pubblicato il 2014 -
Letteratura |
PREFAZIONE
Giovanni Papini e la ritrovata speranza
di Pierfranco Bruni
Giovanni
Papini segnò un percorso preciso nella storia della letteratura in
quella del pensiero filosofico del Novecento. Un percorso in cui la
testimonianza diventa un rapporto costante tra la vita e la
letteratura, e la stessa letteratura, diventa il più delle volte una
dichiarazione esistenziale. Il saggio di Mauro Mazza, edito da
Pellegrini, dal titolo: “Uomo finito. La lezione di Papini”,
focalizza il percorso di
Papini all’interno di un processo di idee che ha segnato la volontà
di una generazione non solo ad essere testimone, ma soprattutto
protagonista.
L’attualità e l’inattualità sulle quali Mazza si sofferma, in una
riflessione a tutto tondo su un Novecento che comincia ad aprirsi ai
nuovi “valori” e al nuovo modello di uomo: da quello “finito” a
quello della “rivelazione”, costituiscono la chiave di lettura in
una temperie che ha vissuto l’intreccio tra moderno e tradizione
anche nel contemporaneo. Ma andiamo per ordine su que- sto Papini di
Mazza. La Tribuna fu la sua prima
palestra e il suo primo cena- colo. Fu un laboratorio di idee e di
incontri. Significativo fu certamente il suo incontro con Giuseppe
Prezzolini. E significativi restano indubbiamente le esperienze e i
contri- buti alle riviste come Leonardo,
La Voce, Lacerba, Il Frontespizio. Per Mazza
La Voce resta un crocevia fondamentale del
Novecento. E così è. Nella Prima Guerra Mondiale, Papini, e Mazza
cesella uomo infinito. La Lezione di Giovanni
Papiniciò, occupò una posizione interventista. Al 1906 risale
Tragico quotidiano e al 1907 Il pilota cieco. Sono due volumi in cui
vi campeggia una letteratura (ma soprattutto una poetica)
metafisica. Infatti sono dei veri e propri “racconti metafisici”. Al
1911 appartengono i racconti racchiusi in L’altra metà e all’anno
successivo i racconti Pagine e sangue. Tra gli altri scritti non si
può non ricordare I testimoni della passione del 1937, Concerto
fantastico del 1954 e alcuni scritti pubblicati postumi come La
seconda nascita del 1958 e i Diari. Pubblicò testi di poesia e
numerosi testi di saggistica come Il crepuscolo dei filosofi del
1906, Il mio futurismo del 1914, Stroncature del 1916, Italia mia
del 1939, Santi e poeti del 1948, Il diavolo del 1953 e altri
scritti usciti postumi. Mazza si era già soffermato su Papini
ponendo all’attenzione una questione sia storica che esistenziale.
Quella “penna arrabbiata”, come afferma Mazza in un suo capi- tolo,
costituisce l’anima critica non solo di un intellettuale, ma di un
secolo. È chiaro che uno dei testi che segna inevitabilmente la vita
di Papini è certamente Storia di Cristo che porta la data del 1921.
Un testo vissuto completamente sulla sua diretta esperienza umana
e religiosa. È uno scritto che pubblicizza sostanzialmente la sua
conversione al cattolicesimo. Papini era un ateo intransigente. La Storia di Cristo racconta
appun- to il suo accostamento alla religione cattolica. L’opera più
conosciuta resta indubbiamente Un uomo finito che risale al 1912. Si
tratta di un’autobiografia in cui il narratore fa una resa dei conti
della propria vita. Così sottolinea: «Che cosa volevo imparare? Che
cosa volevo fare? Non lo sapevo. Né programmi né guide: nessuna idea
precisa. Di qua o di là, est od ovest, in profondità o in altezza.
Soltanto sapere, sapere, saper tutto. (Ecco la parola del mio
disastro tutto!). Fino d’allora sono stato di quelli per cui il poco
o la metà non contano. O tutto o nulla! E ho voluto sempre il tutto
– e che niente sfugga o resti fuori! Completezza totalità – più
niente da desiderare, dopo! Cioè la fine, l’immobilità, la morte!».
L’anticonformismo che traccia la linea dell’intelligenza
dell’eresia. Mazza dedica un capitolo a “Prezzolini,
l’anticonformista”, un capitolo che si apre a chiavi di lettura
significative. In Papini d’altronde la consapevolezza della crisi è
la ritrovata memoria. In Storia di Cristo c’è questa ritrovata
memoria che non è più attesa ma coinvolgimento di una sperata e
definita consapevolezza. Ma è proprio dall’Uomo finito che si arriva
al Cristo della Resurrezione. Mazza su questo si sofferma con
acutezza. I punti di maggiore riferimento sono in questi due testi
che “nascondono” una profonda e silenziosa “umanità”. Ovvero in Un
uomo finito e appunto in Storia di Cristo. C’è una tensione che non
è soltanto letteraria. Negli anni successivi questi due testi si
apriranno ad una chiave di lettura forte- mente esistenziale. Dalla
crisi alla risoluzione della crisi. Dall’impossibile vuoto alla
pienezza dei contenuti. È questo il percorso che si raccoglie in una
metafora che si legge in un suo racconto dal titolo: Due immagini in
una vasca: «Quando la gioia mi assale con le sue stupide risa io
penso che sono il solo uomo che ha ucciso se stesso e che vive
ancora. Ma ciò non basta per farmi stare serio». Ecco, tra le idee
sfreccianti, ciò che resta, tra le altre visioni culturali e umane
oltre il religioso senso della vita. In un suo scritto (si tratta di
una Introduzione a Lo specchio che fugge, raccolta di racconti di
Papini, Mondadori) Jorge Luis Borges scrive: «Potremmo rimproverare
a Papini il fatto che i suoi personaggi non vivono al di fuori della
finzione che successivamente animano. Questo è un altro modo di dire
che il nostro scrittore fu inguaribilmente un poeta e che i suoi
eroi, sotto molteplici nomi, sono proiezioni del suo io». Si tratta
di una sottolineatura importante perché ripro- pone Papini nella sua
completezza e nella sua complessità. E ripropone il Papini poeta.
Ovvero la metafora della poesia attraverso una tensione esistenziale
che supera la fisionomia dei conflitti. In una sua poesia Papini
recita: «…Ma quando al finire del giorno/ ritrovo, stracco e freddo,
la fossa della strada/ nella mezzombra lilla del ritorno,/ sono il
povero triste a cui nessuno bada». Con questi versi eravamo al 1917,
alle Venti poesie di Opera prima. Il Papini successivo non è
soltanto lo scrittore della “redenzione”, è anche lo scrittore di
quel gioco nostalgico che vive la malinconia del tempo su una
dimensione che è anche, come ha sostenuto Borges, intrecciata da
quei segni fantastici fatti di crepuscoli e di sogni. Un libro,
questo di Mauro Mazza, che ci permette, in questo nostro tempo, di
rileggere e anche ricontestualizzare uno scrittore e un filosofo che
supera il tempo della leggerezza e della fragilità, per vivere e
farsi vivere in quella metafisica dell’anima tanto cara a Maria
Zambrano.