|
|
FRANCESCO GRISI Gli studi del Centro Ricerche "Grisi" sullo scrittore di Cutro |
|
|
|
pubblicato il 9 Maggio 2014 - Letteratura Un ricordo con un racconto inedito e una “Passeggiata tra i luoghi dello scrittore”
di Pierfranco Bruni
Ricordando Francesco Grisi... Anni lunghi sono trascorsi. Anni che non hanno mai diviso i nostri incontri. Tra la vita e il ricordare. Lo scrittore Francesco Grisi nato il 9 maggio del 1927 e morto il 4 aprile del 1999 è un tracciato nella mia vita. Con le sue parole e la sua ironia. Con il essere cristiano nolente o volente. Ma anche eretico lungo le strade di Prezzolini e Buonaiuti. Ma il suo raccontare trovava sempre un punto di riferimento sia nei monaci del deserto sia nella figura del gigante San Francesco di Paola. Nei suoi romanzi tutto questo è scritto. Ma dopo i numerosi libri che ho dedicato a Grisi mi sono imposto di rileggerlo nella sua complessità partendo da “A futura memoria”, “Maria e il vecchio” e “La poltrona nel Tevere”. E attraverso i suoi libri di poesia. La poesia segna il cammino degli spiriti inquieti. Noi siamo nella inquieta solitudine della ricerca. È stato un maestro, nella sua coerenza, per come ha testimoniato, per come ha vissuto, per come ha amato. Sulla mia scrivania non mancano mai i suoi libri. Un vizio. Ma non assurdo. Di vizi assurdi abbiamo parlato tanto discutendo su Pavese. L’ho incontrato in una Roma infuocata. Era il 1978. L’anno della morte di Giuseppe Berto e Ignazio Silone. Ebbi modo di conoscere Grisi alla Libreria Croce di Roma in Corso Vittorio Emanuele. Si presentava un libro di Alberto Bevilacqua. Anni terribili. Mi colpì la sua pazienza e la sua ironia fu una lancia. Sapeva leggere la storia con i raggi del futuro. Capiva il presente con l’interpretazione del quotidiano. Viveva il moderno con lo scavo nel contemporaneo. Sono passati anni lunghi e il tempo è infallibile. Dalla memoria alla nostalgia. Dal ricordo alla solitudine. Mi ha lasciato, qualche ora prima che andasse in coma, con queste parole: “…lascia stare tutto ciò che ti circonda. È un istante. Non dimenticare mai che sei uno scrittore, un poeta… Scrivere è un mestiere nella solitudine. Lo scrittore è sempre solo. Nella santità e nell’alchimia. Non vivere mai un amore e non pensare che possa esistere il grande amore. Esiste l’amore e gli amori. Quando il silenzio prenderà il sopravvento sulla parola. Continua ad ascoltarti. Arriverai ad un altro libro. Ciao!”
RACCONTO INEDITO
È il 2 aprile. San Francesco. Il Santo di Paola Tra Vincenzo Padula e Giuseppe Battista Cammino per non perdermi
di Francesco Grisi
2 aprile. San Francesco di Paola. Il mio Santo. In Calabria tutti siamo devoti a San Francesco. Il paolotto viaggiatore. Come Paolo. C’è un messaggio che Paolo ha trasmesso al Santo di Assisi prima e al Santo di Paola dopo. Ma tra Francesco il calabrese e Paolo di Tarso e di Damasco c’è il mosaico del Cantico dei Cantici. Porto nel mio portafogli l’immaginetta del calabrese. La santità è mistero nella mia vita. Da Paola in Francia. San Paolo e Paola del Calabrese. Come si intrecciano le parole e tutto diventa vocabolario. Ma. Vado. Oltre. Mi trovo a Taranto. E. poi. Grottaglie. Come respiro bene tra le lunette del chiostro di Grottaglie. È come se mi trovassi nel chiostro di Paola. Il racconto si fa destino. La letteratura è un intreccio. Come tanto tempo fa. I colombi della nonna ritornano. In questo cuore di Magna Grecia. Le mie radici. Ci sono suoni. Campane. E' Pasqua. Il Venerdì Santo. Le feste sono nei ricordi. I ricordi sono nella vita. Ho letto un poeta che sembrava non appartenermi. In questi giorni. Fiori di mandorlo. La mia terra è un'isola. Leggo questo poeta pugliese nei tramonti della Canonica di Todi. Leggo Giuseppe Battista. Il poeta che recita il mio Santo. San Francesco di Paola. Alla Corte di Napoli il Regno Apulo - campano. Giuseppe Battista. Il Seicento del Barocco. O il Barocco che entra nel tempo del Seicento. Canta in un'eco di immagini. E' un poeta cristiano. Volenti o nolenti si è cristiani. Ma capì Masaniello. Lo volle capire per non dimenticare i destini di un popolo. Pierfranco mi ha fatto conoscere Grottaglie. Mi aveva parlato spesso di questa rupestre che cammina nella storia. Lì nacque Micol. A Grottaglie. E poi venne Virgilio. Il mondo ebreo con quello romano. Gerusalemme è una Terra Promessa. Siamo scrittori o forse fantasmi. Ma gli scrittori rincorrono i fantasmi. Grottaglie. La vecchia città. Abitata un tempo. Ora riabitata. I vicoli tracciano simboli. Il cerchio. La magia. Battista sapeva la profondità del simbolo del cerchio. E. Poi. C'è di mezzo il Santo di Paola. Il mistero che chiede di essere ascoltato. La storia non è mai un racconto reale. La finzione è un velo. La letteratura abita la storia e la finzione. E' necessario conoscere la menzogna per non lasciarsi aggredire. Siamo graffiati dalla bugia. La bugia. Battista. Un poeta che ha tagliato le verità perché era consapevole che la menzogna è una giostra. Scrivendo sulla menzogna ha recitato il rosario della vita. Non posso dire che posto occupa nella storia della letteratura. tutto mi frana intorno. In questo momento cerco di leggere la vita oltre la storia. Il tempo non è marginale. Vivo ormai accordandomi con il tempo. Io. Che ho amato Iacopone. E. Ho rincorso i viaggi del Santo di Paola. Mi hai chiesto di leggerlo. Caro amico. In questa mia nostalgia di Templi greci e di paesi che navigano non ti voglio deludere. Non c'è solo Barocco. Il Barocco che si stordimento di linguaggi ma il greco che è in noi è quel greco che ha squarciato la parola. In Battista. Poi. Tu conosci il resto. Ti leggo. Per ricordarti. "Fuggo le patrie mura, e corro in parte/dove umane vestigie occhio non vede./E fuggirò, s'altri di me s'avvede,/dove Febo non mai raggi comparte". Questo è il Giuseppe Battista che maggiormente colgo. Batte il mio male. Sento le campane. Ritornare. Il paese. Il tempo. Andare via. Ti leggo altri versi di Battista. "Miro quel giorno pur, che de' miei giorni/sarà fausto preludio alla quiete,/ed io, sepolta ogni fatica in Lete,/oziosa godrò l'ombra de gli orni". La memoria invade. Io sono ormai come San Bernardo. Battista ha parlato di San Bernardo. Due quartine e due terzine. Con rime. Ecco. La quartina prima: "Entra d'acque canute a gorgo algente/l'ospite d'una valle al Ciel gradita,/e mentre all'ardor suo l'onda marita,/porge freddo rimedio a mal cocente". Ecco. La terzina ultima: "Così colei che Amatunta è nume,/ed accende ciascun d'insana arsura,/come nacque nel mar, more nel fiume". Tu mi parli delle pagine sulla menzogna. Ho letto. Ricordati la poesia. Le pagine sulla menzogna nascono dal furore. La poesia è acqua chiara e fresca. Dobbiamo attraversarla la cristianità. Senza arrenderci. Padre Pio. Un'ansia di fede ci guida. La poesia è fede. Non potrei capire altrimenti il Santo paolano recitato dal Battista. Questo poeta che cercava di navigare il deserto come se fosse acqua. Il furore si racconta nel rimorso, nella paura, nella solitudine e nella religiosità intuita. E. Dopo. C'è il furore del dies irae. L'uomo sembra balbettare l'antica nostalgia per trovare quel mistero annegato nella superbia, nel potere e nella violenza. La contemporaneità. Battista sembra un nostro contemporaneo. Tutto è scritto contemporaneamente e ogni cosa possiede il suo tempo eterno. E l'eternità non ha passato, o presente, futuro. "Meraviglia non è, se 'l mar spumante/non ti sommerge, e ti tragitta illeso,/ché chi colpe non ha, non è pesante". Siamo al San Francesco di Paola. Il mare. Il mantello. La Calabria, la mia la nostra. L'antico nel moderno. Viaggiare. L'uomo è un viandante che sembra cerca di capire i segreti del concreto nella diabolica presunzione, nella furiosa passione e nel soavissimo abbandono. E forse muore sempre per risorgere sempre: per una legge biologica che stranamente somiglia alla tentatrice preghiera mistica. Il mondo è popolato da creature immortali che apparentemente muoiono in una notte di freddo. Ombroso, scanzonato, polemico. Un poeta che sa che la Provvidenza c'è. E' forse destino che la morte colga gli uomini fortunati al giusto momento. Soltanto la Provvidenza conosce, però, il giorno giusto per morire. Non prima e non dopo. Mi ricorda un altro Francesco. L'Assisano. Battista si è impegnato con il Messia. Come Iacopone. E. Poi. Come Rebora. Rebora. La nostra contemporaneità. Il Sacro e la Grecia. Il Padre. Il Papini della conversione. Nel sentiero degli incontri. Il racconto del Sacro non dimenticando il Mito. Lo scrittore cristiano nei secoli si è impegnato con il Messia, figlio di Dio, venuto sulla terra per salvare tutti gli uomini. Allora. Battista ha un tracciato di Sacro e di Mito. Prima o dopo lo scrittore come artista o come intellettuale deve convenire che la storia è impastata direttamente del messaggio che il cristianesimo ha consegnato al mondo. Ma ci sono le utopie. Lavoro ad un libro dal titolo provvisorio "Elogio dell'utopia". E Pierfranco rilegge “Elogio della follia”. Tra l’utopia e la follia c’è un legame. Ne parleremo in un convegno a Palermo. Tra qualche giorno. E. poi. C’è il Futurismo. Il lavoro ormai mi stanca. Fatico molto. Forse dovrei inserire in questo mio libro, appena cominciato, Giuseppe Battista. Non so. Allora. L'utopia è sempre rivelazione. Poi. Cosa resta? "Tormentato mio cor, fusti piagato/da gli strali colà di rea fortuna,/qui fra' ceppi d'Amore imprigionato". L'utopia non conosce l'arroganza. Poi. Altri giorni. Forse altri destini. Ritorno in questo camminare viaggiare. Tra i vicoli. Lastre di pietra levigata. Una volta abitava qui. In questa città del chiostro del Santo di Paola. E poi nel Regno di Napoli. Per vincere la menzogna dobbiamo abitare l'utopia. E poi. "Perdonatemi, o muse". Ritornano i colombi. La nonna attende i colombi. Io, infanzia a Cutro. Fiumara. Cosa mi reciterà ancora questo poeta? Mi ricorda Vincenzo Padula. O Giacchino da Fiore. E. poi. Ancora. Tommaso Campanella. La città del Sole. Il sole. Qui a Grottaglie c’è il sole. È il 2 aprile. Fine anni novanta. 1998. Ma Padula recita ancora il Santo di Paola. San Paolo mi parla della forza. Penso a Padula. Con Battista ha in comune il "mio Santo". Tutto è un cammino. "Tormentato mio cor…". Questo mio cuore resta nel tormento. Non conosco più pretese ma solo attese. Chissà… La letteratura è la vita? Per uno scrittore forse sì. Anche la vita è letteratura. Le memorie di Adriano mi perseguitano. Anche qui.
La Magna Grecia è un viaggio e una metafora nelle poesie
inedite di Grisi
Con una poesia inedita “Il Canto di Pitagora” ricordo Francesco Grisi
morto il 4 aprile di 15 anni fa
Era nato da genitori calabresi, di Cutro, il 9 maggio
del 1927.
Una vita dentro la letteratura. Una vita per raccontare.
Le coste e la piazza hanno l'ombra di Pitagora
nella Calabria di Francesco Grisi
"La piazza è una voce.
Spesso ritorna la figura di Pitagora ed è visto come
metafora di una profonda grecità, ma anche come fondamentale
incastro di radici.
Nell'insieme si avverte, con coerenza, un linguaggio dalle
forti tonalità ironiche.
La grecità nella Calabria è testimonianza contemplante.
Francesco Grisi è come se raccontasse, ma è anche se se si
raccontasse recuperando tempo e storia. La sua storia in un
tempo che non è comunque mai fermo.
La Calabria, Cutro, il Mediterraneo restano, dunque,
radici. Ma sono anche un viaggio.
Un viaggio vissuto con il sogno e l'attrazione di Pitagora
nel custodire memorie.
I Mediterranei e il Mediterraneo nella poesia di Francesco
Grisi
a 15 anni dalla scomparsa il 4 aprile
di Pierfranco Bruni
Il 4 aprile del 1999 moriva Francesco Grisi. I Mediterranei
e il Mediterraneo sono luoghi e saperi, anima e metafore. I
mari della terra in Francesco Grisi, di cui ricorre il
quindicesimo anno dalla morte, appunto,
il 4 aprile, sono scavi di vita.
IL Mediterraneo come luogo di un abitare la geografia
dell’anima, dell’esistere, dei paesaggi. In una poesia
datata Luglio 1967, ore 18, Francesco Grisi (Vittorio
Veneto, 1927 - Todi, 1999) annotava: “Viaggiare non è
vedere/viaggiare non è affermarsi”.
Il Comune di Cutro ricorderà questo anniversario con il
Premio Grisi e con un Convegno dedicato proprio al
Mediterraneo.
Il tema del viaggio, in Francesco Grisi, resta fondamentale.
Il viaggio e il viaggiatore. Andare e tornare nelle maree
del tempo.
Il viaggio nella poesia e la poesia che si fa viaggio. Poeta
del viaggio. Poeta del ritorno. Un linguaggio che si
abbandona al racconto e si lascia ascoltare non con una
tensione narrante ma con un battuto lirico che ha richiami
di antichi segni metaforici. Il raccontare è soltanto un
incidere nel linguaggio anche se la punteggiatura resta
comunque nella cadenza poetica.
La poesia di Francesco Grisi è una recita costante che si
definisce su alcuni riferimenti di fondo. La materia del
linguaggio è parola vissuta, sofferta, angosciata. Il
linguaggio è un’onda di nostalgia che si intreccia a delle
dimensioni oniriche che ritrovano eredità messianiche e
approfondimenti ellenici.
La Calabria di Pitagora o il cielo della Magna Grecia
rendono alcune delle tante fisionomie del Mediterraneo:“Il
Mediterraneo/è la mia piazza infinita”.
Qui, nella poesia di Grisi, non
è soltanto un luogo geografico, ma è soprattutto un
luogo dell’essere che si manifesta attraverso gli strumenti
della poesia. Una poesia che ha suoni ed echi a volte
andalusi che si dichiarano in un progetto di vita che
sprigiona tenerezza, confessioni di amori, cammini che
solcano il tempo.
I luoghi del tempo sono, infatti, i luoghi di quella poetica
del mito che si intreccia con i giochi della memoria. I
ricordi sono nella memoria. E’ profondamente una poesia
della memoria. Una poesia del viaggio e del ritorno.
Il cerchio infinito, metafora grisiana,
che è il sentiero metaforico di una circolarità del
tempo non vive solo dentro la concezione della vita ma è
parte integrante di una visione della letteratura nel
rapporto con il tempo e con la vita stessa.
L’amore, la fede, il viaggio, il tempo-mito sono dei
“dettagli” che costruiscono la poetica di Grisi. E il
linguaggio è quello che viene recuperato dalla sua prosa e
trasformato nella metafora lirica.
Francesco Grisi resta profondamente un poeta. Un poeta dei
colori. Un poeta che realizza immagini ma sa catturare, con
i fantasmi delle parole che si agitano tra un salire e uno
scendere tra i versi e nell’intreccio dei ricordi,
intercettazioni oniriche.
Quelle intercettazioni oniriche che rendono comprensibile la
pazzia. L’amore, la fede, le avventure girano nell’immenso
misterioso della pazzia. Un percorso pavesiano è dentro il
senso poetico di Grisi ma ci sono verniciature lorchiane che
sprigionano, appunto, il vento di un Mediterraneo che non
abbandona mai la liricità della sua poesia.
Il pavesismo: “Al termine/del giro - cerchio ci
accorgeremo/che c’è il nulla. O il tutto./Il nostro incontro
è un gioco…/ Nella sera hai tremato”.(da “Stanotte hai detto
che il giorno”).
Ma Grisi ha una sua autenticità di fondo. Le parentele
formano la intelaiatura letteraria, formativa, critica. Ma
il poeta ha una voce autentica e originale soprattutto per
la misura del verso e per il metro del linguaggio.
Linguaggio che diventa vita e tempo. Il mare e il deserto
sono le metafore che hanno un significato certamente
poe-tico ma anche culturale. L’incontro tra la cultura
dell’Occidente e quella dell’Oriente.
La donna orante, la donna
preghiera, la donna viaggio, la donna attesa, la
donna peccato, la donna amante rappresentano tutte la donna
profezia ma anche la donna nostalgia: “Vorrei amarti in un
dolciastro tramonto/nella gialla foresta dei girasoli” (da
“Risvegli improvvisi”).
L’uomo con il suo bisogno di rivelazione e di redenzione ha
un suo cammino specifico e recita senza maschere la nudità
del sentimento. Un sentimento che condensa manifestazioni di
tempo.
Così in “Nel pensiero di te”: “Nel pensiero di te incontro
il peccato./Il desiderio corrompe il sogno./Il fantasma
nell’attesa è più del reale./I baci finiranno dopo la
notte./E le mani geleranno per paura./Ti guardo. E mi
accomodo con il tuo fantasma./Deserto e cielo. Carovane
promesse./Mi perdo. E non mi trovo nel risveglio./L’amore è
sogno che resta eterno./E’ strano come tu possa resistere/In
questo mio amore
cattolico./Forse il cuore non chiede ricompense./L’abitudine
è la nostra terra peccaminosa”.
E’ una delle poesie che rivela una straordinaria tensione
lirica e sentimentale. Un vissuto che entra nella parola e
viceversa. Un vissuto che comunque non lascia trasparire
quella storia raccontata come cronaca.
Quest’amore immenso che segna nel tempo il poeta e l’uomo in
un linguaggio (ovvero in una semantica di perfetta eleganza
nell’originalità dell’offerta stilistica) che si fluidifica
e trasmette incanto e immagini. Questa pazzia dell’amore
peccaminoso vissuto però con la bellezza che si addice al
poeta fa coppia con i temi di un ellenismo marcato, nel
quale il ritornare alle appartenenze perdute, alle radici,
alla terra è un costante singulto dell’anima. L’isola
dell’anima.
Il ritorno all’isola, al paese, al centro di una identità
riporta una linea mediterranea di matrice kavafisiana ben
indicata.
L’Itaca che è ritorno in Grisi ha un valore mitico ma anche
cristiano. Di una cristianità paolina. Il senso di morte è
un “sentimento” di comunione che diventa un “affettuoso
sentiero”. Affettuoso
sentiero è appunto il titolo di un suo libro di poesie
risalente al 1994. Mentre le poesie di
Un amore
sono del 1992.
L’amore, dunque. L’amore sogno che racconta una favola. Ma
il tempo del sogno ci riporta al viaggio. La vita come
viaggio nella letteratura che è viaggio grazie ad una
indefinibile nostalgia.
La poesia di Grisi si traccia proprio attraverso
l’indefinibile nostalgia in una memoria che continua
la sua recita oltre la vita stessa. Restano i segreti nel
misterioso incanto:
“Ho segreti da custodire. Teneramente” (da “Nel confine
della solitudine” in
Affettuoso sentiero).
Non solo metafora. Ma il misterioso, come si diceva, che
gioca in quel cerchio magico che raccoglie il tempo. Il
mare, i ritorni, le partenze, la provvisorietà sono singulti
dell’anima. Spazi indefinibili nel cerchio dell’infinito.
Francesco Grisi è un poeta del viaggio nel tempo che
intreccia i fili di un tempo che è memoria, magia e
nostalgia.
Poesia della nostalgia? Poesia nel destino dei segni che
incidono solchi. Tutta la nostalgia di Grisi è nostalgia del
centro e del labirinto. Il labirinto non è solo grecità. È
Oriente che incontra l’Occidente. Ovvero è l’incontro dei
Mediterranei.
|
|
© Copyright:www.arte26.it portale del Centro d'Arte e Cultura 26 Associazione culturale di ricerca antropologica etnofotografica fondata da Maria Zanoni nel 1978 | |
<< indietro | |