Maria Carta e il Canto Rituale | |||
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Un viaggio etnico - rituale
nel canto poetico di Maria Carta
a 80 anni dalla nascita
di Pierfranco Bruni
Nel “Canto rituale” di Maria
Carta c’è una spinta che si avverte su due versanti. Quello della
proposta di una vera e propria cultura popolare attraverso parametri in
cui il sentimento dell’appartenenza è un graffio profondo nella civiltà
di un popolo che si porta dietro un “primitivismo” quasi ancestrale che
è dovuto al luogo e alle eredità che esprime un luogo non luogo. Quello
linguistico che ha ramificazioni articolate all’interno
di un’area geografica che è quella chiaramente del Mediterraneo
ma la Sardegna, come tutta la cultura sarda, risente di influssi che
tengono insieme un intreccio tra Oriente ed Occidente. Un canto rituale
nel destino del mito.
Maria Carta sia nelle sue canzoni che nel suo testo poetico (la
contaminazione è fondamentale) si avverte la trascrizione di una
geremia che sollecita il
cantico non favolistico ma funebre. Il rituale in fondo diventa uno
scavo nella coscienza della civiltà sarda ma nello stesso tempo accanto
alle matrici di derivazione vi sono le forme autoctone che insistono
appunto come identità del luogo.
Il
“Canto rituale” di Maria Carta è un viaggio e viaggiando è come se
recuperasse i sistemi di una letteratura, in cui la terra madre
rappresenta la storia di un popolo come ethos ma anche come lingua.
Sembra un andare nel regno dei morti ma questo andare diventa anche un
ritornare perché, ricordando o ridefinendo i personaggi che sono
nell’altrove, il presente esistenziale si fa costantemente
contemporaneità e la proposta letteraria e poetica è dentro il processo
esistenziale in un rapporto tra terra – memoria - rito. È
come se entrasse in quel viaggio di andata e ritorno che però ha
delle valenze tragico simboliche.
Il
canto, così, diventa, una litania e la funzione di quella cultura
barbaricina è tutta intrisa di sguardi pesanti, di parole robuste, di
accenti drammatici. Un canto fatto di storie che raccontano la vita di
uomini e di donne che hanno abitato l’isola e l’hanno vissuta come
metafora di una “Spoon river”, ovvero alla Lee Masteers.
Lingua e fenomeni antropologici (etno – poetici) sono un unicum che
caratterizza il “Canto rituale” di Maria Carta come in questi tre versi
dal testo dal titolo “Bigia de riu”: “Amore fadadu/fuggito lei gli ha
fatto fattura”.
L’ethnos
che campeggia ha un profondo radicamento, il cui legame è tutto giocato
tra lo strumento della parola e quindi l’uso del linguaggio e il
contenuto. Termini come: “De sa catighera”, “la pupìa”, “fadada”, “sotto
le pale de sa catighera” ci riportano a un mondo mitico che soltanto nel
linguaggio lirico sacrale è possibile catturare. I tre concetti
dell’etno-storia dell’etno-linguistica e dell’etno-letteratura sono ben
definiti proprio nella ritualità del suo linguaggio.
Il
mito, comunque, resta un arcaico nel linguaggio rituale che si fa,
appunto, canto. Ed ecco ancora le ramificazioni di una antropologia
della penetrazione nel tempo: “Ai bagliori del fuoco il mio
libro/illustrato fissavano i nudi greci/poi Madau vide Mosè/le sette
piaghe d’Egitto mise il pugno sul libro”(Da “Mattia Madau”). Si nota
l’evidente rimescolio del raccordo tra cultura e lingua.
Il
viaggio continua tra i destini di una terra e i “rimitanos”, ovvero i
diseredati. E in questa terra di civiltà assopite c’è sempre una bambina
che sembra avere le mani di vento. Ci sono i segreti e i ricordi, le
madri defunte che con la loro ombra raccontano il tempo della storia nel
tempo del presente non dimenticando “i piedi scalzi dell’infanzia”. È
come se si entrasse sempre nell’anima di un paese: “Entro stanotte in
questo paese/che ha luci gialle stravaganti/è gente all’antica vestita
di bianco”(Da “Efisio Concas”).
Il
canto (o il cantico) di Maria Carta è un attraversare il senso di un
tempo mascherato ma mai scomparso che la ritualità del canto porta sulla
scena con il suo battuto dentro un “bidda beru” con le “boghe” che
provengono da lontano. E così il paese vero, quello vissuto da Maria e
quello che noi abbiamo tra i segni dei ricordi, si ascolta nella memoria
metaforizzata dal linguaggio e dal ritmo.
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