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TRADIZIONI
POPOLARI
Carnevale
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Carnevale in Calabria
i rituali del carnevale:
valori umani ed elementi culturali
Le
feste popolari sono una forma primaria molto importante
della cultura umana.
Le
festività non sono periodi di riposo collettivo. Il loro
clima nasce dalla sfera spirituale e ideologica del popolo;
e le fasi delle loro evoluzioni storiche sono state legate a
periodi di crisi nella società.
Carnevale 2009 -
Castrovillari (CS)
51° edizione
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Carnevale 2009 -
Castrovillari (CS)
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Rinascere, rinnovarsi erano caratteri peculiari delle feste
popolari, sia laiche che ecclesiastiche. Nelle feste
popolari i Calabresi rivivono i momenti più significativi
della loro storia.
E nei
rituali del Carnevale e della Settimana Santa, che
sopravvivono alle cancellazioni del tempo, sono presenti
antichi valori umani ed elementi culturalmente significanti
per scavare nel nostro passato remoto e ritrovare il nostro
senso di appartenenza, nella società consumistica
contemporanea.
Carnevale 2009 -
Castrovillari (CS)
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Carnevale 2005 -
Castrovillari (CS)
Gruppo della
Polonia
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Carnevale 2008
- Castrovillari (CS)
50°
anniversario |
Carnevale 2009 -
Castrovillari (CS) |
Molti
riti oggi sono scomparsi e molti hanno subito
trasformazioni.
Nella
nostra società post-industriale alcune forme liturgiche sono
diverse dalle ritualità folkloriche tradizionali ed a volte
assumono l’aspetto di sagre ed animazioni etnoturistiche. In
alcune ritualità, credenze e comportamenti che si ripetono
annualmente, il popolo manifesta il suo bisogno di evasione
dalla realtà, ieri come oggi.
La
festa del Carnevale ed i riti della Settimana Santa, in cui
la tradizione cattolica si è innestata su quella pagana,
offrono al popolo la possibilità di estraniarsi dal reale,
anche se solo per qualche giornata, di dimenticare
convenzioni e ruoli sociali. In particolare in questi due
rituali, uno di natura laica, l’altro ecclesiastica, il
popolo cerca di espellere le forze malefiche che sembrano
influenzare il suo vivere quotidiano e, rinnovato e
purificato, ricerca la gioia.
Ellittico e circolare è anche il ballo della tarantella
che caratterizza i rituali.
Nella
stessa occasione si intrecciano momenti penitenziali, di
purificazione, e momenti di gioia ( morte e resurrezione
). Il falò del fantoccio di paglia, con cui si conclude
il rituale del funerale del re carnevale, brucia tutti
i mali, purifica ed auspica un nuovo anno migliore,
così come, dopo il periodo penitenziale della quaresima,
la via Crucis, triste commemorazione della passione e morte
di Cristo, culmina con la resurrezione pasquale e la festa
godereccia della pasquetta.
Nella tradizione dei paesi
italo-albanesi di rito greco-bizantino i defunti venivano
commemorati il sabato precedente la domenica di Carnevale
con simposi durante feste popolari che richiamavano le
Antesterie in onore di Dioniso. A San Demetrio Corone, come
in pochi altri paesi albanesi, ancora oggi è viva la
tradizione di recarsi in processione al cimitero e di
consumare cibi e bevande sulla tomba dei parenti.
Un gruppo di uomini, di
solito, si dispone in cerchio intorno alla tomba e, dopo
aver versato un bicchiere di vino su di essa, dicendo: “ per
shpirtin e tij”, beve e mangia, in memoria del defunto.
Nella stessa giornata il
sacerdote si reca presso le famiglie per benedire le
(panagjie) mense apparecchiate con piatti di grano bollito,
vino e pane, (còllivi) che verranno distribuiti alle
famiglie del vicinato.
Si rinnova, così, una
tradizione che testimonia i valori di solidarietà del popolo
arbereshe, oltre che uno stretto rapporto anche con la
cultura dei latini che celebravano cerimonie funebri,
all’inizio della primavera, durante le quali si preparava un
convito presso le tombe (silicernium). Offrire e consumare
chicchi di grano (spernà) era senz’altro un atto
propiziatorio che potesse favorire la crescita dei seminati.
Le feste ufficiali della
Chiesa, estranee al clima comico, anticamente
sancivano gli ordinamenti esistenti, le gerarchie sociali;
le feste del
Carnevale, invece, erano il trionfo della temporanea
liberazione dal quotidiano, l’abolizione provvisoria dei
rapporti gerarchici, dei privilegi, dei tabù.
Queste
feste si presentavano nettamente differenti dalle forme di
culto serie della Chiesa.
Sin
dalle epoche più remote della società si formò una duplice
percezione del mondo e delle vita umana: accanto ai riti e
ai miti ecclesiastici, seri della preghiera, del pianto e
della penitenza stavano i culti comici ed ingiuriosi nei
confronti della divinità. I riti carnascialeschi, infatti,
sono assai lontani dal misticismo e dalla religiosità della
comunità (pietà popolare), sono esterni alla Chiesa,
appartengono ad una sfera del tutto particolare della vita
quotidiana.
Il
Carnevale
si
identifica con un periodo festivo e di licenza tra il Natale
e la Quaresima. La vita è un gioco, uno spettacolo teatrale
in cui non esiste distinzione tra attore e spettatore.
Alla
festa del Carnevale non si assiste si partecipa, secondo le
leggi della libertà e della licenziosità, come negli antichi
Saturnali romani. Nelle feste saturnali i
Romani vivevano un provvisorio ritorno all’età felice
“dell’oro”, quando, secondo la leggenda classica, sulla
terra regnava il Dio Saturno. Allora gli uomini vivevano
felici, ignari del dolore e della sofferenza.
Durante
le feste saturnali agli schiavi era concesso di
trattare come loro pari i padroni e di rinfacciare loro vizi
e difetti. Si tenevano grandi banchetti, a cui partecipavano
persone di diversa estrazione sociale, tra danze,
rappresentazioni mimiche, scherzi e giochi. Le tradizionali
forme della libera realizzazione e del rinnovamento dei
Saturnali sono sopravvissute attraverso le epoche nei riti
carnevaleschi, anche se molto è stato trasformato dal
Cristianesimo.
Durante
questa festività agraria di espiazione e di rinnovamento,
del rito dell’antica Roma di eleggere fra gli schiavi il
re dei Saturnali che poi veniva sacrificato, come
passato carico di colpe da eliminare, resta oggi la
tradizione di bruciare il re Carnevale.
Nel
carnevale sono confluiti riti agrari di purificazione e
propiziazione, propri del mondo pagano, connessi con le
feste che segnano l’inizio di un ciclo stagionale ed
ispirati al bisogno naturale di rinnovarsi, mediante
l’espulsione del male.
Il
personaggio del re carnevale è un fantoccio confezionato con
vecchi abiti pieni di paglia che, condannato a morte per
gravi misfatti, alla presenza del notaio, fa testamento.
Questo ubriacone muore per aver mangiato troppa carne di
maiale, pianto dalla moglie Quaresima,
un’assennata vecchietta che porta al collo una
collana fatta di peperoni secchi, a simboleggiare
l’astinenza ed il digiuno. Il periodo di astinenza e di
mortificazione (quaresima – quadragesima – 40 giorni
prima di pasqua ) in cui ci si astiene dal mangiare
carne, di cui si è fatta grande abbuffata, il carnem
levare dei latini che ha poi dato il nome al Carnevale,
inizia proprio in coincidenza con l’inizio della primavera.
La
quaresima inizia il mercoledì delle Ceneri e termina alla
mezzanotte del Sabato Santo. In tale periodo venivano appesi
ai comignoli delle case o all’incrocio delle strade dei
pupazzi di stracci, rappresentanti la vecchia quaresima,
vestita a lutto, con ai piedi una patata o un’arancia in
cui erano conficcate sette penne di gallina, a simboleggiare
le settimane quaresimali. Nell’antica società rurale le
corajsime, aspetto vecchio della vegetazione, che
veniva sostituito dal primaverile aspetto nuovo,
impersonato dal grano, rimandano al culto agreste della dea
Demetra.
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Il carnevale
in
tempi antichi prima che la società edonistica e consumistica
lo trasformasse in una parata di carri allegorici e vestiti
sfarzosi e costosi, era la festa che consacrava
l’uguaglianza, il contatto libero tra le persone, senza
differenza di condizioni sociali, economiche e familiari.
Questa
autenticità di rapporti umani, non solo frutto di
immaginazione, era realizzata effettivamente. Il
povero diventava ricco, il contadino era il nobile, gli
uomini si travestivano da donne, i giovani da vecchi: nel
ribaltare i ruoli stava il maggiore divertimento.
La
maschera che rappresenta la Calabria, che si chiami
Giangùrgolo o Jugàle oppure ancora
Organtino,
ha le caratteristiche del rozzo e furbo pastore
arricchito che diventa padrone. Attraverso la maschera, il
riso, la comicità, lo scherzo, il popolo esprimeva una
visione del mondo alternativa rispetto a quella ufficiale,
una fuga temporanea dal comune modo di vivere, all’insegna
della libertà più sfrenata.
L’atmosfera di baldoria ed ebbrezza delle feste
carnevalesche regnava anche in alcune feste agricole, come
quelle dell’uva. Le figure dominanti erano quelle di antica
tradizione medioevale: cavalieri armati di lancia che si
cimentavano a cavallo in giostre e tornei.
A
Cassano
allo Jonio fino a qualche anno fa si teneva la tradizionale
giostra del maiale ( ‘u curr’u puorcu).
Così
descrive l’antico rito del carnevale cassanese Biagio
Lanza: “ La gioventù volgare ama poi un altro divertimento,
che sa in vero di barbarie, ed è di vestirsi da turchi, o da
guerrieri del Medioevo a cavallo medesimo a tutta corsa,
roteare la sciabola per aria, e poi ferire al collo un
montone o un vitello appeso pei piedi con una fune
legata a due finestre opposte in una pubblica strada. Il
premio vien guadagnato da colui sotto il cui colpo cade il
capo dell’animale”. Tutto questo nell’Ottocento. In seguito,
al posto del vitello o del montone fu posto un maiale, già
ucciso, che finiva sulla mensa dei dodici cavalieri che
partecipavano al torneo.
Anche a
Spezzano Albanese, dove sopravvive la tradizione
della Giostra dell’agnello, il vincitore del torneo
consuma il bottino con tutti gli altri partecipanti. Le
giostre carnevalesche, col sacrificio dell’animale,
appartengono anch’esse ai riti propiziatori di purificazione
ed espulsione delle forze malefiche, di origine pagana.
La fenomenologia
carnevalesca ha perso il senso della licenza e dell’humour
che il poeta latino Orazio già nel I° secolo dopo Cristo
ribadiva :”Semel in anno licet insanire” .
Oggi nella società ricca e godereccia, multietnica e
multimediale, in cui le feste sono frequenti, in cui i
giovani sono attratti dalle discoteche, i riti carnevaleschi
hanno perso parte del loro fascino.
Ma in questi ultimi anni
assistiamo al recupero degli antichi rituali, dei canti
popolari, grazie anche ad una attenta politica delle
Amministrazioni comunali, degli Assessorati Regionali e
Provinciali al Turismo e delle Comunità Montane. Sempre più
numerosi sono i gruppi spontanei che vanno recuperando
gradualmente la tradizionale dimensione del Carnevale,
quando il popolo si faceva attore da spettatore.
Gli appuntamenti più noti
nella Regione sono il Carnevale del Pollino - Festival
Internazionale del Folklore a Castrovillari, il Carnevale di
Amantea e quello di Cosenza e dei suoi quartieri.
Ma in molti centri piccoli e grandi della Calabria ci
s’industria per organizzare sfilate mascherate e carri
allegorici. A Caraffa di Catanzaro a Carnevale si ripete
l’antica tradizione in cui i giovani indossano sacchi
ripieni di paglia, i rusàli. A San Demetrio Corone il
mercoledi delle ceneri durante il carnevale si svolge il
funerale di “zì Nikolla”, un vecchio vestito di stracci,
seguito da donne in costume arbereshe e da altri personaggi,
tra cui i diavoli (djelzit) coperti di pelli di capra.
In questi anni si è fatto
strada un modo innovativo di festeggiare il Carnevale
d’estate. Infatti in alcuni paesi, tra cui Polistena e Vibo,
i festeggiamenti sono stati spostati nei mesi estivi, quando
ritornano gli emigranti. Proprio gli emigranti ritornano in
paese con il desiderio di riabbracciare i parenti e
riassaporare i cibi “paesani” che hanno assunto nella loro
fantasia, alimentata dalla nostalgia, speciali sapori, odori
e colori. Durante la festa alla fiera o al mercatino possono
acquistare prodotti tipici locali e portarsi nei luoghi di
residenza, al rientro, un “pezzo” di Calabria. La
sopressata, il peperoncino, l’origano, l’olio, il vino, la
ricotta secca nelle grandi città del nord, all’estero, hanno
un altro sapore ed un diverso valore per l’emigrato.
Per il calabrese che vive
lontano dalla sua terra, anche quando ha più possibilità,
maggiori scelte e nuovi comportamenti alimentari, nelle
comode abitazioni di città, gli odori, i sapori che evocano
la tradizione, le essenze del paese vengono mitizzati e
assumono forti valenze identitarie. Per il calabrese, che si
è trasferito in altre terre per costruirsi una vita
migliore, disposto a sopportare privazioni e disagi per il
bene della famiglia, la nostalgia ed il ricordo del paese si
legano indissolubilmente ai prodotti della propria terra.
La
cadenza estiva e il ritorno degli emigrati fanno di questo
appuntamento non solo una semplice festa ma un vero e
proprio avvenimento sociale con funzioni di aggregazione
comunitaria, di conoscenza e apprezzamento dei prodotti
tipici locali, di economia turistica rilevante.
In quei giorni di festa
esplode l’allegria. S’incontrano, si confrontano e si
aggregano etnie diverse, nascono e si consolidano rapporti
d’amicizia, spesso intorno a tavole imbandite di cibi
tradizionali. La scommessa importante è il ritorno alle
proprie radici, l’elaborazione di progetti di
salvaguardia e rivalutazione del patrimonio culturale e
folklorico tradizionale.
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