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SISTEMI URBANI ARBËRESHË |
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ANALISI DEI SISTEMI URBANI ARBËRESHË
Gli agglomerati urbani diffusi dei paesi
albanofoni nascono secondo le disposizioni regie di Filippo II, amalgamate alle regole
consuetudinarie nel modello sociale di famiglia allargato riportata nei dodici capitoli del Kanun. Città policentriche, nate secondo le esigenze
secolari della famiglia albanese, ognuna delle quali diversamente da quelle che oggi conosciamo, era
composta di due o più famiglie, mutuamente coese, in genere due fratelli con mogli, le
relative proli e i genitori; un numero di elementi che non superava la quindicina, infatti, oltre questa
soglia si dipartiva e davano origine a un nuovo insediamento. Tutte insieme, avendo la stessa origine, un
medesimo sangue, lo stesso idioma, simili usi, costumi e per questo formavano quella grande famiglia che
rimane tutt’oggi identificabile nella regione storica d’arberia. Quando gli arbëreshë, così organizzati, giunsero
nelle colline della sibaritide, si disposero nei pressi di chiese pievi o icone, perché legati da
tre elementi caratterizzanti: la lingua, la consuetudine e la religione di rito greco
bizantino. Questi aspetti generali della vita degli
albanofoni li ritroviamo in tutti i centri, nati, sopra i resti di antichi borghi, tra la fine del XV e la metà del
XVI secolo. Un esempio di quanto affermato sono i quartieri,
identificati con toponomi, tramandati oralmente, che racchiudono quanto esposto e sono in grado di
fornire traccia evolutiva di tutti i centri nati nello stesso intervallo temporale. Va in oltre affermato che una caratteristica che
accomuna tutti i paesi albanofoni sono le feste di primavera che rappresenta il fulcro di coesione
con le genti indigene; giornata della promessa
(Besa),
per ricordare i propri cari e quelli altrui, tumulati negli ambiti
ora abitati dagli arbëreshë. Il processo di trasformazione dell’ambiente naturale
in costruito per opera albanofona è avvenuto in funzione di elementi oggettivi e ambientali,
quali: la morfologia, la flora, l’orografia e il clima; aspetti fondamentali per gli esuli, perché simili
a quelli della terra d’origine, per questo capaci di mettere in atto le proprie attività di
sussistenza con i pochi mezzi senza accusare dissintonie ambientali. Le costanti che hanno dato avvio ai sistemi
urbani arbëreshë sono: il recinto, la casa e il giardino, caratteristica urbanistica ed architettonica di
tutti gli ambiti d’etnia; il recinto segna il territorio, in cui la famiglia ha controllo assoluto, limite
invalicabile per gli estranei, difeso e onorato anche a costo della propria vita; la casa, in origine un
unico ambiente realizzata a ridosso di anfratti e completata con tronchi, rami intrecciati, foglie
e argilla, il rifugio dove conservare e proteggere se stessi e le cose più indispensabili; il giardino
è utilizzato come luogo della spogliatura, dimora di alberi da frutta e del gelso oltre che dell’orto
stagionale. L’arbëreshë si muove nel territorio in mutua
convivenza e rispettoso dell’ambiente, si coordina secondo le locali norme naturali per la
valorizzazione del territorio. Nel periodo che va dal XV al XX secolo,
l’affinamento socio culturale degli esuli si adegua al modello urbano, abbandonando quello della
famiglia allargata per affinarsi in seguito verosimilmente quello metropolitano. Gli antichi legami parentali, disgregati in
cinque secoli di convivenza, hanno continuato a essere vivi nella mutua collaborazione della produzione,
raccolta, spogliatura dei prodotti che il territorio forniva, e oggi nel ricordo parentale di chi vive
ancora gli ambiti o attraverso i multimedia per chi si è recato in altre regioni o continenti. In età moderna, la famiglia arbëreshë che ha
assunto le sembianze tipiche metropolitane sente ancora il bisogno di ricercare l’antico legame di
sangue. La gjitonia, “dove vedo e dove sento”, sin
dal XVI secolo diviene il luogo della ricerca dell’antico legame familiare smarrito per colpa delle nuove
dinamiche sociali, si evolve in uno spazio ideale di sensi e sentimenti, luogo non toponomato,
giacché rappresenta l’ambito in cui si accomunano indissolubilmente i sensi. La gjitonia non è riconducibile ad ambiti
materici, ma esclusivamente a rapporti personali e interpersonali di leale e solida convivenza non
asogettabili ad uno spazio fisico. La gjitonia ha origine dal tepore del focolare e
si amplifica con cerchi concentrici, come una goccia nell’acqua, sino al lembo estremo
dell’ambito urbano; entità effimera che pulsa si avverte si respira si assapora si vede si tocca, senza mai
essere tracciata con limiti fisici. Studiare i borghi albanofoni è utile per
comprendere quali siano state le dinamiche che hanno consentito all’idioma e alla tradizione
consuetudinaria più enigmatica della storia del mediterraneo, di proporsi incontaminata senza
soluzione di continuità sino a oggi. I piccoli agglomerati urbani sono la traccia
indelebile del percorso che ha unito popoli diversi, che pur avendo lingua, religione e storie dissimili,
sono state capaci di trovare le convergenze ideale per attuare, uno dei primi modelli
d’integrazione, rimanendo tutti solidamente legato ai propri valori. Le disposizioni regie impartite da Filippo II, le
dinamiche consuetudinarie del concetto di famiglia allargata, la conformazione orografica e
l’economia produssero i primi isolati (manxane), o gruppi di case, secondo schemi che sono riconducibili di
tipo articolato o lineare. Il piccolo abituro, shpia (casa), in origine realizzato con rami
intrecciati paglia e fango, o blocchi di terra mista a fango e paglia (kalivja), dopo la sottoscrizione
delle capitolazioni, fu realizzato in pietra e arena negli elevati, mentre le coperte furono sostituite da
una lamia di coppi a falda unica sostenuta da un doppio ordine di elementi lignei, la di cui
pendenza riversava il displuvio innanzi all’ingresso dell’abituro. La disposizione di tali moduli elementari, è
fondamentale per la ricerca evolutiva degli agglomerati diffusi arbëreshë, in quanto, il modo
in cui furono aggregati forniscono la regola secondo la quale nascono gli isolati urbani, (manxane)
che rimarranno identici per oltre due secoli. In seguito al modulo abitativo elementare che
misura circa 20 mq., fu associato un altro di uguale dimensione, non a diretto contatto con il fronte
strada, usufruendo della porzione di territorio ancora non edificata. I confini particellari identificabili con le
tipiche rotondità, che sino ad oggi erano lette come espedienti logistici o statici per gli edifici,
sono il modo indelebile per segnare un antico confine territoriale. Da ciò si deduce che l’isolato, occupata tutta la
porzione di terreno disponibile per cui ai piccoli agglomerati non rimane che svilupparsi in
verticale, collocando al piano terra i depositi e al primo livello, di nuova costruzione la residenza, i due
livelli sovrapposti rimasero ancora collegati da una scala interna a pioli, mentre la copertura del
modulo a due livelli continua ad avere la stessa forma, salvo realizzare uno spazio tecnico e termico,
sottotetto (kanicàri). I frazionamenti successivi, di questi nuovi
volumi edilizi, richiesero l’utilizzo dei profferli, caratteristica adottata, a partire dal XVIII
secolo, questi ultimi modificarono sostanzialmente la prospettiva delle strette strade (ruhat)
che non sempre consentivano, in maniera uniforme, l’aggiunta del nuovo manufatto esterno, per
questo motivo l’alternarsi dei nuovi accessi ci fornisce un tessuto urbano oltremodo articolato. Il ciclo dei manufatti abitativi delle comunità
albanofone si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese con la costruzione diffusa dei
palazzotti nobiliari, un disegno che si ripete sia nei centri abitati sia nelle pertinenze rurali,
assumendo connotazioni formali ben definite, rappresentativi di una classe sociale emergente,
balconi, aggetti, portali e finestre sono coronate da materiali lapidee che danno ai prospetti, delle
nuove fabbriche, una regola metrica definita. È chiaro che questo avviene solo per le classi
sociali più elevate mentre quelle più abbienti continuano a occupare i vecchi katoi e
nella migliore delle ipotesi, inglobare i profferli con nuovi e modesti volumi, che cercano di imitare almeno nel
prospetto principale e l’ambito interno dell’ingresso i palazzi post napoleonici.
Napoli 2014-05-23
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