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Feste Patronali


 

 

festa da pita

l'antico rito dell'abete nella festa patronale di S. Alessandro ad Alessandria del Carretto - CS -


La festa di Sant'Alessandro Martire, patrono di Alessandria del Carretto, il borgo fondato dai Marchesi Pignone del Carretto, ultimo comune della provincia di Cosenza ai confini della Lucania, si perpetua ogni anno a fine aprile con l'antico rito dell'abete ('a pita, nel dialetto locale).

Questo rituale, che affonda le sue radici negli antichi culti arborei del Mediterraneo, è simile a quello dei paesi lucani di Rotonda, Viggianello, Acettura, con la differenza che l’albero qui è trasportato a braccia, mentre in Lucania sono coppie di buoi a trascinarlo.

L’abete, scelto giorni prima nel bosco di Spinazzeta, viene portato per una strada sterrata, ripida e fangosa, tramite pertiche legate al tronco con “tortiglie” di pruno selvatico, da circa 70 tiratori, mentre gruppi di ragazzi accompagnano con il suono di zampogne e tamburelli, altri ballano la tarantella ed altri ancora offrono e bevono bicchieri di vino.

Alle soste previste durante il tragitto il vino annaffia abbondantemente formaggi e salumi. Libagioni ed abbuffate sono antico retaggio di una società contadina che in quell’occasione spezzava l’abitudine di pasti frugali legati alle risorse della terra. Bere vino durante il rito era ritenuto cosa sacra. Chi rifiutava di bere portava cattivo augurio al rituale propiziatorio di una buona annata di raccolti e di benessere sociale.

Alla festa d’a pita oggi bevono anche le ragazze. Anni addietro alle donne non era permesso di entrare nel bosco per partecipare alle operazioni; esse aspettavano gli uomini “tiratori” all’ingresso del paese, per rifocillarli con cibi tipici locali, dai sapori unici.

Allora tutto si spiegava con la forte simbologia sessuale del rituale: il tronco dell’abete s’incontra e si unisce con la cima, tagliata da un altro abete, conservata con cura e intatta, che rappresenta la parte femminile in questo “matrimonio” dell’albero. Il rito di fertilità che propizia il buon andamento dei semitati e dei raccolti termina con l’abbattimento dell’albero. Morte e rigenerazione. La tradizione vuole che la morte dell’albero permette la fuoriuscita dello spirito arboreo che si spargerà per i campi e li renderà fertili.    

Le espressioni di devozione e le forme di aggregazione della festa d’a pita ci riportano ai miti mediterranei, ai culti pagani rimasti vivi nei rituali cristiani. Il Cristianesimo popolare gradualmente in forma sincretica si è appropriato della tradizione pagana del culto della fertilità.

Il mito attraverso il rito dell’abete diventa realtà, si attualizza.

Nella società di oggi, in cui si è sfaldato il preminente antico sistema magico-religioso, la festa del Patrono con il tiro dell’abete e il suo divenire albero della cuccagna ha assunto un aspetto catartico e di alta socializzazione. In questo complesso cerimoniale rinnovato il paese si propone e si distingue; diventa simbolo principale della propria storia e della propria tradizione culturale.

La festa della pita coinvolge le giovani generazioni. Al rituale della pita, i giovani sono i protagonisti.

L’aspetto più significativo è vedere tanti giovani impegnati a tirare il tronco d’abete o a suonare la zampogna, uno strumento di antica tradizione che testimonia la passione e l’impegno di questi ragazzi a custodire la memoria storica del proprio paese, rinnovando la tradizione locale.

Sono per lo più giovani universitari, bocca alle canne della zampogna e zaino in spalla, che s'impegnano a tutelare questo antico strumento a fiato di musica popolare e le tradizioni della propria terra.

 

 

 

 

 

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©  Autore foto: Maria Zanoni - Festa da pita - 26 aprile 2009

 

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