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La pittura di Salvatore Carrozzo |
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pubblicato il 3 maggio 2009 - Editoriale Arte Il mare tra le brughiere e i fiumi tra le luci e le ombre di Marilena Cavallo
Il mare e le brughiere, l’acqua e le mareggiate, i ponti e il fiume, lo scorrere del tempo tra le maree che sono paesaggio e si fanno immagine in una visione in cui lo specchio è un ricamo dell’anima oltre che una definizione di una realtà nella geografia del territorio e poi i fiori che sono colore in un intrecciarsi di scorci che richiamano gli oblii: il tutto in uno scenario che fa di Salvatore Carrozzo un riferimento pittorico nella temperie di questo nostro quotidiano. Quattro momenti (fiumi, mare, fiori, scorci) segmentano la ricerca di Carrozzo che si definisce soprattutto nel colore che ha sfumature e nelle ombre offerte da una tavolozza che si confronta costantemente con il cangiare delle stagioni. Ci sono di mezzo sempre le stagioni. Non sono soltanto le stagioni che accompagnano la ciclicità del nostro vivere. Ci sono anche quelle stagioni che decorano il sentimento del percepibile nell’indefinibile. Sembrerebbe tutto definito ma nell’artista non c’è nulla di scontato e tanto meno di definibile. Le mareggiate sono l’inquieto scorrere delle ore tra i silenzi che si aggomitolano nell’immobilità – non fissità dell’esistere e il colore e la forma costituiscono l’estetica del pensiero che si fissa sulla tela. Ma può esistere una pittura, come questa di Carrozzo, senza l’esercizio armonico della musica. La musicalità non è soltanto nella parola. È nel linguaggio. I linguaggi sono anche dentro l’onda, sono un ramoscello, sono il vento, il principio dell’angolo di quei “Sentieri bagnati” che raccontano con il ritmo, appunto, del colore che recita intorno ai “Balconi sui Sassi” o tra le case di un Sud che non ha nenie ma scavi nell’antropologia del cuore o nelle “intermittenze” proustiana che richiamano echi mai mascherati e sempre vissuto come meteore che si raccolgono nel nostro non perdere la carezza di una mimosa che ondeggia o “venteggia” tra i glicini, i garofani e la pioggia che è acqua. L’acqua, dunque. Ovvero “Giochi d’acque” tra le “correnti” i “riflessi” e i “miei” fiumi ungarettiano che hanno il respiro dell’erba nelle “trasparenze” che danno un senso al “Meriggio sul fiume”. Ma l’acqua non è soltanto riposo, attesa, pazienza, alba o crepuscolo. L’acqua è il marinaio che osserva, è la scogliera che si lascia squarciare o ferire, è un “Gioco di azzurri” nello spazio che montalianamente accoglie il “meriggiare” che cade sulle litoranea nonostante il sollievo delle nubi che si lascia attraversare dai “capricci”. Le nubi hanno sempre capricci. Certo. Ma Carrozzo ha “trasparenze”, anzi la sua pittura vive nelle trasparenze che non sono solo i colori ma i paesaggi. Tutto, alla fine, diventa paesaggio. Anche il Sele è scenario di un paesaggio, anche la “mareggiata” è il paesaggio che penetra la battigia portando sulla spiaggia i cocci del primo mattino. La costiera è nel tramonto e il tramonto è un disegno nel semicerchio del golfo. Il colore è dunque musica. Nel tocco di una corda di chitarra e nel leggero danzare delle dita che delineano la forma di una sabiana “Città vecchia”. Un raccordare la vita non nella storia soltanto ma in quella clessidra delle immagini che solca il nostro stare tra le fotografie e il narrare la fotografia che ci portiamo dentro. Ciò che abbiamo visto, ciò che vediamo, ciò che osserviamo non ci abbandona nella fuga. Anche in un piccolo frammento o filamento segna il pendolo del nostro sguardo. L’artista ha bisogno di questo pendolo. Non per misurare le ore. Ma per non perdere ciò che ha visto – vissuto. E tutto resta negli occhi. L’immagine – realtà sta oltre il nostro sguardo. Così le marine o i fiumi, i paesaggi e il profumo dei fiori sono una “trasparenza”. Non possiamo fare a meno di questo andare tra le acque e la terra o le terre. La pittura è in questo intrecciare, in una armonia – disarmonia, lo spazio al tempo tra i granelli di terra e le gocce d’acqua. Si ritorna al senso del sentiero originario. Salvatore Carrozzo raccoglie i “sensi incantati” di uno straordinario guardare dal di dentro il di fuori. L’arte non è solo nel visibile. Carrozzo lo sa. L’invisibile è stato visibile e disegna ciò che noi viviamo nell’ascolto di un silenzio percepito. Il percepire per rendere forma. Una estetica della filosofia dell’arte che è racconto. Con il colore si dà forma e dando forma, Carrozzo, certamente racconta.
Nella foto da sin: Marilena Cavallo e la giornalista Carmen Lasorella |
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