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Maria Luisa Spaziani e il mistero della poesia |
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La
donna che conosceva i tragitti della poesia senza, però, saperne i
destini
La
poesia è l’ascolto di un Dio. Nascosto come si possono nascondere i
segreti. Misterioso come può essere misterioso il cammino della
parola nello spazio dell’anima. Avventuroso come quando l’avventura
ti rapisce i labirinti del cuore. Maria Luisa Spaziani,
morta il 30 giugno scorso a 91 anni, conosceva i tragitti
della poesia senza, però, saperne i destini. Nella sua voce, quella
voce rauca, era impressa sempre una frase di Gabriela Mistral: "Il
segreto della nascita di un verso è tra me e Dio". Il senso del misterioso è un incanto che lega la magia all’inquieto di un vivere che è segno tangibile di storie. Le storie hanno l’amore come rosa posta in un bicchiere (direbbe Franco Costabile). Ma nella Spaziani che ho letto, riletto, tradotto, antologizzata ‘è sempre un “Dio” che è manifestazione della meraviglia. La meraviglia è soprattutto nel gioco dell’amore e del disamore.
Io cerco di andare nella biografia ma superandola.
La biografia della Spaziani è “connaturata” con la figura di
Montale? Una sigla che è retorica ormai. I poeti sono un incontro.
Ripetibile o irripetibile, ma hanno sempre il disegno
dell’incontrarsi tra i passi della luna e le pietre del vento.
È oltre Montale. Non solo biograficamente. È oltre Montale proprio
sul piano poetico. Il coraggio è un rischio ma può anche essere una
virtù. Voglio dire che nella Spaziani la poesia non è mai una
occasione e neppure una bufera e quando si diventa saturi di parole
soltanto nella ragione si cerca una giustificazione e una
spiegazione. Qui è Montale. È certo che Montale non è tra i miei
poeti. Non lo è mai stato.
La Spaziani dal 1977 sì. Da quel transitare con le catene sino al
ricevere dalla luna il senso di una preghiera è stata una voce,
rauca, che ha seguito il battere del mio cammino in una Roma che ci
ha visti insieme in incontri sulla poesia e su poeti. Ricordando
Sandro Penna ho stilato un viaggio. È proprio con la morte di Sandro Penna che incontro la Spaziani.
Mi sono laureato con una tesi sulla poesia e poi, in una nuova
laurea, sui linguaggi di Penna. E la Spaziani conosceva l’estetica
dell’incontro. Montale era certamente nel suo viaggio. Ma non solo.
Oltre Montale c’è Elimire Zolla. L’ho già sottolineato. Ma prima di
ogni percorso resta Proust. Il Proust del tempo di sabbia che fa
scorrere granelli nella clessidra della vita raccogliendo il tutto
nella memoria tra le pagine dell’amore.
Ebbene, la Spaziani ha sempre raccolto i petali di quella rosa nel bicchiere recitando l’amore con il sorriso e con l’inquieto che abita i cuori dei poeti. Ancora purtroppo la critica letteraria usa luoghi comuni e si serve di strumenti didattici che impongono l’analisi del testo.
Una poesia non va mai registrata attraverso l’analisi testuale.
È una grande boiata! L’anima di un poeta può essere vivisezionata?
Il linguaggio della poesia non è il linguaggio
dell’intelletto. È il linguaggio di un segreto. Si resta sempre in
comunione con Dio. È possibile interpretare una tale comunione?
Ascolto Maria Luisa Spaziani e mi canta:
“Entro in questo amore come in una cattedrale,
come in un ventre oscuro di balena.
Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte
scende un corale antico che è fuso alla mia voce.
Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,
il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.
Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,
e le tue labbra restano evanescenti sogni”.
Correre tra le vie della poesia del Novecento
significa anche ripartire dal capolinea. Ovvero da D’Annunzio. Ma
cosa c’è oltre Gabriele che recita la pioggia e fa sognare i
malleoli? Il punto è qui.
La Spaziani questi fatti li conosceva bene ed è riuscita a legare la
Francia con Venezia (Ronsard e Goldoni), Torino con la mediterranea
Roma, il linguaggio come tradizione e la tradizione come poesia.
Distante dalle neo-avanguardie (benissimo), Sanguineti, e lontana
dallo sperimentalismo (ottimo), Pasolini, ha sempre coordinato la
tradizione classica con la magica, ovvero con un verso che è
alchimia. E qui la presenza di Zolla credo che resti fondamentale.
Ogni poesia ha un suo destino. Certo. Ma ogni destino non si
racconta. Si vive sul tracciato della luna o lungo il mistero.
Questo mistero. Anzi resta il mistero. Nella poesia.
E ascolto ancora e poi mi perdo nel silenzio:
“Lo spirito ha bisogno del finito
per incarnare slanci d’infinito.
Parlo con l’angelo, e le tue braccia d’uomo
soltanto lo traducono ai miei sensi.
Dove comincia l’ala? Dove nascono
musiche di tamburi di tempesta?
Amarti è sprofondare, è una foresta
sfumante in cieli altissimi”.
Invito il gentile lettore a vivere questi versi. A custodirli. A
leggerli con gli spazi del cuore. A toccarli con la pelle e con le
rughe.
Mio caro lettore, non distruggere la poesia cercando di spiegarla…
Sarebbe la fine e saresti anche tu fottuto…
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