato Francesco Drago a
Cassano, il Barone Luigi Longo a Spezzano e San Lorenzo del
Vallo e il conte Angelo Giannone ad Acri.
Nei territori dove maggiormente si era
sentito il movimento contadino si cercava, con ogni mezzo,
di ristabilire l'ordine e la legge. E l'occasione propizia
la offrirono i Decreti dell'11 gennaio 1923 ed il successivo
del 10 settembre dello stesso anno che annullavano il
Decreto Visocchi e dichiaravano illegali le occupazioni di
terre già avvenute. I contadini furono cacciati dalle terre,
già coltivate e prossime al raccolto, che tornavano così in
mano ai grandi proprietari, che vivevano nelle grandi città,
lontani da quelle realtà.
L'attenzione del governo alla realtà
calabrese fu influenzata dal fatto che ai vertici del potere
politico nazionale stavano leaders calabresi, come Michele
Bianchi, diretto collaboratore di Mussolini. Segretario
generale del PNF, quadrunviro della marcia su Roma, tornerà
più volte a visitare la Calabria tra il '22 ed il '29, per
ricostruire su più solide basi il suo ruolo politico,
raccogliendo sempre maggiori consensi, come ministro dei
Lavori Pubblici.
L'impegno finanziario e tecnico del Regime nei confronti del
Meridione era ispirato dal principio della esaltazione della
"ruralità" e della "colonizzazione" fascista.
Nel gennaio del 1925 venne lanciata la
"battaglia del grano" e nel '28 iniziò l'opera di bonifica.
Lo
stato aveva concesso vantaggiosi prestiti ai proprietari
fondiari, ai grandi produttori di grano, per stimolare
l'aumento della produzione granaria e dei cereali. Ma la
demagogica battaglia del grano spesso si risolse con
l'obbligo per il contadino di utilizzare una maggiore
quantità di concimi chimici ai prezzi imposti dagli
industriali.
La Montecatini, d'accordo con la Banca
Commerciale Italiana ed in stretto legame con la Federazione
nazionale dei Consorzi Agrari, deteneva il monopolio dei
prodotti chimici e degli insetticidi necessari
all'agricoltura. La maggiorparte dei grandi proprietari,
azionisti della Montecatini, continuavano a dare duri colpi
all'economia contadina.
Al governo fascista stava a cuore la
soluzione del problema agrario meridionale quanto la
penetrazione dell'ideologia di regime nelle stesse campagne
del Sud. Cosicché con le Leggi del '28 e del '33 iniziò la
Bonifica Integrale per prosciugare i terreni paludosi,
eliminando la malaria e rendendoli atti alle colture. Allo
stesso tempo vennero forniti ai coloni i mezzi necessari
alla coltivazione, vennero costruite strade interpoderali e
abitazioni rurali.
I
lavori di bonifica non verranno portati a termine, come nei
progetti iniziali, ma il lavoro compiuto diede una svolta
all'assetto economico-sociale delle zone bonificate. Le zone
montane furono abbandonate in favore delle zone pianeggianti
dove però ampie estensioni di pascoli e boscaglie furono
dissodate e coltivate a frumento e ortaggi. Durante gli
anni Trenta il Regime perseguì un ambizioso progetto di
bonifica su un territorio di circa 140.000 ettari, dalle
falde del Pollino alla Sila greca, dove dominava la grande
proprietà estensiva: si trattava di terreni tenuti in fitto
dai coloni che li facevano lavorare, utilizzando
manodopera salariata o li subaffittavano per
un tempo determinato ai contadini, in "terraggera".
La piana di Sibari delimitata a nord dal
torrente Saraceno e a sud dal Coriglianeto, divisa in due
dal grande fiume Crati con vari affluenti, in vari punti
straripanti, si estendeva per 32.000 ettari in preda agli
acquitrini, priva di strade e spopolata dalla malaria. Anche
il territorio appartenente ai Comuni di San Lorenzo del
Vallo, Spezzano Albanese, Terranova e Tarsia che si
estendeva per circa 16.000 ettari era in preda alla
malaria.(19) In questi comprensori, soprattutto, operò dal
1928 al '35 la Società Anonima Bonifiche del mezzogiorno.
Nella sola piana di Sibari furono realizzati lavori di
arginamento e canalizzazione delle acque irrigue, costruite
strade e case coloniche per una spesa di circa cento milioni
di Lire. Quasi 1.500 ettari di terreno di proprietà dei
Toscano furono coltivati e strappati alle paludi, portatrici
di malaria. Proprio nella zona di Cassano lo Stato non trovò
la resistenza dei grandi proprietari alla realizzazione del
suo progetto di bonifica, come in altre zone della Calabria
dove il ceto dirigente locale si oppose alla trasformazione
dell'agricoltura che il Regime imponeva. Le trasformazioni
agricole e i lavori di bonifica operati dal Fascismo furono
interrotti dall'avvento della guerra e finirono nel totale
disinteresse.
Nel Ventennio fascista nelle zone
pianeggianti del circondario di Castrovillari prevaleva il
latifondo; inoltre esistevano piccole aziende di circa 10 -
15 ettari nelle vicinanze dei centri abitati e più lontano
le medie aziende di 50 e più ettari. In queste aziende
prevalevano ancora forme di colonia che stremavano sempre
più la classe contadina, la quale anche in un periodo di
repressione non poté fare a meno di manifestare il suo
malcontento. Nel 1934, infatti, a Mottafollone la
popolazione insorse e i contadini occuparono le terre di
proprietà ecclesiastica; a Castrovillari nel 1930, la
domenica delle Palme, una marea di donne, uscendo dalla
Chiesa, si ritrovò unita per assaltare il Municipio,
aggredendo il Podestà Francesco Pace che aveva imposto una
tassa sul consumo dell'acqua nelle case in cui erano stati
installati i contatori, con metodi autoritari.
In sostanza le lotte delle popolazioni,
martoriate dalla disoccupazione e dalla crisi economica,
continuarono, sfidando la Legge e subendo arresti e
detenzione.
Agli inizi degli anni trenta quando si
registrava un aumento della popolazione, favorito dalla
Legge mussoliniana sulla famiglia che assegnava premi in
danaro alle famiglie prolifiche, la guerra coloniale
d'Africa, in cui si erano arruolati migliaia di calabresi,
sembrava dare qualche sollievo alla disoccupazione ed alle
condizioni di miseria con le pur modeste rimesse degli
arruolati e con i sussidi alle famiglie.
E poi venne la Guerra mondiale con le
sue distruzioni, con la mancanza di manodopera, con i bassi
salari e l'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità,
che scarseggiavano. Nel periodo di guerra i ceti popolari
più deboli avevano patito la fame e vivevano in condizioni
di sottoalimentazione. I generi primari di consumo erano
razionati: si consumava per lo più solo un piatto di pasta
ed una fetta di pane. Altri generi come carne e zucchero si
trovavano a caro prezzo al "mercato nero", che diventò molto
fiorente. Cosicché la popolazione urbana subiva gravi
privazioni soprattutto nei primi due anni di guerra. Di
questa situazione beneficiarono i grandi proprietari che
imboscavano una parte dei cereali, destinata all'ammasso,
che veniva venduta poi al mercato nero.
Quando nel settembre
1943 l'armata alleata anglo-americana sbarcò in Calabria la
popolazione calabra versava in condizioni di grave disagio,
provata dalla fame, dagli sfollamenti, dai bombardamenti
aerei.
Il dopoguerra e la
ricostruzione.(1945-'50)
All'indomani della liberazione dalla
dittatura fascista la Calabria si trovava a dover affrontare
problemi economici e politico sociali molto difficili. La
guerra e la caduta del Fascismo avevano profondamente scosso
il vecchio sistema politico. Nel "Regno del Sud" liberato,
mentre nel centro-nord si instaurava la mussoliniana
Repubblica di Salò, gli alleati cominciavano l'opera di
"epurazione" e di riorganizzazione delle strutture comunali.
Opera certo non facile, se pensiamo alla difficoltà
oggettiva che incontravano le Commissioni provinciali nel
poter distinguere i soggetti da allontanare dai posti di
comando nella vita pubblica. Immediatamente i podestà furono
sostituiti ed alcuni Prefetti arrestati.
Intanto che il movimento di Resistenza dava
al nord un'impronta rivoluzionaria e progressista, il sud
sembrava retrocedere su posizioni conservatrici, con lo
sviluppo di movimenti separatisti, qualunquisti e di
banditismo che contrastavano con le esigenze di cambiamento
che urgevano allora nel Paese. La Calabria continuava a
restare "periferia". Sulle masse popolari pesavano anni di
rassegnazione a governi oppressivi che forse non erano
diversi dal Regime che stava crollando. Tuttavia questi
movimenti ebbero vita breve, perché proprio nel periodo dal
1944 al '47 si verificò un fenomeno nuovo: le masse
contadine, da sempre emarginate, cominciavano ad
organizzarsi e ad aggregarsi alle forze politiche e
sindacali.
La lotta per la terra era la "resistenza"
delle masse calabresi.
Le popolazioni versavano in uno stato di
disagio, di miseria e di fame, per il continuo aumento del
costo della vita e per la difficile ripresa delle attività
produttive. Il razionamento avviliva sempre più la
popolazione: 150 grammi di pane pro capite al giorno e 40 di
farina; 100 grammi di legumi secchi, 250 gr di brodo in
polvere e 200 gr di zucchero al mese.(20)
Nascevano i partiti di massa anche in
Calabria, appoggiati dalle organizzazioni sindacali che
mobilitavano i contadini. A queste organizzazioni si
iscrivevano militanti democristiani, socialisti e comunisti,
desiderosi di protezione o di risoluzioni positive della
lotta politico-sociale.
Così nell'agosto del 1943 si riformò il
Partito Socialista di unità proletaria, nel quale
convergevano l'ala riformista e quella massimalista del
Partito socialista, favorevole all'unità d'azione con il
PCI. Il partito Comunista, infatti, nel '44 aveva ripreso la
sua attività, sotto la guida di Togliatti che lanciò un
programma di collaborazione con altre forze antifasciste,
per costruire uno Stato "democratico". Il Partito Popolare
di Don Sturzo si chiamò Democrazia Cristiana e fu guidato da
Alcide De Gasperi. Questa formazione politica moderata
ereditava dal cooperativismo "bianco" l'attenzione ai
problemi sociali. Intanto si faceva strada una nuova
formazione: il Partito d'Azione, di estrazione
liberal-socialista. I rappresentanti di questi partiti
antifascisti parteciparono alla formazione del primo Governo
Badoglio nella primavera del '44, mentre continuava la
guerra di liberazione. Il sud, che non aveva avuto una vera
e propria Resistenza, aveva conosciuto la guerra, lo scontro
tra eserciti opposti che aveva sconvolto le campagne e
scosso dal torpore la popolazione contadina. La Calabria,
in effetti, non combattè la lotta di Resistenza:
all'annuncio dell'Armistizio, i Tedeschi si erano
velocemente ritirati. Quando all'alba del 3 settembre 1943 i
reparti dell'ottava armata inglese sbarcarono sul lungomare
di Reggio Calabria, la città al centro del mediterraneo, la
popolazione smise di cibarsi di gabbiani, di raccogliere i
pesci morti per le bombe scoppiate in mare e di fumare
sigarette ricavate dalle foglie secche delle melanzane. Con
gli alleati erano arrivati anche la carne e i piselli in
scatola, le gomme americane, il pane bianco, il latte
condensato, le sigarette, i dischi di jazz, il
boogie-woogie, ma soprattutto i primi segni di libertà.
E mentre gli alleati continuavano l'opera di
liberazione, accolti con esultanza dalla popolazione, il
Tribunale Speciale, tramite le sue commissioni provinciali,
continuava a condannare al Confino gli antifascisti. Furono
condannati 17 calabresi, tra cui il fotografo Angelo
Iannelli ed il tipografo Eduardo Patitucci di Castrovillari
e l'agricoltore Raffaele Cirigliano di Saracena.(21)
L'armata del generale Montgomery, risalendo
attraverso la regione, giunse nella valle del Crati e prese
il comando del Campo di concentramento Ferramonti di Tarsia,
lasciando liberi i duemila ebrei internati.
Il 2 giugno 1946 fu indetto un
Referendum, per risolvere la questione istituzionale
dello Stato: Monarchia o Repubblica.
In Italia la consultazione ebbe il seguente
risultato: 12.717.923 voti alla Repubblica; due milioni di
voti in meno alla Monarchia.
Ma quest'ultima ebbe la maggioranza dei
consensi proprio al sud: (il 40% sulla media nazionale).
Il re Umberto II°, "il re di maggio",
succeduto al padre Vittorio Emanuele III° nel maggio '46,
dopo un mese fu costretto all'esilio.
Finiva un'epoca.
E il segno della svolta lo davano le Elezioni
politiche per l'Assemblea Costituente, che avrebbe dovuto
redigere il testo della nuova Costituzione.
Alle prime Elezioni a suffragio elettorale
universale la DC aveva ottenuto il 35% dei voti e 207 seggi
alla Camera dei Deputati;
il PSI il 20,7% e 115 seggi;
il PCI il 19% e 104 seggi;
il Partito Liberale ebbe 41 seggi ed il
Partito d'Azione 9 seggi.(22)
In Calabria le cose andarono
diversamente: sui risultati referendari influì l'azione del
Partito monarchico e del Fronte dell'Uomo Qualunque; ma alla
Costituente ottennero maggiori consensi i partiti di
sinistra e soprattutto nelle zone interessate dal movimento
contadino.
Risultati elettorali - COSTITUENTE -
Provincia di Cosenza - 2 giugno 1946
PC voti 37.158
DC " 106.109
REDUCI " 1.627
P.D'AZIONE " 11.496
PSIUP " 30.041
PLI " 18.543
F.Uomo Qual. " 11.682
PRI " 6.458
*Fonte: M.G.Chiodo,
Lotte per la terra e movimento cooperativo in provincia di
CS, '43\48- Guida Ed.
Le elezioni si erano svolte in un clima di
scontri e lotte, tuttavia si configurava il nuovo volto
della Regione e della sua situazione politica, che, come
quella nazionale, entrava in un periodo di incertezza.
Nel luglio '46 il democristiano De Gasperi
formò un governo Tripartito con comunisti e socialisti la
cui collaborazione terminò nel maggio '47, quando i partiti
di sinistra furono esclusi dal governo.
In un clima di contrapposizione tra le forze
politiche e di eccitazione popolare, per la grave inflazione
e disoccupazione, la Calabria si preparava ad affrontare le
Elezioni Politiche del 18 aprile '48. La DC trovava larghi
consensi tra gli strati medio-borghesi ed anche operai della
popolazione; mentre i partiti di sinistra si erano affermati
tra le masse contadine, proprio perché il PCI, soprattutto,
era protagonista dei movimenti di lotta per l'occupazione
delle terre. Di fronte alle scelte della DC, il PCI ed il
PSI si presentarono alle Elezioni uniti in un fronte
popolare. Ma i risultati del 18 aprile diedero alla DC la
maggioranza assoluta: a livello nazionale ottenne 306 seggi
su 574. Le Sinistre ne uscivano sconfitte; tranne in
Calabria dove il Fronte Democratico Popolare otteneva 8
seggi, rispetto ai 5 conquistati nel '46.
La regione, ancora una volta in ritardo
rispetto al resto della Nazione, raccoglieva consensi a
sinistra, proprio mentre nasceva il "centrismo", un'area di
governo circoscritta ai partiti moderati, con l'esclusione
delle Sinistre. Da allora la DC avrà il potere quasi
assoluto della cosa pubblica fino a tempi recenti.
Le tensioni sociali nelle campagne calabresi
si riacutizzeranno nel '49, con l'eccidio dei contadini a
Melissa nel crotonese e solo allora attireranno nuovamente
l'attenzione del governo sui problemi delle misere terre
calabre.
Il 12 maggio 1950 il governo varò la "Legge
Sila" con cui iniziò un processo di riforma fondiaria. Le
proprietà con più di 300 ettari vennero espropriate ai
grandi proprietari e lottizzate tra i contadini. A tale
compito furono preposti gli Enti di Riforma che nel decennio
1950-'60 ripartirono 417.000 ettari di terra ai contadini
poveri. Con questa riforma scomparve il latifondo e
centinaia di famiglie contadine si assicurarono un reddito
almeno sufficiente al proprio mantenimento. Sorsero nuove
aziende agricole che modificarono l'assetto sociale della
regione, non tanto quello economico. Infatti la DC proprio
con gli Enti di Riforma e tramite la Federazione Coltivatori
Diretti estendeva la sua penetrazione nelle campagne.
Cominciava ad instaurarsi un sistema clientelare, di legami
personali e di riconoscenza tra i piccoli proprietari, i
coltivatori diretti e gli uomini politici, per
interessamento dei quali avevano ricevuto la terra.
Nell'agosto dello stesso 1950 fu istituita la
Cassa per il Mezzogiorno che si interessò di destinare
risorse finanziarie- mille miliardi- alla costruzione di
strade, acquedotti, linee elettriche e reti fognanti nel
Meridione. Questo intervento se da un lato elevava il tono
di vita civile delle popolazioni, dall'altro bloccava
l'industrializzazione nel sud. E mentre al nord fiorivano le
industrie, le piccole aziende industriali e manifatturiere
meridionali non videro un intervento politico fino al 1957.
Solo allora, forse troppo tardi, il governo decise di
destinare il 40% degli investimenti al sud.
Gli anni dello sviluppo e quelli della
depressione economica.
I provvedimenti presi dal governo per lo
sviluppo delle aree depresse del sud non sortirono gli
effetti sperati. L'economia della regione restava in crisi;
la rete stradale scarsa e malridotta; mancavano le fognature
e l'elettricità nei paesi, attrezzature e macchine agricole
nelle campagne. Le zone interne cominciavano a spopolarsi in
favore dei centri maggiori e delle aree pianeggianti e
litoranee. Era iniziata l'epoca della democratizzazione, ma
nello stesso tempo della dilagante disoccupazione e
conseguente emigrazione verso il triangolo industriale:
Milano, Torino, Genova.
La provincia di Cosenza, che nel 1951
registrava 667.353 abitanti, nel 1961 ne censiva 658.770.
L'intera popolazione calabrese passò da 2.044.287 del 1951 a
2.045.047 nel 1961 e calò a 1.988.051 nel 1971. Era
diminuita la natalità ed anche la mortalità, ma il duro
colpo l'aveva dato l'emigrazione verso altre regioni
italiane e verso Germania, Svizzera ed anche Canada e
Australia. Dal 1955 al 1967 erano partite dalla Calabria 267
mila persone.
Al censimento del 1971 il 17% della
popolazione residente nell'Italia centro-settentrionale
risultava nata nel meridione.
Intanto le zone "interne" della regione si
spopolavano, a favore dei centri maggiori che offrivano
condizioni di vita migliori e prospettive di lavoro.
Osserviamo i seguenti dati per renderci conto
dello spopolamento delle aree interne nell'ambito del
territorio del Pollino, con epicentro la città di
Castrovillari:
Comuni abitanti - censimento
1951 residenti al 31-12-1988
Castrovillari
13.810 22.500
Cassano Ionio
13.669 19.612
Civita
2.051 1.384
Firmo
2.612
2.750
Frascineto
2.561 2.597
Laino Borgo
3.268 2.584
Lungro
4.711 3.242
Morano
5.287 5.266
Mormanno
5.257 4.199
San Lorenzo V.
2.180 3.600
Saracena
4.392 4.633
Spezzano A.
5.923 7.500
Terranova
4.692 5.500
_______________________________________________________________
*Fonte: Una nuova Provincia al nord della
Calabria - Castrovillari. - Ed. Prometeo - 1989
Nel decennio 1952-'62, mentre la Calabria,
regione prevalentemente agricola, cambiava con rapidità e
intensità la sua fisionomia, trasformandosi in regione
agricolo-terziaria, sempre in attesa delle fabbriche, dei
grandi complessi industriali, delusa nelle sue aspettative,
gran parte della popolazione abbandonava le proprie terre e
partiva in cerca dell'auspicato benessere.
Nonostante gli interventi della Cassa per il
Mezzogiorno, il settore agricolo versava in critiche
condizioni; il suo sviluppo era, infatti, condizionato dalla
natura del terreno, arido, montuoso e scarso di corsi
d'acqua; dalla difficoltà dei trasporti, dall'alto costo
della manodopera e dalla mancanza di capitali da investire.
Non trascurabile, inoltre, che al piccolo e grande
proprietario calabrese, per diverse ragioni, è sempre
mancato lo spirito cooperativistico che caratterizzava gli
agricoltori di altre regioni.
Negli anni '50 in Calabria era molto limitato
l'uso dei concimi chimici e dei fertilizzanti, che,
oltretutto, non sempre era sostituito dai concimi animali,
perché le mandrie erano lasciate al pascolo brado. I sistemi
di coltivazione erano arretrati; i frantoi non ammodernati e
la lavorazione del latte avveniva con sistemi antiquati e in
luoghi che non garantivano l'assoluta igiene. La produzione
olearia e vinicola era in crisi.
Alla fine degli anni '50 la "Cassa"
concesse sussidi per la costituzione di consorzi fra Enti
locali, per la creazione di aree di sviluppo industriale. Fu
allora che si concentrarono solo in alcune zone della
regione gli interventi da parte di grandi imprese private
del nord e dell'Industria pubblica. In effetti il "Piano
regolatore di Massima per la Calabria", approvato nel 1957,
prorogato nel 1967 e operante fino al 1980, poggiava
sull'Opera Sila e sui Consorzi di Bonifica. Nel periodo dal
1950 al '75 fu spesa nella regione una cifra notevole di 620
miliardi di Lire.(31)
Il sorgere di grandi stabilimenti, collegati
direttamente con quelli del nord, mise in crisi le realtà
industriali locali, di conseguenza sono diminuiti i
contadini ed i braccianti e sono aumentati gli operai
dell'industria, che in questi ultimi anni rappresentano il
settore prevalente del sud. Si calcola che in Italia nel
1961 350 mila persone hanno lasciato l'agricoltura per
inserirsi in altri settori di attività.
In Calabria su una popolazione "attiva" di
783 mila unità nel 1951: 469 mila erano gli addetti
all'agricoltura; nel 1971 su 609 mila solo 199 mila
restavano legati alla terra, ma con un rapporto nuovo,
influenzato certamente dal crescente fenomeno
dell'urbanesimo.
Il Meridione, che per superficie e
popolazione è un terzo di tutta la nazione, non accetta la
definizione di zona depressa. La sua "arretratezza" ha
origine nelle condizioni strutturali, economiche, politiche
e sociali che hanno caratterizzato la regione attraverso i
secoli: la triste dominazione spagnola, il ritardo con cui
giunse l'eversione della feudalità e l'applicazione da parte
del governo di leggi uniformi per le regioni settentrionali,
industrialmente avanzate, e per le diverse realtà
meridionali dove l'industrializzazione stentava. Da non
trascurare, altresì, il fenomeno della criminalità
organizzata ('ndranghita) che ha influenzato a volte i
rapporti tra le forze sociali e quelle politiche.
Certo era evidente il malessere esistente
nella società meridionale, ma innegabile il mutamento del
tenore di vita e delle abitudini delle popolazioni. Dalla
fine degli anni '50 ad oggi la Calabria ha subito una fase
di profonda trasformazione.
Il fenomeno dell'analfabetismo si è ridotto a
realtà marginali: nel 1951 la percentuale di analfabeti era
del 24%; nel 1971 solo dell'11%.
Simbolo di questa trasformazione:
l'Università della Calabria, sorta ad Arcavacata di Cosenza
nel 1972.
E mentre risulta ancora oggi elevata la
percentuale dei disoccupati, l'economia della regione ha
subito notevoli cambiamenti per il sorgere di piccole e
medie industrie, apportatrici di nuova ricchezza e
trasformazioni socio-culturali. Anche le strutture
produttive della Calabria furono investite alla fine degli
anni '70 dall'inflazione derivante dall'aumento del prezzo
del petrolio, causato dalla guerra arabo-israeliana del
1973.
E proprio durante gli anni Ottanta si acuiva
maggiormente il divario tra il nord industrializzato ed il
sud che segnava il passo. In quegli anni lo stato ha pensato
di promuovere una serie di interventi nel sud, per rendere
meno grave la crisi, che però è anche nazionale.
Ed anche la Calabria, a quanto emerge da
un’indagine ISTAT", manifesta i pregi e i difetti della
civiltà di fine millennio:
si registra un allungamento della durata
media della vita (da 49 a 68 anni).
E' accresciuta la statura media dei
calabresi(da 164,7 cm. a 169,4, misure rilevate sui giovani
di Leva).
Cresce l'individualismo, orientato
all'arricchimento personale.
E' diminuita la mortalità infantile.
E' in calo il tasso demografico medio.
E' in aumento la criminalità.
E' cresciuto il numero dei suicidi.
E' in calo il numero degli alunni iscritti
alle scuole elementari ed in forte aumento il numero degli
studenti universitari.
La Calabria del Duemila è ricca di
potenzialità, di professionisti, di tecnici, di
intellettuali e operai, desiderosi di poter esprimere le
loro energie e la loro creatività.
NOTE
(1) L. Gambi, Le
regioni d'talia. La Calabria. UTET, pag. 107
(2) E.De Martino,
Morte e pianto rituale. Boringhieri, pag. 72
(3) B.Cappelli, Morano Calabro e la
sua odonomastica. Ed. Pro Loco 1989
(4) Gambi, op. cit.
pag. 176-179
(5) fonte: A. De Pasquale, Calabria
Citeriore fra Francesi e Borboni. - CS 1989, pag. 82
(6) P.Bevilacqua,
Breve storia dell'Italia meridionale, dall'Ottocento ad
oggi. Donzelli 1993
(7) Gambi, op. cit.
pag. 533
(8) G. Cingari, Storia della
Calabria dall'Unità ad oggi. Ed. Laterza 1983
(9) Statistiche del Mezzogiorno
d'Italia, 1861-1953. Svimez, Roma 1954
(10) E.Stancati,Cosenza e la sua
provincia dall'Unità al Fascismo -Ed. Pellegrini -Cs
(11) Cingari, op. cit. pag. 106
(12) L.Saraceni, Terra mia -
Castrovillari 1923
(13) Stancati, op. cit. pag. 354
(14) Cingari, op. cit. pag. 184
(15) Stancati, op. cit. pag 373
(16) Di Vittorio,
Il fascismo contro i contadini-(Il Sud nella
storia d'Italia) Villari. Laterza
. 501
(17) V.Cappelli, Il
Fascismo in periferia-il caso Calabria. Ed.Riuniti '92
(18) Di Vittorio, op. cit. pag. 504
(19) Bevilacqua,
Le campagne del Mezzogiorno tra fascismo e dopoguerra. -
Einaudi 1980
(20) Cingari, op.
cit. pag. 310
(21) C. Mulè, in: Calabria - fu
occupazione o liberazione - n° 7 - 1985
(22) G.De Rosa, La storia, la
società, gli uomini -vol III° Minerva Italica
(23) Chiodo,Lotte
per la terra e movimento cooperativo in provincia di
CS-1943\'48 - Guida ‘81
(24) C.Scorza, S. Lorenzo del
Vallo . Ed. Trimograf 1986
(25) Ordine Proletario, 24 marzo
'45
(26) P. Amato, Calabria tra
occupazioni e riforma (1943-1960)- in "Campagne e
movimento contadino". De Donato
(27) Gambi, op. cit. pag. 446
(28) Sabbatino-Moschetto, L'Italia
delle regioni. Ed.Ferraro - NA
(29) Stancati, op. cit. pag. 267
(30) L. Di Vasto, Luoghi di
produzione della cultura. Daedalus 1988
(31) Cingari,
op. cit. pag. 350
|