Tradizioni e cultura contadina
in Calabria, legati ai ritmi dell'antica civiltà
rurale, quando il ciclo delle stagioni era scandito
dai lavori agricoli, permeano ancora la vita sociale
e si esprimono in numerose iniziative di festa
collettiva. Le tradizioni popolari, insieme di
credenze, usanze, comportamenti privati e sociali
tramandati per generazioni, sono profondamente e
rapidamente cambiate con il radicale mutamento delle
condizioni di vita, di lavoro, di mentalità
introdotto dall'industrializzazione.
Nel nostro territorio la spinta alla modernizzazione
dello stile di vita è stata forte soprattutto alla
fine degli anni sessanta e nei primi anni settanta,
quando si è fatto di tutto per eliminare ogni
traccia di matrici contadine dalla vita quotidiana.
Anche le feste popolari sono andate perdendo
interesse, restando un ricordo nella mente dei tanti
emigrati. Oggi, quel mondo contadino sembra perso
nella notte dei tempi.
Eppure, prima ancora che questo ricco patrimonio di
tradizioni scompaia, insieme agli ultimi testimoni
di quella civiltà rurale, che è alla base della
nostra identità, si cerca di recuperare e
valorizzare il senso della tradizione nelle sagre e
nelle feste di paese.
Un rito primaverile, di antichissima origine,
ancora radicato nelle nostre popolazioni è quello
dei falò, dalle nostre parti detti focarìne o
fucaràzzi. Era un magico rito agreste, per
favorire una stagione feconda di frutti. Dopo la
pausa invernale, ci si preparava al risveglio
primaverile della natura con una rituale accensione
di fuochi di buon augurio. Al fuoco veniva
attribuita una funzione catartica. Era il mezzo con
cui l’uomo esprimeva il suo bisogno di dominare le
forze della natura ed esorcizzare l’ignoto. La luce
che vince le tenebre.
Da tempo immemorabile, i
contadini hanno usato accendere dei falò in
determinati periodi dell'anno, soprattutto in
primavera, per propiziare un'annata di buoni
raccolti e scacciare i mali e le avversità, spesso
simboleggiati da maschere e fantocci da bruciare.
Un tempo i contadini
raccoglievano i rami secchi nelle loro campagne per
poi farne un enorme rogo e spargere le ceneri nei
campi per propiziare il raccolto. La mattina
successiva, dopo aver fatto il giro tre volte
intorno alla cenere lasciata dal falo', se ne
raccoglieva un po' e la si passava sui capelli o sul
corpo, per scacciare i mali; mentre tizzoni accesi
venivano portati nel focolare delle proprie case
come protezione dagli spiriti maligni.
Il momento dedicato ai falò coincideva con l'inizio
dell'anno, che era anche inizio dell'anno agricolo,
tra febbraio e marzo, stagione dedicata a Marte, dio
dell'agricoltura e simbolo maschile di giovinezza e
rinascita, legato all'elemento del fuoco e del sole.
Si cominciava con il falò di S. Antonio Abate, il 17
gennaio, per continuare con quello che bruciava il
re Carnevale e poi quello dedicato a San Giuseppe e
ad altri Santi protettori.
Probabilmente all'origine di queste feste c'è il
mito del fuoco che Prometeo rubò agli dei, per
restituirlo agli uomini a cui Zeus l'aveva sottratto
per punirli della loro empietà.
Per punizione del suo gesto, Prometeo è incatenato
ad una rupe del Caucaso, dove ogni giorno un'aquila
gli mangiava il fegato, che ricresceva durante la
notte rendendo il supplizio eterno.
Secondo diversi studiosi i riti dei falò sarebbero
da mettere in relazione con ancestrali riti di
fertilità, riconducibili a culti dionisiaci diffusi
in tutto il Mediterraneo.
Un tempo si ballava, tutti in cerchio attorno al
falò, si cantava, si beveva vino in abbondanza e si
mangiavano i dolci preparati per la ricorrenza; e i
più coraggiosi saltavano attraverso le fiamme.
Ma la Chiesa non accettò i riti della fertilità ed i
fuochi magici in cui vedeva una chiara eredità
pagana. E, non potendo eliminare del tutto queste
usanze così radicate nella vita dei contadini, cercò
di attribuirvi una connotazione cristiana, spostando
a marzo (equinozio di primavera) gran parte dei
tradizionali falò del periodo primaverile. Marzo è
il mese che rappresenta il contrasto tra elementi
inerti ed infecondi della natura e forze di
rinnovamento, proprie della nuova stagione
primaverile.
A Mormanno a San Giuseppe, all'imbrunire, nei vari
rioni vengono accesi i fuochi (le fagòne). Poi segue
il tradizionale "cummìtu": un invito collettivo in
cui si consumano i piatti tipici di làgane e cìciri
e baccalà frittu. Anticamente si offriva e si
serviva di persona il pranzo ai poveri del paese,
come usavano i padroni nei confronti dei servi nelle
feste dei Saturnali latini.
A Saracena, in onore di San
Leone, la sera del 19 febbraio in ogni rione si
accendono "i fucaràzzi” che resteranno accesi fino
al mattino, mentre per le vie del paese si snoda la
fiaccolata, tra canti e suoni di tamburelli.
A Lungro per tradizione si accendono i falò (kaminet
e Shëa Kollit) in occasione della festa di San
Nicola di Mira, il 6 dicembre; ed a Frascineto a
Santa Lucia. A Spezzano ed in altri paesi albanesi i
falò (fanonjet) in cui il vicinato (gitonìa) ha
raccolto ed accatastato fascine, residui della
potatura degli ulivi e delle viti, rappresentano un
momento di forte socialità.
A San Demetrio Corone, così
come a San Cosmo Albanese, San Giorgio Albanese, a
Vaccarizzo, resta radicata la tradizione di recarsi
a piedi presso una fontana posta fuori del centro
abitato, in assoluto silenzio.
A San Demetrio ci si reca in
processione (soprattutto donne) a sorseggiare
l’acqua alla “fontana dei monaci”, presso l’antico
monastero di Sant’Adriano; poi si ritorna in paese,
recitando il “Kristos anesti” (Cristo è risorto) ed
altri canti popolari albanesi. La regola impone il
silenzio, perciò le donne, sono munite delle “dokaniqje”,
lunghi bastoni dalla estremità biforcuta, con cui
sono pronte a difendersi da chi potrebbe indurle ad
infrangere la regola. Il rito del “rubare l’acqua”
il Sabato Santo è legato all’antica credenza secondo
la quale al momento del Gloria l’acqua fosse
benedetta. A mezzanotte, poi, davanti al sagrato
della chiesa parrocchiale, si accendono i falò (qerradonula)
attorno ai quali si canta e si balla.
A Morano un grande falò con in
cima un pupazzo brucia i mali della stagione
invernale e propizierà la primavera, la rinascita
della natura.
I riti dei falò nei vari paesi
hanno perso il loro carattere magico, ma restano,
comunque, forme di divertimento popolare e di
aggregazione collettiva, da cui traspare un forte
legame con le nostre radici, la vocazione a una vita
più sana e attenta ai richiami del nostro antico
passato. |
falò di primavera a
Morano
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falò di Carnevale a
Castrovillari 2009
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il pupazzo del
carnevale brucia
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il falò di San
Giuseppe a Castrovillari in piazza Castello
aragonese
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falò di San Leone a
Saracena
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Falò in onore di
San Leone
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© Autore
foto: Maria Zanoni |
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