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“Giuseppe Berto e la necessità di raccontare”. |
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pubblicato il 30 Aprile 2014 - Letteratura |
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Nel centenario dello scrittore di “Anonimo Veneziano”: la necessità di
raccontare la vita e la letteratura.
Uno studio su Giuseppe Berto, a 100 anni
dalla nascita,
coordinato da Pierfranco Bruni
con contributi di Mauro Mazza,
Gerardo Picardo, Gennaro Malgieri, Neria De Giovanni,
Marilena Cavallo, Claudia Rende, Micol Bruni.
Un
Centenario per riaprire un dibattito sulla figura di uno scrittore che
attraversato generazioni ed epoche. Giuseppe Berto a cento anni dalla
nascita. Su questo autore il Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”,
diretto da Pierfranco Bruni, e il Sindacato Libero Scrittori Italiani,
pubblicheranno un saggio dedicato allo scrittore nato Mogliano Veneto il
1914 e morto a Roma il 1978
dal titolo: “Giuseppe
Berto. La necessità di raccontare”.
Il
saggio, curato e con scritti di Pierfranco Bruni, apre un dibattito sul
ruolo dello scrittore e l’importanza della metafora tra linguaggio e
forme narranti.
Pierfranco Bruni si occupa del rapporto tra Berto e il Novecento
letterario e le sue eredità
con Albert Camus, Gerardo Picardo si sofferma sugli aspetti “teologici”
ed eretici del Giuda in Berto, Gennaro Malgieri affronta gli elementi
storico – politici e letterari intorno a “Guerra in camicia nera”,
Marilena Cavallo traccia un profilo tra “La cosa buffa”, “Il male
oscuro” e i “Racconti”, Neria De Giovanni si sofferma sui legami
strettamente critico – letterari, Mauro Mazza porta una sua
testimonianza inedita e il suo incontro con Berto, Claudia Rende traccia
un profilo sul legame tra Berto e il cinena e Micol Bruni raccorda la
dimensione calabra in Berto oltre a coordinare una bibliografia
ragionata.
“Riproporre Giuseppe Berto a
cento anni dalla nascita, sottolinea Pierfranco Bruni, curatore dello
studio, significa anche
contestualizzare un profilo del Novecento letterario e culturale tout
court attraverso libri che hanno segnato generazioni. È
necessario rileggere romanzi che hanno fatto discutere in anni di
transizione come:
Anonimo veneziano e
La gloria.
Due libri che ancora oggi propongono una chiave di lettura
anticonformista”.
“In
Giuseppe Berto, dichiara ancora Bruni, si vive un intreccio non solo
letterario, ma anche esistenziale e psicologico tutto giocato tra amore
e morte. Ovvero tra la capacità dell’amore di farsi definizione
ancestrale di un modello di vita, che ha in sé il senso del destino, e
la realtà della morte che diventa, nei suoi scritti, sempre più
consapevolezza di un andare nel di dentro della vita stessa senza la
paura della perdita.
“Uno scrittore, sostiene sempre Pierfranco Bruni, che ha amato il mare e
soprattutto la Calabria. Ho
avuto modo di raccontare ciò in due trasmissioni per la Rai, una di
queste realizzata con
Marilena Cavallo”.
Nel 1947 esce Il cielo rosso.
Una storia il cui segno politico è preciso. Ma ci sono altri libri che
sottolineano il rapporto sempre più profondo, appunto, tra la morte come
consapevolezza di definito e la vita come attesa del definire.
Il male oscuro del
1964 segna, comunque, il suo punto di riferimento non solo letterario,
ma anche esistenziale. È Il
male oscuro che rende Berto scrittore “nuovo” in un contesto in
cui il legame letteratura e psicanalisi costituiva un dialogo sempre
aperto e discutibile. Ci sono i libri di memoria come quello già citato
del 1947 e poi Guerra in
camicia nera del 1955. Altri come
Il brigante del 1951.
Al 1978 appartiene
La gloria in cui c’è
un rapporto costante tra Gesù e Giuda. Un libro tutto da rileggere
e da rimeditare. La figura di Giuda è centrale.
Del 1966 è La cosa buffa.
Un romanzo d’amore che, comunque, non raggiunge quella tensione lirica
alla quale lo stesso Berto tendeva. È con
Anonimo veneziano,
negli anni Settanta, che l’incontro tra amore e morte trova la
sua più inquieta profondità.
“Riproporre oggi Giuseppe Berto, cesella Pierfranco Bruni, significa,
tra l’altro, percorrere intere stagioni del Novecento letterario
italiano. Di quel Novecento mai conformista e mai allineato con le
ideologie dominanti”.
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