Premessa
Ancora un libro sulla civiltà contadina di
Calabria?
Ebbene sì.
Una scelta di radici e di orizzonti.
Una scelta animata da forte sentimento delle
cose, dei luoghi e delle parole.
La prospettiva che ci ha mosso è quella di
“fermare” sulla carta oggetti e ambienti
abbandonati o ancora in uso, parole
dialettali, che raccontano la nostra storia,
per strapparli all’oblio. La foto, infatti,
ferma la gestualità contadina che
costituisce un repertorio particolarmente
significativo, dal punto di vista
etno-antropologico.
L’immagine ha un suo spessore culturale e
sociale. L’etnofotografia non è tecnica
d’Arte, esercizio estetico o memoria
privata, ma documento, strumento conoscitivo
dell’ambito che rappresenta. La foto
etnografica non è illustrazione: è anello di
congiunzione tra l’osservazione e la
descrizione. Sono state utilizzate anche
foto d’epoca archivistiche e “vernacolari”,
scattate non da professionisti, che possano
rivelare il senso degli oggetti e degli
ambienti. Questa forte volontà di rinascita
culturale che ci anima, di un “nuovo
rinascimento” della nostra terra, allontana
sentimenti di malinconia e rimpianto del
tempo antico che solitamente emanano le cose
del passato.
E allontana anche il senso di abbandono, di
solitudine, di desolazione che avvolge
vecchi casolari, invasi dai rovi, attrezzi
aggrediti dalla ruggine, utensili ammantati
di polvere, mentre resistono all’invasione
ed alla devastazione del tempo, della natura
e degli uomini.
Le foto degli oggetti richiamano emozioni e
ricordi specifici, spesso più significativi
di quelli evocati dal semplice nome
dialettale.
Significativi sia per l’anziano che quegli
oggetti ha usato quotidianamente fino a
qualche decennio fa, sia per il meno anziano
per il quale quegli oggetti hanno avuto un
ruolo nella sua infanzia, sia anche e
soprattutto per i giovani che devono
imparare a leggere cose e territori, devono
essere stimolati alla conoscenza di valori e
civiltà passate che siano modelli di
comparazione con il presente.
Leggere “i resti” del passato, nel contesto
territoriale, permette di non estranearsi
dal presente, di riappropriarsi delle
proprie radici, per aprirsi alle offerte
della società interculturale.
Terra e casa: un binomio inscindibile per la
civiltà rurale, in cui affondano le nostre
radici. Un tema affascinante da “leggere”,
un campo da guardare con occhi diversi,
superando l’antica concezione che il termine
“rurale” indichi un’area agricola, povera e
arretrata dal punto di vista culturale.
Noi ci lasciamo affascinare da ruderi e
pietre che parlano di antiche civiltà e
della cultura popolare contadina per troppi
anni rifiutata e negletta.
Proponiamo, pertanto, un vocabolario
illustrato di attrezzi usati nei campi e di
utensili usati abitualmente in casa dalla
società agro-pastorale del passato, con
didascalie in italiano, e vocaboli in
dialetto e lingue minoritarie, preceduto da
un’ampia analisi degli aspetti peculiari di
quella “etnia”.
La cultura contadina è cultura dialettale.
Le voci dialettali si connettono
strettamente alla cultura primitiva della
popolazione rurale.
E i dialetti di Calabria, nelle loro marcate
differenziazioni a seconda delle aree
geografiche, sono un prezioso bene culturale
da conservare, per scongiurarne
l’estinzione. Sono modelli definiti nel
processo etno-antropologico dei territori.
La lingua si conserva parlandola, sotto la
guida di cultori e appassionati e con
l’ausilio di testi letterari tramandati e
riscoperti (racconti, commedie, fiabe,
canzoni, proverbi) e di poche e più
importanti regole grammaticali.
È necessario principalmente conoscere il
lessico della società contadina.
Certo non è facile farsi testimoni di una
civiltà, di una cultura (che fino al secolo
scorso era sostanzialmente orale), di una
lingua che da decenni si sono avviate al
lento declino. Non solo per la competenza
che il lavoro di ricostruzione richiede, ma
anche per la persistenza del sentimento
delle cose, dei luoghi e delle parole, più
che mai necessario in questo campo.
La bella esperienza del Festival del
Dialetto e Lingue minoritarie di Calabria,
da noi organizzato e che ha coinvolto tanti
giovani, ci ha dato la certezza che la
lingua “dei nonni” non è appannaggio solo di
poche persone anziane e che gli oggetti
tradizionali che fino a poco tempo fa
venivano rifiutati, come simboli della
faccia negativa della condizione socio
economica dei tempi di miseria, sono
patrimonio da rivalutare e da conoscere, per
affrontare il futuro.
Il futuro si costruisce sul passato e si
rende intellegibile solo attraverso la
comprensione delle radici di cui è frutto.
Utensili e parole hanno scandito i tempi
dell’evoluzione che gradualmente ha condotto
un’antica civiltà fino ai nostri giorni.
Dopo aver dato alle stampe una ricerca sui
“Palmenti”, arcaiche vasche per la
vinificazione, scavate nella roccia, che
affiorano numerosi sul territorio calabro e
raccontano la storia della “terra del vino”,
dopo la pubblicazione del lavoro sulla
storia e la cultura dell’alimentazione in
Calabria, e poi della ricerca
etnofotografica sugli antichi mestieri, il
lavoro si è concentrato sugli oggetti della
civiltà contadina e sui loro nomi
dialettali.
Il testo si propone come strumento didattico
di consultazione, approfondimento e ricerca,
con l’obiettivo di contribuire alla
salvaguardia di un prezioso patrimonio, in
via di estinzione.
L’intento non è stato certo quello di
rilevare sul campo migliaia di oggetti e
rispettivi nomi usati nelle cinque maggiori
aree linguistiche della Calabria. Piuttosto
si è badato, per impostazione didattica del
lavoro, per una efficace comunicazione,
soprattutto con le giovani generazioni, a
privilegiare i lemmi dialettali più usati
nell’area settentrionale, centrale e
meridionale per definire gli oggetti.
Non un’infinità di oggetti nelle loro
varianti, ma solo esemplari, selezionati per
rappresentatività e non per completezza.
Convinti che non sempre la quantità dei
materiali presentati coincide con una più
alta forza di rappresentazione.
La documentazione fotografica da noi
prodotta, che illustra le ricerche
antropologiche fatte sul campo da molti anni
in varie zone della Calabria alla scoperta
di tracce di cultura materiale e nello
stesso tempo della nostra identità, non
indulge ad alcun compiacimento estetico e a
sentimenti nostalgico-mitici.
Gli oggetti materiali, usati in casa e nei
campi dall’antica società contadina, rendono
testimonianza autentica di secoli di vita
rurale, raccontano la storia della civiltà
passata.
I contesti naturali, le abitazioni con i
loro arredamenti, i loro attrezzi o utensili
sono stati ripresi dall’obbiettivo
fotografico quasi sempre così come sono
nella quotidianità; nulla è stato imbellito
per tagliare i difetti. Le foto sono state
da noi scattate in maniera estemporanea,
spesso alzando in aria l’oggetto
momentaneamente prelevato da una buia
soffitta abbandonata o da una vecchia stalla
da tempo in disuso.
Le immagini, con i nomi disposti in ordine
alfabetico, sono contestualizzate spesso con
foto d’epoca nell’ambiente d’uso, per
conservare materiali e testimonianze della
civiltà contadina tradizionale.
Contestualizzando il reperto, si fa storia,
anche se parziale.
Ogni oggetto rimanda a coordinate
immateriali ed umane, non solo temporali e
spaziali, fatte di lingua, usi, costumi che
riproducono costantemente il senso di
appartenenza ai territori.
E questo libro si propone come stimolo al
recupero dei caratteri simbolici e
tradizionali della cultura popolare, come
incitamento alla ricerca ed
all’approfondimento da parte delle giovani
generazioni. L’educazione permanente,
attraverso la lettura dei musei, delle opere
d’arte, delle tradizioni che il tempo va
cancellando, permetterà alle nuove
generazioni di riappropriarsi dei valori del
passato, indispensabili a costruire il
futuro.
Conoscere il passato, attraverso i suoi
segni, i suoi riti, i suoi miti, i suoi
simboli, significa attraversare processi di
civiltà, riempire di contenuti lo spazio
vuoto che la società contemporanea, in
declino, va scavandosi attorno.
E questo lembo di terra, al centro del
Mediterraneo, crocevia nella storia di tutti
i tempi del passaggio di culture e religioni
diverse, per proiettarsi in Europa, deve
riappropriarsi delle sue eredità che sono
greche, romane, bizantine, arabe, normanne,
francesi, spagnole, i cui segni sono
sopravvissuti alla violenza dei terremoti,
alla inclemenza del tempo, alle distruzioni
dell’uomo.
Le pagine iniziali del Testo riportano
alcuni brevi saggi elaborati ed approfonditi
durante l’attività di studio e di ricerca
antropologica del Centro d’Arte e Cultura
26, in quest’ultimo ventennio, sulle tracce
della civiltà contadina; le riteniamo
necessarie, seppure improntate alla sintesi
storica, per la completezza della
trattazione e per una migliore comprensione
delle illustrazioni, soprattutto da parte
dei più giovani.
Tra questi segni del passato ci confrontiamo
nel dialogo tra cultura, popoli e civiltà.
Tra questi Beni Culturali, d’inestimabile
valore, fonti culturali di primaria
importanza, ricostruiamo la nostra identità,
riscopriamo la memoria storica e ci
educhiamo a rispettarla.
Oggi, dunque, si può essere attori di un
nuovo processo di cambiamento, costruttori
di nuova cultura, riscoprendo le radici
della civiltà contadina, per conoscere e
tutelare la qualità e tipicità delle
produzioni locali, potenziare la vocazione
agricola del territorio, adeguandola alle
nuove tecniche colturali, per salvaguardare
l’ambiente e rispettare le bellezze
naturali. |