Centro Cultura e Arte 26 - Ricerca antropologica etnofotografica e promozione beni culturali, arte, tradizioni di Calabria

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TRADIZIONI


 

IL RITO DEL FUOCO

richiami di antico passato nei falò delle feste popolari


Tradizioni e cultura contadina in Calabria, legati ai ritmi dell'antica civiltà rurale, quando il ciclo delle stagioni era scandito dai lavori agricoli, permeano ancora la vita sociale e si esprimono in numerose iniziative di festa collettiva. Le tradizioni popolari, insieme di credenze, usanze, comportamenti privati e sociali tramandati per generazioni, sono profondamente e rapidamente cambiate con il radicale mutamento delle condizioni di vita, di lavoro, di mentalità introdotto dall'industrializzazione.


Nel nostro territorio la spinta alla modernizzazione dello stile di vita è stata forte soprattutto alla fine degli anni sessanta e nei primi anni settanta, quando si è fatto di tutto per eliminare ogni traccia di matrici contadine dalla vita quotidiana.


Anche le feste popolari sono andate perdendo interesse, restando un ricordo nella mente dei tanti emigrati. Oggi, quel mondo contadino sembra perso nella notte dei tempi.
Eppure, prima ancora che questo ricco patrimonio di tradizioni scompaia, insieme agli ultimi testimoni di quella civiltà rurale, che è alla base della nostra identità, si cerca di recuperare e valorizzare il senso della tradizione nelle sagre e nelle feste di paese.


Un rito primaverile, di antichissima origine, ancora radicato nelle nostre popolazioni è quello dei falò, dalle nostre parti detti focarìne o fucaràzzi. Era un magico rito agreste, per favorire una stagione feconda di frutti. Dopo la pausa invernale, ci si preparava al risveglio primaverile della natura con una rituale accensione di fuochi di buon augurio. Al fuoco veniva attribuita una funzione catartica. Era il mezzo con cui l’uomo esprimeva il suo bisogno di dominare le forze della natura ed esorcizzare l’ignoto. La luce che vince le tenebre.

Da tempo immemorabile, i contadini hanno usato accendere dei falò in determinati periodi dell'anno, soprattutto in primavera, per propiziare un'annata di buoni raccolti e scacciare i mali e le avversità, spesso simboleggiati da maschere e fantocci da bruciare.

Un tempo i contadini raccoglievano i rami secchi nelle loro campagne per poi farne un enorme rogo e spargere le ceneri nei campi per propiziare il raccolto. La mattina successiva, dopo aver fatto il giro tre volte intorno alla cenere lasciata dal falo', se ne raccoglieva un po' e la si passava sui capelli o sul corpo, per scacciare i mali; mentre tizzoni accesi venivano portati nel focolare delle proprie case come protezione dagli spiriti maligni.
Il momento dedicato ai falò coincideva con l'inizio dell'anno, che era anche inizio dell'anno agricolo, tra febbraio e marzo, stagione dedicata a Marte, dio dell'agricoltura e simbolo maschile di giovinezza e rinascita, legato all'elemento del fuoco e del sole.
Si cominciava con il falò di S. Antonio Abate, il 17 gennaio, per continuare con quello che bruciava il re Carnevale e poi quello dedicato a San Giuseppe e ad altri Santi protettori.
Probabilmente all'origine di queste feste c'è il mito del fuoco che Prometeo rubò agli dei, per restituirlo agli uomini a cui Zeus l'aveva sottratto per punirli della loro empietà.
Per punizione del suo gesto, Prometeo è incatenato ad una rupe del Caucaso, dove ogni giorno un'aquila gli mangiava il fegato, che ricresceva durante la notte rendendo il supplizio eterno.
Secondo diversi studiosi i riti dei falò sarebbero da mettere in relazione con ancestrali riti di fertilità, riconducibili a culti dionisiaci diffusi in tutto il Mediterraneo.
Un tempo si ballava, tutti in cerchio attorno al falò, si cantava, si beveva vino in abbondanza e si mangiavano i dolci preparati per la ricorrenza; e i più coraggiosi saltavano attraverso le fiamme.
Ma la Chiesa non accettò i riti della fertilità ed i fuochi magici in cui vedeva una chiara eredità pagana. E, non potendo eliminare del tutto queste usanze così radicate nella vita dei contadini, cercò di attribuirvi una connotazione cristiana, spostando a marzo (equinozio di primavera) gran parte dei tradizionali falò del periodo primaverile. Marzo è il mese che rappresenta il contrasto tra elementi inerti ed infecondi della natura e forze di rinnovamento, proprie della nuova stagione primaverile.  
A Mormanno a San Giuseppe, all'imbrunire, nei vari rioni vengono accesi i fuochi (le fagòne). Poi segue il tradizionale "cummìtu": un invito collettivo in cui si consumano i piatti tipici di làgane e cìciri e baccalà frittu. Anticamente si offriva e si serviva di persona il pranzo ai poveri del paese, come usavano i padroni nei confronti dei servi nelle feste dei Saturnali latini.

A Saracena, in onore di San Leone, la sera del 19 febbraio in ogni rione si accendono "i fucaràzzi” che resteranno accesi fino al mattino, mentre per le vie del paese si snoda la fiaccolata, tra canti e suoni di tamburelli.
A Lungro per tradizione si accendono i falò (kaminet e Shëa Kollit) in occasione della festa di San Nicola di Mira, il 6 dicembre; ed a Frascineto a Santa Lucia. A Spezzano ed in altri paesi albanesi i falò (fanonjet) in cui il vicinato (gitonìa) ha raccolto ed accatastato fascine, residui della potatura degli ulivi e delle viti, rappresentano un momento di forte socialità.

A San Demetrio Corone, così come a San Cosmo Albanese, San Giorgio Albanese, a Vaccarizzo, resta radicata la tradizione di recarsi a piedi presso una fontana posta fuori del centro abitato, in assoluto silenzio.

A San Demetrio ci si reca in processione (soprattutto donne) a sorseggiare l’acqua alla “fontana dei monaci”, presso l’antico monastero di Sant’Adriano; poi si ritorna in paese, recitando il “Kristos anesti” (Cristo è risorto) ed altri canti popolari albanesi. La regola impone il silenzio, perciò le donne, sono munite delle “dokaniqje”, lunghi bastoni dalla estremità biforcuta, con cui sono pronte a difendersi da chi potrebbe indurle ad infrangere la regola. Il rito del “rubare l’acqua” il Sabato Santo è legato all’antica credenza secondo la quale al momento del Gloria l’acqua fosse benedetta.  A mezzanotte, poi, davanti al sagrato della chiesa parrocchiale, si accendono i falò (qerradonula) attorno ai quali si canta e si balla.

A Morano un grande falò con in cima un pupazzo brucia i mali della stagione invernale e propizierà la primavera, la rinascita della natura.

I riti dei falò nei vari paesi hanno perso il loro carattere magico, ma restano, comunque, forme di divertimento popolare e di aggregazione collettiva, da cui traspare un forte legame con le nostre radici, la vocazione a una vita più sana e attenta ai richiami del nostro antico passato.

falò di primavera a Morano

 

 

 

 

falò di Carnevale a Castrovillari 2009

 

 

 

 

 

il pupazzo del carnevale brucia

 

 

 

 

 

il falò di San Giuseppe a Castrovillari in piazza Castello aragonese

 

 

 

 

 

 

falò di San Leone a Saracena

 

 

 

 

 

 

Falò in onore di San Leone

 

 

 

 

 

 

©  Autore foto: Maria Zanoni 

 

 
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