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CINEMA
settima Arte
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Cinema: settima arte
recensioni e presentazioni di film di successo
a cura di
Claudia Rende
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L’Area Cinema –
Settima Arte, dedicata alla critica cinematografica,
è curata da Claudia Rende.
Con passione e competenza, fornisce elementi di
giudizio accattivanti per sviluppare una buona
cultura della Settima Arte.
La garanzia della buona qualità è data dai commenti
chiari e non invadenti, ricchi di informazioni su
ciascun film analizzato.
Il percorso critico è imperniato non solo sulle
ultime novità, ma anche su analisi interessanti di
film restaurati e interazioni letteratura-cinema.
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X Men 3:
Conflitto finale
X Men:
The last stand, USA, 2006
Regia: Brett Ratner
Cast: H. Jackman, H. Berry, F. Janssen, I.
McKellen, R. Romijn, J. Marsden, P. Stewart
Sceneggiatura: S. Kinberg, Z. Penn
Produzione: Marvel
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 1h e 45'
Capitolo conclusivo della saga dei mutanti
guidati dal professor Xavier (P. Stewart).
Wolverine (Hugh Jackman) & company dovranno
vedersela con una doppia minaccia: da una
lato Magneto (I. McKellen) e il suo esercito
di mutanti di cui fa parte anche Jean Grey,
che ha completato la sua mutazione ed è
diventata la Fenice, dall'altro gli uomini
che hanno trovato una cura per il gene
mutante.
Il film, il più bello della trilogia, è
talmente coinvolgente che qualsiasi
anticipazione ne rovinerebbe la visione, la
sceneggiatura è strepitosa e gli effetti
speciali incredibili.
Brett Ratner (Rush Hour, After the sunset) è
stato un ottimo sostituto di Bryan Singer
(che ha dovuto rifiutare la regia perché
impegnato in "Superman returns", infatti,
anche se il film ha un ritmo più serrato e
più scene d'azione dei due precedenti, non
si trascurano i personaggi e le loro storie:
Wolverine che è sempre stato un tipo
solitario questa volta dovrà decidere da che
parte schierarsi, Jean Grey, invece, farà i
conti con la sua doppia personalità.
In questo episodio si aggiungono nuovi
mutanti: Bestia (Kelsey Grammer) e Angelo
(Ben Foster) tra i buoni, Fenomeno (Vinnie
Jones) e Callisto (Dania Ramirez) tra i
cattivi.
X Men 3 è davvero il gran finale della serie
sui mutanti ideata negli anni Sessanta da
Stan Lee (che nel film è l'uomo che innaffia
il prato vicino casa di Jean Grey) e Jack
Kirby, ma i fans non devono preoccuparsi,
per il 2007 sono previsti due prequel:
"Wolverine" e "Magneto".
La lotta tra Bene e Male è arrivata al
termine, chi vincerà?………..
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Il
Codice Da Vinci
The Da Vinci Code, USA, 2006
Regia: Ron Howard
Cast: T. Hanks, A. Tautou, I. McKellen,
J. Reno, P. Bettany, A. Molina
Sceneggiatura: A. Goldsman
Produzione: Columbia Pictures
Corporation, Imagine Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures
Durata: 2h e 28'
Ron Howard porta sul grande schermo
quello che è stato definito il più
grande successo letterario degli ultimi
dieci anni.
Il curatore del Louvre, Jacques Saunière
(J. P. Marielle), viene ritrovato
cadavere nella posizione dell' "Uomo
Vitruviano" di Leonardo Da Vinci con dei
simboli sul corpo. Per decifrarli, il
capitano addetto alle indagini, Fache
(J. Reno), contatta il professor Robert
Langdon (T. Hanks) esperto di
simbologia. Langdon aiutato da Sophie
Neveu (A. Tautou), nipote di Saunière,
scopre che l'uomo è stato ucciso, dal
monaco Silas (P. Bettany), perché
custodiva un segreto sconvolgente per la
Chiesa. Grazie agli indizi lasciati dal
curatore, i protagonisti cominciano una
caccia al tesoro, non priva di ostacoli,
che li porterà fino a Rosslyn in Scozia,
dove il più grande segreto di tutti i
tempi dovrebbe essere celato.
Il film, privo di suspance, è
estremamente lento e prevedibile. Gli
indizi vengono risolti troppo
rapidamente se si considera che si
tratta di un segreto custodito per
millenni, inoltre, lo spettatore
anticipa il protagonista nella
risoluzione degli enigmi (forse troppo
banali).
Il film risulta essere anticlericale:
l'Opus Dei sembra quasi un "clan
mafioso" che manda sicari in giro per il
mondo ad uccidere pur di mantenere il
segreto.
Deludente l'interpretazione dei
protagonisti, fatta eccezione per Ian
McKellen, che risultano freddi e
inespressivi.
Questo film riuscirà a raggiungere solo
il pubblico che non riesce a distinguere
un vero thriller da una storia piena
zeppa di falsi storici così evidenti che
non si può non notarli.
L'unica verità del "Codice Da Vinci" è
che la storia è di pura fantasia e che
il film brilla più per pubblicità che
per qualità.
Un thriller "supersponsorizzato" niente
di più.
Mission Impossible 3
Id, Usa, Cina, Italia, 2006
Regia: J.J. Abrams
Cast: T. Cruise, P. Seymour Hoffman, V.
Rhames, J. Rhys-Meyers, Maggie Q, L.
Fishburne
Sceneggiatura: A. Kurtzman, R. Orci,
J.J. Abrams
Produzione: T. Cruise, P. Wagner
Distribuzione: UIP
Durata: 2h e 06'
Dopo Brian De Palma e John Woo tocca a
J.J. Abrams dirigere la terza missione
impossibile dell'agente speciale della
IMF (Impossible Mission Force) Ethan
Hunt (T. Cruise).
Questa volta Hunt è in procinto di
sposarsi con Julia (M. Monaghan), che
naturalmente ignora la sua vera
identità, non è più un agente operativo
bensì un addestratore di reclute, ma
quando una sua allieva (K. Russell)
viene rapita durante una missione dal
trafficante Owen Davian (P. Seymour
Hoffman, fresco di Oscar per "Truman
Capote - A sangue freddo"), è costretto
a tornare in azione.
Davian è ossessionato dalla "zampa di
lepre" (una misteriosa arma chimica
molto potente). Per averla è disposto a
tutto: rapisce Julia e costringe Hunt a
rubarla per lui in solo 48 ore
altrimenti ucciderà la donna. E'
l'inizio di una funambolica corsa contro
il tempo che porta l'agente a lanciarsi
dai grattacieli e correre sui tetti di
Shangai. Nella sua missione Hunt non è
da solo come succedeva nei due
precedenti episodi, stavolta ha una
squadra al seguito: il suo amico Luther
Stickell (V. Rhames), Declan (J.
Rhys-Meyers) e Zhen (Maggie Q).
A ricoprire l'ambiguo ruolo di direttore
dell'IMF, Laurence Fishburne che
ostacolerà Hunt nella sua impresa. Il
finale è un po' scontato ma non
indebolisce il film, che regala allo
spettatore scene rocambolesche ad alto
tasso adrenalinico.
Il regista dirige il film con maestria e
mescola bene i punti di forza dei primi
due film, del resto Abrams di spie se ne
intende dato che ha creato e diretto
"Alias" da cui il film ha ereditato la
struttura: non sono solo scene di azione
spettacolari ma anche analisi dei
personaggi e dialoghi più curati che
rendono questo capitolo più completo dei
precedenti.
Intrattenimento allo stato puro questo è
M:I:III.
La
sposa cadavere
The corpse bride, Gran Bretagna, 2005
Regia: T. Burton, M. Johnson
Cast: J. Depp, H. Bonham Carter, E.
Watson, C. Lee
Sceneggiatura: C. Thompson, P. Pettler,
J. August
Produzione: A. Abbate, T. Burton
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 1h e 16'
Dopo "Nightmare before Christmas", Tim
Burton torna a dirigere un film in stop
motion (pupazzi veri animati fotogramma
per fotogramma).
"La sposa cadavere" è un musical macabro
ambientato in epoca vittoriana, che
narra la storia di Victor Van Dort (J.
Depp), un ragazzo un po' impacciato che,
durante le prove del suo matrimonio con
Victoria Everglot (E. Watson), non
riesce a pronunciare il fatidico "sì".
Costretto dal pastore Golswells (C. Lee)
ad imparare a memoria le parole, il
giovane si incammina nella foresta
ripetendo ad alta voce il giuramento.
Mentre prova e riprova finisce con
l'infilare l'anello nuziale su quello
che lui crede un ramoscello, ma in
realtà non è altro che il dito di Emily
(H. Bonham Carter) una sposa assassinata
che improvvisamente diventa uno zombie e
pretende di essere legalmente sposata
con il ragazzo.
L'incredulo Victor viene così trascinato
nella Terra dei Morti, un mondo fatto di
teschi che cantano, pub dei morti e
simpatici scheletri più buffi che
spaventosi.
La differenza tra il mondo dei morti e
quello dei vivi è paradossale: il primo
è vivace, colorato e divertente, il
secondo è grigio, austero e rigoroso.
Victor non ci metterà molto a capire che
non esiste niente che possa allontanarlo
dal suo vero amore.
Tim Burton e Mike Johnson (coregista)
hanno lavorato per dieci anni a questo
film ottenendo un risultato eccellente.
Si coglie la giusta combinazione tra
horror e buffo, macabro e comico, ormai
"marchio di fabbrica" del regista e si
impara che non si è mai troppo piccoli o
troppo grandi per un film d'animazione
firmato Tim Burton.
Non perdetelo.
Good
night and good luck
Id., USA, 2005
Regia: G. Clooney
Cast: D. Strathairn, G. Clooney, R.
Downey Jr., J. Daniels, P. Clarkson
Sceneggiatura: G. Clooney, Grant Heslov
Produzione: G. Clooney, Grant Heslov,
Steven Soderbergh
Distribuzione: Mediafilm
Durata: 1h e 30'
Dopo "Le confessioni di una mente
pericolosa" George Clooney torna a
dirigere un film che tratta personaggi
realmente esistiti e storie realmente
accadute.
Questa volta il protagonista non è un
mitomane bensì un vero eroe americano:
Edward R. Murrow. Nei primi anni
Cinquanta, forse il periodo più cupo
politicamente per gli Stati Uniti, a
causa della guerra fredda tra USA e
Russia, il senatore Joseph McCarthy dà
il via ad una vera e propria caccia alle
streghe, ossessionato dal sospetto che
tra gli americani potessero esserci
delle spie comuniste. Murrow (D.
Strathairn), brillante anchorman della
CBS, mette in luce, nel suo show "See it
now", i lati oscuri del politico che
perseguita onesti cittadini con l'accusa
di simpatizzare per il comunismo. Murrow
riuscirà a fermare, anche grazie
all'appoggio del suo produttore Fred
Friendly e nonostante intimidazioni e
minacce di morte, il maccartismo e a
liberare l'America dalle liste nere e da
uno dei più grandi pericoli della sua
Storia.
Oggi Murrow è considerato uno dei più
grandi giornalisti della storia della TV
americana così come Woodward e
Bernstein, che svelarono lo scandalo
Watergate e ai quali è dedicato il film
di A. J. Pakula del 1976 "Tutti gli
uomini del Presidente"con Dustin Hoffman
e Robert Redford.
Il film è girato in bianco e nero perché
Clooney ha voluto che avesse l'aspetto
di un documentario.
Un buon film, sicuramente da vedere.
La fabbrica di
cioccolato
Charlie and the chocolate factory, USA,
Gran Bretagna, 2005
Regia: T. Burton
Cast: J. Depp, F. Highmore, H. Bonham
Carter, C. Lee, J. Fry
Sceneggiatura: J. August
Produzione: R. D. Zanuck, M. Siegel, B.
Grey
Distribuzione: Warner Bros
Durata: 1h e 15'
Il regista Tim Burton prende per la gola
i suoi fans dirigendo il remake di
"Willy Wonka e la fabbrica di
cioccolato" (di Mel Stuart, con Gene
Wilder).
In questa versione molto più gotica
della precedente, Willy Wonka è
interpretato dall'istrionico e ambiguo
Johnny Depp, che ha dato al personaggio
un profilo ombroso che non è mai venuto
alla luce nel primo film.
Un giorno il piccolo Charlie (Freddy
Highmore) trova, in una tavoletta di
cioccolato Wonka, uno dei cinque
biglietti d'oro con cui il vincitore
potrà fare una visita guidata della
straordinaria fabbrica.
Un vero e proprio paese dei dolciumi
dove si può mangiare tutto, dagli alberi
lecca-lecca ai fiumi di cioccolato;
tutto creato da Willy Wonka e dai suoi
aiutanti, gli Oompa Loompa (nani
fabbricati in serie). Un posto dove ogni
bambino vorrebbe vivere.
Unico punto debole il bizzarro ed
eccentrico proprietario non molto
ospitale.
I bambini attirati dalla fabbrica come
Hansel e Gretel dalla casa di marzapane,
non hanno la minima idea di ciò che li
aspetta.
Willy con fredda indifferenza si
sbarazzerà dei bambini e dei loro cinici
genitori, uno alla volta. Solo Charlie
riuscirà a scoprire il segreto che si
cela in fondo al cuore del folle
"candyman".
Suo padre, dentista (Christopher Lee),
era un accanito nemico di tutti i
dolciumi e, oltre a negarglieli, lo
costrinse a portare un apparecchio per
la corretta masticazione, che sembrava
un'arma di tortura.
L'apparente crudeltà del cioccolataio
non è altro che solitudine.
Il regista ha snellito la sceneggiatura,
eliminando le parti cantate che
toglievano continuità all'originale del
1971.
Il tocco burtoniano si avverte sin
dall'inizio: il film è cupo e
visionario; ma ormai, si sa, Burton dice
la sua anche nei film apparentemente
solo per bambini.
Caldamente consigliato.
Il
mercante di Venezia
The merchant of Venice,
Italia/USA/GB/Lussemburgo, 2004
Regia: M. Radford
Cast: Al Pacino, J. Irons, J. Fiennes,
L. Collins
Sceneggiatura: M. Radford
Produzione: C. Brokaw, B. Navidi, J.
Piette, M. Lionello Cowan
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 2h e 4’
Finalmente sugli schermi italiani la
nuova versione cinematografica de Il
mercante di Venezia, forse l’opera più
controversa di William Shakespeare,
questa volta diretta da Michael Radford.
Venezia, XVI secolo. Per aiutare
Bassanio (J. Fiennes), che vuole sposare
Porzia (L. Collins), il mercante
cristiano Antonio (J. Irons) chiede in
prestito 3000 ducati all’usuraio ebreo
Shylock (Al Pacino), il quale esige dal
mercante una libbra di carne del suo
corpo se non salderà il debito entro i
termini pattuiti. Shylock, attende da
tempo l’occasione di vendicarsi per le
persecuzioni e le umiliazioni subite e
quando Jessica (Z. Robinson), sua
figlia, scappa con Lorenzo (C. Cox),
protetto di Antonio, egli giura che il
mercante gliela pagherà cara. Antonio
dovrà pagare il suo debito e la contesa
finirà davanti al tribunale del Doge.
Il regista non ha rielaborato l’opera e
si è strettamente attenuto al testo
originale e alle ambientazioni, ciò
dimostra che Shakespeare é sempre
attuale: evidenzia i sentimenti umani
scavando nei problemi morali e
psicologici dei personaggi piuttosto che
raccontare solo i fatti.
Al Pacino è semplicemente straordinario
(ma il merito va anche a Giancarlo
Giannini che, nella versione italiana,
gli presta la voce), il suo Shylock, é
un uomo solo, ferito nell’orgoglio e per
questo accecato dal desiderio di
vendetta per le ingiustizie subite. Da
Oscar il monologo in cui l’usuraio dà
voce alla rabbia per la persecuzione
degli Ebrei in una Venezia cristiana.
Pacino rende l’opera così attuale da non
sembrare scritta secoli fa e la sua
interpretazione è così intensa da
adombrare persino l’ottimo Jeremy Irons.
Il film, accurato, ma a tratti un po’
lento, fa dell’opera, da sempre
considerata antisemita, un insegnamento
sulla tolleranza.
Il
Fantasma dell'Opera
The Phantom of the Opera, 2004
Regia: J. Schumacher
Cast: G. Butler, E. Rossum, P. Wilson,
M. Driver, M. Richardson
Sceneggiatura: A. Lloyd Webber, J.
Schumacher
Produzione: A. Lloyd Webber
Distribuzione: Warner
Durata: 2h e 23’
Finalmente lo straordinario musical di
Andrew Lloyd Webber è diventato un film.
Ad adattarlo per il grande schermo sono
stati lo stesso Lloyd Webber e il
regista Joel Schumacher, che ha diretto
con grande maestria un cast all’altezza
della situazione.
La vicenda si svolge nella seconda metà
dell’Ottocento a Parigi nel teatro
dell’Opera. La stella del teatro, la
Carlotta (Minnie Driver) dà forfait il
giorno di una prima importante e viene
chiamata a sostituirla Christine Daäe
(Emmy Rossum), ballerina, figlia di un
noto violinista dell’epoca. La ragazza,
che si scoprirà essere una brava
cantante, ha studiato musica e canto per
anni, grazie ad un maestro di cui lei
non conosce il nome e che crede sia
“l’Angelo della Musica” mandatole dal
padre, morto quando lei era solo una
bambina. In realtà, quell’uomo è “il
Fantasma dell’Opera” (Gerard Butler) che
da anni vive nei sotterranei del teatro
terrorizzando gli artisti e di cui
nessuno ha mai visto il volto perché
coperto da una maschera. Quando il
Fantasma, innamorato di Christine (per
la quale prova un’ossessiva gelosia) si
accorge che il Visconte Raoul de Chagny
(Patrick Wilson), proprietario del
teatro, mostra interesse per la ragazza
che intanto è diventata la primadonna
della compagnia, impazzisce. Questo darà
il via ad un susseguirsi di violente
passioni e scontri. La situazione
precipita quando si scopre che Christine
ricambia l’amore del Visconte (anche se
è allo stesso tempo attratta dal
Fantasma) e ciò porterà allo scontro
finale tra i due uomini che si
contendono l’amore della cantante.
Il film non è in lingua originale con
sottotitoli in italiano (peccato!) come
già era successo, ad esempio, per Evita
e Jesus Christ Superstar. Infatti, Lloyd
Webber ha voluto che ogni nazione avesse
una propria versione. In Italia i
protagonisti sono stati doppiati nelle
parti cantate da cantanti che hanno già
partecipato a musical di successo: il
Fantasma è doppiato da Luca Velletri
(Nôtre Dame de Paris), Christine da
Renata Fusco (Grease), il Visconte da
Pietro Pignatelli (Pinocchio).
Degna di nota l’interpretazione di
Gerard Butler, il fantasma ha il fascino
magnetico e demoniaco di un vampiro: si
avverte il male in lui ma è difficile
stargli lontano. Anche Emmy Rossum è
convincente nell’infondere al suo
personaggio la giusta dose di
ammirazione e odio nei confronti del
Fantasma. Meritevoli le scenografie
barocche e sfarzose così come i costumi.
L'ultima alba
Tears of the Sun, USA, 2003
Regia: A. Fuqua
Cast: B. Willis, M. Bellucci
Sceneggiatura: A. Lasker, P. Cirillo
Produzione: M. Lobell, E. Rifkin, I.
Bryce
Distribuzione: Medusa
Durata: 2h e 1’
Bruce Willis doveva essere incapace di
intendere e di volere quando ha
accettato il copione di questo film,
oppure, può darsi si sia lasciato
prendere dall’entusiasmo quando ha
saputo che nel cast ci sarebbe stata
Monica Bellucci (meglio stendere un velo
pietoso sulla sua interpretazione, che
ha già fatto danni in “Matrix Reloaded”
e “Matrix Revolutions”). Il regista è
Antoine Fuqua, già autore di “Training
Day”, che ha fruttato nel 2001 un Oscar
a Denzel Washington, tuttavia,
sicuramente non sarà questo film a farlo
ottenere a Willis. Il tenente A. K.
Waters (B. Willis), al comando di una
squadra di Navy Seals specializzata in
missioni rischiose, è incaricato di
recuperare la dottoressa Lena Kendricks
(Monica Bellucci), che si trova in una
missione nella giungla nigeriana, perché
il luogo è soggetto ad un colpo di stato
organizzato da militari ribelli. La
trama piatta poco originale e la
presenza di scene inverosimili rendono
la storia ancora più banale di quanto
non lo sia già. I discorsi sono molto
noiosi e la lentezza con cui procede il
film fa sì che lo spettatore si stanchi
di seguirlo fino alla fine. Neanche la
colonna sonora di Hans Zimmer, un
maestro del genere d’azione e del genere
drammatico, riesce a rendere piacevole
“L’ultima alba”, che non può essere
considerato né d’azione né drammatico.
L’unico aspetto veramente drammatico di
questo flop è che i produttori lo
abbiano paragonato a “Salvate il soldato
Ryan”. In conclusione: “Risparmiate i
soldi del biglietto!”.
X
Men 2
Id., USA, 2003
Regia: B. Singer
Cast: H. Jackman, P. Stewart, I.
McKellen, H. Berry, F. Jenssen, B. Cox
Sceneggiatura: M. Dougherty, D. Harris
Produzione: L. Shuler Donner, R. Winter
Distribuzione: Fox
Durata: 2h e 5’
Gli X-Men sono tornati.
Wolverine (Hugh Jackman), Tempesta (Halle
Berry), Jean Grey (Famke Janssen),
Cyclope (James Marsden), Rogue (Anna
Paquin) e i loro amici devono combattere
un nuovo spietato nemico: William
Stryker (Brian Cox), uno scienziato
militare che ha ordinato un’incursione
nella scuola per giovani dotati allo
scopo di rapire nuovi mutanti per
compiere i suoi folli esperimenti. In
seguito si scoprirà avere a che fare con
il passato di Wolverine e del professor
Xavier (Patrick Stewart). Questo
temibile avversario ha al suo seguito
Lady Deathstrike (Kelly Hu, già vista ne
“Il Re Scorpione”, ma in Italia è più
conosciuta come la Kaori dello spot
Philadelphia), una mutante con gli
stessi artigli di Wolverine. I supereroi
devono anche scoprire dove si nasconde
il mutante Nightcrawler (Alan Cumming) e
perché ha attentato alla vita del
presidente degli Stati Uniti. Come se
non bastasse Mystica (Rebecca
Romijn-Stamos) riesce a far evadere
Magneto (Ian McKellen) dalla prigione di
plastica in cui era stato rinchiuso nel
precedente episodio… Insomma l’azione
non manca. Questo film è molto più
travolgente e completo del precedente
uscito nel 2000, infatti si può dire che
il primo film sia stato una specie di
presentazione dei mutanti, dei loro
poteri e delle impressioni che
suscitavano nelle persone.
Bryan Singer ha diretto il film con
stile ed ha lasciato in giro molti
indizi per un terzo capitolo.
Più o meno realistici, ma comunque
d’impatto gli effetti speciali (da
notare l’effetto con cui scompare
Nightcrawler). La scenografia è ad alto
livello: abile lo scenografo che ha
ricostruito in studio l’attentato al
Presidente nella Casa Bianca, dopo il
divieto del Presidente Bush ad
effettuare le riprese.
Come Daredevil, Spiderman e Hulk, X-Men
è un prodotto Marvel nato dall’ingegno
dello sceneggiatore Stan Lee. Questi
supereroi hanno sì dei poteri
eccezionali ma allo stesso tempo sono
anche persone fragili e imperfette.
Fumetto, quindi, fino ad un certo punto.
Nel film sono celati anche significati
più profondi e temi sociali
attualissimi.
Un aspetto interessante del film è che
non è strettamente necessario aver visto
il primo episodio per capire questo
affascinante seguito. In poche parole…
questo film è entusiasmante!
Daredevil
Id., USA, 2003
Regia: M. Steven Johnson
Cast: B. Affleck, J. Garner, M. Clarke
Duncan, C. Farrel, J. Pantoliano
Sceneggiatura: M. Steven Johnson
Produzione: A. Arad, G. Foster, A.
Milchan
Distribuzione: Fox
Durata: 1h 43’
Brillante avvocato di giorno,
implacabile giustiziere di notte. Questo
è Daredevil, ennesimo supereroe dei
fumetti Marvel, nato nel 1964 dalla
macchina da scrivere di Stan Lee e dalla
matita di Bill Everett. Eroe dal cuore
tormentato e allo stesso tempo disabile,
rimasto traumatizzato a dodici anni a
causa dell’assassinio del padre. Matt
Murdock (Ben Affleck) è un avvocato
giusto e leale rimasto cieco da bambino,
a causa di un liquido radioattivo, che
quando non riesce ad ottenere giustizia
in tribunale, diventa Daredevil,
spietato giustiziere assetato di
vendetta. Crescendo ha sviluppato in
maniera straordinaria gli altri sensi,
tanto da riuscire ad agire con la
massima scioltezza in situazioni di
pericolo. Gli altri personaggi del film
sono: Elektra Natchios (l’attrice
Jennifer Garner), figlia di un facoltoso
magnate greco, esperta di arti marziali,
che si innamora di Matt ma vuole
uccidere Daredevil perché lo ritiene
responsabile dell’omicidio di suo padre.
In realtà il colpevole è Bullseye
(l’irlandese Colin Farrell), assassino
dalla mira infallibile che lavora per
Kingpin (Michael Clarke Duncan),
elegante e potente gangster che anni
addietro aveva assassinato il padre del
protagonista, per cui, lo scontro tra i
due è inevitabile. La debole trama è
retta dall’amore di Matt per Elektra,
dalle uscite comiche del simpatico
avvocato e collega (interpretato da Jon
Favreau) e dal cacciatore di scoop (Joe
Pantoliano). Le riprese frenetiche
(quasi tipo video clip), sono forse un
po’ troppo veloci perché possano far
godere, agli appassionati del genere,
gli emozionanti combattimenti a colpi di
Kung Fu (da notare quello tra Matt ed
Elektra nel parco e quello tra Daredevil
e Bullseye), oltretutto la maggior parte
di questi avviene al buio. Il vero
guerriero del film è Jennifer Garner
(come ha dichiarato lo stesso Ben
Affleck), che, grazie all’allenamento
per il telefilm “Alias”, ha reso
moltissimo nelle scene d’azione. Tra le
differenze riscontrate nel film rispetto
al fumetto, la più grande è senza dubbio
la figura di Kingpin, infatti, nel
fumetto il gangster è bianco. Un’altra
differenza è nei costumi: nel fumetto
Daredevil indossa prima una tuta gialla
e poi una rosso fuoco ricavata
dall’accappatoio da pugile del padre,
nel film invece, la tuta è di pelle e il
colore è rosso bordeaux, una tonalità
molto simile a quella del sangue.
Elektra, invece della tuta rossa da
ninja (forse per non confonderla con
Daredevil) indossa top, pantaloni e
stivali neri sempre di pelle: un
incrocio tra Britney Spears nel video di
“I Love Rock and Roll” e Lucy Liu in
“The Payback”. Nel film ci sono alcuni
errori di montaggio e alcune
imprecisioni: ad esempio, nella scena
della metropolitana l’orologio segna le
11:50, in quella successiva, invece, le
11:30. Nella scena del combattimento tra
Daredevil ed Elektra, ci sono delle
lenzuola appese ad asciugare, ma si
possono vedere chiaramente i segni
dovuti alle piegature, ciò dimostra che
sono nuove di zecca, messe lì apposta
per la scena! Quando Bullseye cade dalla
moto non ha niente in mano, mentre
quando è per terra, nella scena
successiva, ha in mano il bastone di
Daredevil. Piccole disattenzioni che
però non rovinano il film, diretto da
Mark Steven Johnson, che è alquanto
complesso, infatti, esplora il tema del
Male a fin di Bene visto anche
attraverso la religione. “Daredevil” è
il film per chi ama i fumetti e i film
d’azione.
La
regola del sospetto
The Recruit, 2003
Regia: R. Donaldson
Cast: Al Pacino, C. Farrel, B. Moynahan
Sceneggiatura: R. Towne, K. Wimmer, M.
Glazer
Produzione: R. Birnbaum, J. Apple, G.
Barber
Distribuzione: Buena Vista
Durata: 1h e 54’
“Tutto è un test, niente è ciò che
sembra”. Questa è la regola che James
Douglas Clayton (Colin Farrell), mago
dell’informatica, deve imparare quando
viene reclutato da Walter Burke (lo
straordinario Al Pacino) per entrare a
far parte della C. I. A.. Portato in un
centro di addestramento chiamato “la
fattoria” viene sottoposto a qualsiasi
tipo di test, dalla macchina della
verità alla tortura. Qui conosce Layla
Moore (Bridget Moynahan), della quale si
innamora. La prima missione che gli
viene assegnata è molto difficile: deve
sorvegliare Layla e scoprire per chi sta
lavorando, perché sta misteriosamente
copiando, dai computer della C. I. A.,
il programma Ghiaccio Nove, capace di
distruggere l’intero sistema elettrico
degli U. S. A.. E’ un compito duro: deve
dubitare di tutto e di tutti, forse
anche di se stesso, per scoprire la
verità. Il film, tutt’altro che una
banale spy story, sviluppa la concezione
della spia non come persona fredda e
distaccata che deve solo eseguire i
compiti assegnatele. James D. Clayton ne
è un esempio calzante: i suoi sentimenti
prevalgono sul dovere. Il thriller è
sponsorizzato C. I. A., infatti, proprio
il portavoce dell’Agenzia, Chase
Brandon, ha dato consigli utili agli
attori su norme comportamentali e
tecniche di reclutamento. Grande
l’interpretazione di Al Pacino: il suo
personaggio è diabolico, misterioso e
ambiguo allo stesso tempo; infatti,
passa velocemente dal ruolo di amico a
quello di freddo addestratore. Bisogna
sottolineare che il merito va anche a
Giancarlo Giannini, che gli presta la
voce in fase di doppiaggio. Degno di
nota il lavoro dello scenografo Andrew
McAlpine, che è riuscito a ricostruire
abilmente sia “la fattoria” che il
Quartier Generale della C. I. A. a
Langley, avendo a disposizione poco
materiale informativo. Questo film,
diretto dal regista di “Senza via di
scampo”, Roger Donaldson, è un thriller
appassionante e imprevedibile in grado
di far sospettare fino alla fine di
tutti i protagonisti. L’unica persona di
cui lo spettatore non deve sospettare è
chi dice: “Il film è da vedere”.
Un
boss sotto stress
Analyse That,USA, 2002
Regia: H. Ramis
Cast: R. De Niro, B. Crystal, L. Kudrow
Sceneggiatura: P. Steinfeld, P. Tolan,
H. Ramis
Produzione: J. Rosenthal, P. Weinstein,
S. Herrington
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 1h e 35’
Robert De Niro e Billy Crystal di nuovo
insieme nel seguito di “Terapia e
pallottole”, la commedia, del 1999, che
raccontò con divertente leggerezza la
storia del boss Paul Vitti (De Niro),
che in preda ad attacchi di panico e
sensi di colpa, irrompe nella vita dello
psichiatra Ben Sobel (Billy Crystal) in
procinto di sposarsi con Laura (Lisa
Kudrow), obbligandolo a prenderlo in
cura. Il successo è arrivato grazie
all’affiatamento del cast e alla storia
originale, perciò non si poteva non
girare questo seguito. Questa volta il
boss, affetto da un presunto esaurimento
nervoso che lo porta a cantare a
squarciagola le canzoni di West Side
Story, viene rilasciato da Sing Sing e
affidato alle cure dello stressato
psichiatra ora felicemente sposato. I
tentativi, a dir poco disastrosi, di
reinserimento del mafioso nella società,
creano una serie di situazioni più o
meno riuscite. I duetti De Niro-Crystal
sono spassosi, ciononostante il film non
riesce a superare “Terapia e
pallottole”.
La cosa che non piace di questo film è
il doppiatore di De Niro: è vero che è
difficile sostituire l’indimenticabile
Ferruccio Amendola, ma il nuovo
doppiatore (Stefano De Sando)
attribuisce molto spesso al protagonista
un accento romano ed una tendenza a
strascicare le ultime sillabe che è
assolutamente fuori contesto (in alcuni
dialoghi, si ha difficoltà a seguire ciò
che dice). Non si può certo dire che sia
adatto al personaggio (anche se in Ronin
è stato all’altezza della situazione).
007
La morte può attendere
007 Die another day, 2003
Regia: L. Tamahori
Cast: P. Brosnan, H. Berry, T. Stephens,
R. Pike, J. Dench, J. Cleese
Sceneggiatura: N. Purvis, R. Wade
Produzione: M. G. Wilson, B. Broccoli
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 2h e 15’
In occasione del suo quarantesimo
compleanno cinematografico, è uscito
nelle sale: ”007 La morte può
attendere”, ventesimo film della saga di
James Bond, l’agente segreto più famoso
di Sua Maestà Britannica.
La sua prima apparizione risale al 1962,
con “Licenza di uccidere” e dopo molte
avventure, flirt e cocktail Martini, la
spia più amata dal pubblico (secondo la
leggenda, una persona adulta su due
avrebbe visto almeno un film di 007) è
di nuovo sulla cresta dell’onda, virile
e seducente come sempre.
Sono stati apportati alcuni cambiamenti:
il regista è Lee Tamahori, la nuova Bond
girl è Halle Berry, la mitica Aston
Martin ritorna come “auto di servizio”,
sostituendo le Bmw degli ultimi tre film
e mentre Madonna canta “Die another
day”, la canzone-guida, oltre ai soliti
titoli di testa con corpi femminili
stilizzati, vediamo 007 sottoposto a
torture. Cambiamenti ma anche conferme,
come il ritorno per la quarta volta di
Pierce Brosnan nei panni di James Bond,
Judi Dench in quelli di M e John Cleese,
in quelli dell’armiere del Servizio
Segreto succeduto a Q (interpretato, per
19 film, da Desmond Llewellyn scomparso
due anni fa). Ancora una volta il film
mantiene lo stile al quale la serie ci
ha abituato, infatti, seguendo la
tradizione, si inizia con del surf
notturno (molti pensano che questa
sequenza sia stata realizzata al
computer, invece è vera), per poi
proseguire con uno spettacolare
inseguimento a bordo di un hovercraft.
Questa volta Bond, accusato di
tradimento, dovrà sventare i piani
dell’ennesimo megalomane, il
multimiliardario Gustav Graves
(interpretato da Toby Stephens), che
proprio su se stesso, sperimenterà una
nuova terribile macchina in grado di
cambiare i lineamenti del volto umano,
manipolando il DNA. Il tutto si svolge a
ritmi frenetici tra: Corea, Hong Kong,
Cuba, Londra e Islanda.
Il personaggio di James Bond non si è
evoluto molto, appena qualche
inevitabile aggiornamento. E’ sempre lo
stesso “single”, elegante nel suo
completo firmato Brioni, con licenza di
uccidere che guida belle macchine ed ha
incontri occasionali con belle donne,
mentre salva il mondo da qualche
psicopatico. In poche parole: Bond è
esattamente quello che ogni ragazzo
vorrebbe essere.
Il film è interessante, sia per il
grande pubblico sia per i cultori delle
gesta di 007, il suo punto di forza è il
fascino ineguagliabile di un uomo che
allo stesso tempo è assassino e
gentiluomo.
Ma
che colpa abbiamo noi
Italia, 2003
Regia: C. Verdone
Cast: C. Verdone, M. Buy, A. Catania, M.
Amato, S. Pesce, A. Caprioli
Sceneggiatura: C. Verdone, F. Satta, P.
Plastino, P. De Bernardi
Produzione: Virginia Film
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 1h e 56’
Dopo tre anni di assenza dal set, torna
Carlo Verdone e coglie nel segno, con
una commedia corale alla “Compagni di
scuola”, per parlare con leggerezza di
nevrosi e psicoanalisi.
La storia è quella di otto persone che
fanno terapia di gruppo e che a causa
dell’improvvisa morte della loro
psicoanalista (avvenuta in piena
seduta!), sono costrette a cercare un
degno sostituto, non riuscendoci,
tentano di sperimentare una terapia di
gruppo autogestita. Verdone ha messo
insieme un bel campionario di nevrosi,
fra depressioni, insicurezze, carenze di
affetto e sensi di colpa (come dice il
titolo del film, rubato ad un vecchio
successo dei Rokes). C’è Flavia
(Margherita Buy), infelicemente legata
ad un uomo sposato, che ha la mania per
le scarpe; Chiara (Anita Caprioli),
studentessa universitaria, bulimica, che
vive tra chat line e frigorifero; il
malato d’insonnia Ernesto (Antonio
Catania), che cacciato di casa dalla
moglie dopo l’unico tradimento della sua
vita, riesce a dormire solo in treno.
Inoltre, del gruppo fanno parte: Luca
(Max Amato), un elegante e scontroso
omosessuale che non riesce a tagliare i
legami che lo rendono succube di un uomo
sposato; la cinquantenne Gabriella
(Lucia Sardo), che non riuscendo ad
accettare l’avanzare dell’età,
colleziona lifting e uomini per paura di
restare sola; il violoncellista obeso
Alfredo (Luciano Gubinelli), che a
quaranta anni vive ancora con la madre
anziana. Non manca il malato misterioso,
Marco (Stefano Pesce), trentenne
silenzioso che vive in una casa
originale piena di immagini e di suoni,
il cui male di vivere sarà svelato solo
alla fine del film. Per sé Verdone ha
scelto il ruolo di Gegè, cinquantenne
brillante alle prese con un
padre-padrone che lo umilia in pubblico
e lo tratta come un incapace.
Il film è ben costruito: la
sceneggiatura estremamente complessa,
riesce ad intrecciare le vicende dei
personaggi.
Il tema attualissimo è quello della
fragilità delle persone, della
solitudine e della mancanza di punti di
riferimento. Nel film si riscontra un
perfetto equilibrio tra comicità e
malinconia. Questa commedia fa ridere ma
allo stesso tempo riflettere sul nostro
tempo confuso, dominato dalla solitudine
e dalle nevrosi.
“Ma che colpa abbiamo noi” è forse uno
dei più bei film di Carlo Verdone.
Chicago
Id.,USA, 2002
Regia: R. Marshall
Cast: C. Z. Jones, R. Zellweger, R.
Gere, Q. Latifah, J. C. Reilly
Sceneggiatura: B. Condon
Produzione: M. Richards
Distribuzione: Buena Vista
Durata: 1h e 53’
Finalmente nelle sale l’originale
rilettura cinematografica dell’acclamato
musical teatrale di Bob Fosse.
“Chicago” si basa su un fatto di cronaca
che negli anni Venti, inondò le pagine
di quotidiani e tabloid. Protagoniste
della storia, due assassine: Velma Kelly
(Catherine Zeta-Jones), stella del
varietà, colpevole di aver ucciso marito
e sorella sorpresi in flagrante e Roxie
(Renée Zellweger), moglie insoddisfatta
che uccide il proprio amante perché
illusa con la falsa promessa di farle
intraprendere una brillante carriera.
Rinchiuse nello stesso carcere, si
rendono conto di quanto possa essere
vantaggiosa, per entrambe, l’ossessiva
curiosità del pubblico. Le due donne
diventate rivali, vengono difese dallo
stesso avvocato, Billy Flynn (Richard
Gere), che in cambio di una sostanziosa
parcella, garantisce di salvare chiunque
dalla pena di morte (da notare ciò che
afferma con convinzione: “Se Cristo
fosse nato a Chicago e fosse venuto da
me con 5.000 dollari, sarebbe finita
diversamente”). Per questo motivo, il
marito tradito di Roxie (John C.
Reilly), gli affida la vita di quella
donna, che nonostante tutto, non può non
amare. L’ironico avvocato, non è altro
che il “burattinaio” che fa danzare il
destino di Velma e Roxie a suon di
titoli di testa sui giornali, infatti,
influenzato dalla cinica stampa locale,
sposta, con molta disinvoltura, la sua
attenzione dall’una all’altra. Tutto
dipende dalla stampa, che tratta
l’omicidio come una forma di spettacolo,
proprio come Roxie, che trasforma, con
l’immaginazione, tutto ciò che le accade
in numeri musicali di un grande show,
del quale è protagonista.
Il film è diretto da Rob Marshall, che,
al suo debutto cinematografico, racconta
con maestria la corruzione delle
istituzioni giudiziarie, il cinismo
della stampa e di come la società
sceglie i propri eroi fra gli assassini.
“Chicago” può far sperare nella
rinascita del musical, che per troppo
tempo è rimasto in letargo. Il cast, che
forse inizialmente, offriva minori
garanzie musicali è stato strepitoso.
Prova a prendermi
Catch me if you can,USA 2002
Regia: S. Spielberg
Cast: L. Di Caprio, T. Hanks, C. Walken,
M. Sheen, J. Brolin, J. Garner
Sceneggiatura: J. Nathanson
Produzione: S. Spielberg, W. F. Parkes
Distribuzione: UIP
Durata: 2h e 21’
Steven Spielberg, dopo il grande
successo del thriller fantascientifico
“Minority Report”, ritorna nelle sale
con una commedia brillante, che racconta
la vera storia di Frank William Abagnale
jr, un truffatore sedicenne dalle mille
identità (pilota della Pan Am, pediatra
al Georgia Hospital, avvocato per lo
Stato della Louisiana), che negli anni
Sessanta riuscì a spacciare assegni
falsi per milioni di dollari.
Nei panni dell’impenitente truffatore
Leonardo Di Caprio, che raddoppia il
successo ottenuto con “Gangs of New
York” di Scorsese, dimostrando la sua
grande versatilità di attore. Insieme a
Di Caprio, nel film, un bravo Tom Hanks,
che interpreta il ruolo di Carl Hanratty,
l’agente dell’F.B.I. che gli dà la
caccia per sei anni.
I temi del film sono quello della
famiglia frantumata e non più
ricomponibile (da notare la commovente
interpretazione di Christopher Walken
nel ruolo del padre di Frank) e quello
dell’ingenua società anni Sessanta, in
cui l’apparenza e il denaro sono tutto:
la gente vede solo quello che vuole
vedere, infatti, a Frank basta comprare
una divisa per diventare pilota d’aereo
e gli basta guardare la TV perché si
spacci per pediatra.
La commedia dura due ore e mezza, che
passano rapidamente senza mai stancare
lo spettatore.
Sicuramente un film da vedere, adatto a
chi piace la commedia ironica e
frizzante.
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