Nel Regno di Napoli la storia delle famiglie tra
aristocrazia, mondo cattolico e borghesia
di Micol Bruni
Nella storia del Regno
di Napoli si sono consumate divisioni non solo politiche, ma anche
religiose che hanno visto al centro famiglie di tradizione borbonica e
famiglie con tessuti storici liberali e realtà con eredità massoniche.
In questo Sud immenso
e immerso l’Unità d’Italia si è spesa e si è sviluppata
nell’inquietudine di lotte interne nei territori e diaspore tra famiglie
che hanno caratterizzato i rapporti tra i ruoli istituzionali, come le
municipalizzazioni, il clero, le aristocrazie e il Regno delle Due
Sicilie prima, e quello di Napoli successivamente.
Il tutto all’interno
di un processo che ha cercato di legare la Rivoluzione francese con la
Rivoluzione napoletana. Napoli restava, comunque, il centro dal quale si
governavano i territori e si gestivano.
Il mondo ecclesiastico
ebbe un ruolo notevole e caratterizzante. Lo ebbe nella fase pre
unitaria, nella fase di rivolta della scesa di Garibaldi nelle Calabrie
e nella contestualizzazione del Regno sui Bastioni di Gaeta con Maria
Sofia, l’ultima regina del Sud.
Ci sono state
famiglie che hanno svolto una funzione “particolare”.
A Spezzano Albanese la
famiglia Guaglianone ebbe un ruolo strategico sia dal punto di vista di
una assestata aristocrazia, sempre alla ricerca di nuovi consolidamenti
e sodalizi parentali, sia dal punto di vista del posizionamento, nel
territorio, con la Chiesa.
Lo ebbe anche nel
momento in cui si manifestò come polo filo borbonico in un tempo di
scontro tra la monarchia e i liberali e i “rivoluzionari”. Mantenne
sempre la sua fedeltà ad una
tradizione che era, appunto, quella della difesa di un Regno di Napoli
sotto la guida del Borbone.
Da una parte, dunque,
la discendenza aristocratica, che, successivamente, si imparenta con la
nobiltà dei Gaudinieri di Acri, dall’altra l’esercizio di una presenza
costante all’interno della realtà ecclesiastica.
Infatti già nel 1845
don Ferdinando Guaglianone viene nominato arciprete di Spezzano
Albanese. Erano gli anni in cui era arcivescovo Pietro Cilento, di
chiara tradizione borbonica. Ma erano anche gli anni in cui il “modello”
dei Sanfedisti reagiva ad ogni forma laicista e liberale.
La famiglia
Guaglianone, oltre ad essere un ceppo filo borbonico, era anche
fortemente ancorata, per tradizione, al mondo sanfedista. Proprio
intorno a quegli anni (ovvero se si legge in una forbice che va dal 1844
al 1850 è ben visibilmente interpretato il contesto storico), sempre a
Spezzano, fu eletto sindaco, nel 1850, Nicola Guaglianone, che subentra
al liberale Francesco Candreva, il quale venne addirittura destituito.
L’arciprete don
Ferdinando Guaglianone muore il 26 febbraio del 1852. Per il mondo filo
borbonico è una fase complicata e non attraversata da contraddizioni e
confusioni anche nel mantenere i legami con il Regno.
Soltanto nel 1874,
siamo già nella stagione del dopo Porta Pia, un altro Guaglianone sarà
nominato arciprete. Si tratta di don Peppino Guaglianone che venne
nominato arciprete, appunto, nel 1874 e rimase parroco sino al 1901,
quando gli subentrò il fratello
don Ferdinando junior.
C’è da sottolineare
che don Peppino rimase sempre fedele alla tradizione borbonica,
nonostante il contesto politico completamente mutato e rimase a Spezzano
per ben 27 anni. Forte della sua appartenenza ad una famiglia
aristocratica e devoto alla realtà del paese, nonostante non siano
mancanti i contrati che avevano, comunque, sempre una matrice politica,
svolse un ruolo importante per la crescita religiosa della comunità.
Una funzione rilevante
la ebbe, soprattutto per i mutamenti maggiori della temperie storica, il
Guaglianone junior. Una personalità spiccata e culturalmente elevata.
Scrisse poesie, ricordi, discorsi, saggi vari. Era nato il 1843, figlio
di Salvatore e Angela Guaglianone. La morte lo colse nel 1927. Tra le
opere che lasciò a Spezzano, ci fu quella delle suore salesiane che per
merito suo si stanziarono a Spezzano provenienti da Napoli. Il suo
pensiero sacerdotale è, chiaramente, riscontrabile sia dalle opere sia
dal suo scritto “Cari e mesti Ricordi”, che si fanno risalire al 1890.
La famiglia Guaglianone espresse
tre sacerdoti.
1845 don Ferdinando
senior e rimane sino al 1852.
1874 don Peppino sino
al 1901.
Da questa data sino al
1927 subentra don Ferdinando junior.
In circa Ottant’anni
(precisamente 82 anni) la famiglia Guaglianone, tranne delle fasi un po’
convulse, dominò, sempre nel segno della fedeltà alla tradizione
borbonica e sanfedista, la cattolicità di Spezzano.
I Guaglianone si
imparentano con i Gaudinieri.
Amalia Guaglianone
sposa Mariano Gaudinieri. I Gaudinieri, nobile famiglia stemmata, sono
l’espressione non solo di un ceppo nobile, ma anche borghese che trova,
nella aristocrazia dei Guaglianone, un incontro determinante per unire
due identità vicine alla Real Casa.
Entrambe profondamente
legate alla storia cattolica della Calabria, anche i Gaudinieri hanno
espresso presenze significative nel mondo sacerdotale e devoti a San
Francesco di Paola oltre ad essere due famiglie, Gaudinieri e
Guaglianone, con una caratura di tradizione ancorata nella professione
giuridica.
I Gaudinieri
provengono dal mondo nobile e giuridico. Ma tra i Guaglianone ci fu un
riferimento forte che fu Agostino Guaglianone, avvocato oltre ad essere
stato scrittore, zio di don Ferdinando junior.
Aristocrazia, nobiltà
e cattolicesimo.
Tre elementi che sono
stati dominanti nella storia di una comunità. I Gaudinieri, con Giulia,
(figlia di Mariano Gaudinieri e Amalia Guaglianone) , sorella di
Agostino, colonnello e decorato già nella Grande Guerra, Marietta e
Domenico, si imparentano con i Bruni di San Lorenzo del Vallo.
Giulia sposa, infatti,
Francesco Ermete Bruni, figlio di Adolfo e Maria Giuseppa Fortunata. La
nobiltà che si lega ad una famiglia di possidenti e di commercianti che
hanno dato una svolta al mercato e ai rapporti commerciali tra
territorio e Regioni limitrofe.
Una famiglia filo
borbonica e una famiglia vicina ai Savoia si ritrovano in un legame che
diventerà profondo. Infatti proprio durante gli anni del Fascismo
avranno un ruolo significativo in un rapporto tra mondo delle
Istituzioni e gerarchie politiche e militari.
In loro resta sempre
presente la devozione alla cattolicità, tanto che la figura di San
Francesco di Paola resta un culto fondamentale. La proprietà toccata a
Giulia Gaudinieri, andata sposa a Bruni Ermete Francesco, in Spezzano
Albanese, Via Nazionale, trattasi di un Casino con appezzamento di terra
in vigneto, in una nicchia, sul cornicione del cancello di ingresso,
c’era una statua, come vero e proprio sede di culto, devozionale
proprio di San Francesco di Paola, che risale al Diciannovesimo
secolo.
Una storia che
consolida le sue eredità nella stagione pre risorgimentale, le cui
tradizioni hanno segni identitari più distanti nel tempo.
I Gaudinieri si
radicano nell’età Barocca.
I Guaglianone presentano la loro forte
consistenza identitaria nei primi anni dell’Ottocento.
Due famiglie che si
legano con i Bruni in un contesto che è quello del Risorgimento ancora
da compiersi, ovvero i primissimi anni del Novecento; i Bruni e i
Gaudinieri segnano la continuità, di una famiglia, tra aristocrazia e
borghesia.
Agostino Gaudinieri, più volte decorato tra i protagonisti dell’Isonzo
nella Grande Guerra
Un Arbereshe per l’Identità nazionale
di Micol Bruni
La Prima Guerra Mondiale e l’identità nazionale. Si tratta di un binomio
imprescindibile in un processo storico che è servito anche a dare un
senso a quella Unità d’Italia che era considerata incompiuta. In una
temperie che presenta diversità di letture, anche se i punti di contatto
tra le Europe restano fondamentali, i processi storici e con essi i
personaggi, le personalità, le politiche militari, i militari stessi,
gli uomini che si sono sacrificati in nome dell’identità nazionale per
la difesa della Patria, l’esercito che ha combattuto ed ha difeso
l’onore e la dignità di una Nazione.
Ma sono gli uomini, i militari, i volontari, la Bandiera che hanno
rappresentato, in un coro risorgimentale, l’unità per la difesa della
Patria.
L’esercito ha avuto un ruolo straordinario e imponente sul piano
militare certamente ma anche valori identitari. Sono quei soldati che si
sono immolati nel nome dell’Italia in una guerra che apriva un’età delle
società alla modernità attraverso i valori di identità nazionale.
Anche il ruolo degli Italo – albanesi è stato fondamentale, come lo era
stato negli anni dell’Unità d’Italia e di tutto il Risorgimento.
Soprattutto la Prima Guerra Mondiale, dopo i fatti di Cirenaica e
Tripolitania e i Governi Giolitti, ha segnato uno spartiacque tra
l’epoca immediatamente post unitaria e la stagione che ha attraversato
il difficile scontro tra una eredità completamente nazionale e il mondo
austriaco, austro – ungarico e tedesco.
L’Italia senza il valoroso esempio e sacrificio dei militari avrebbe
avuto serie difficoltà. E tra questi, appunto, hanno avuto una funzione
particolare anche gli Italo – albanesi, che, discendenti di Scanderbeg,
da militari hanno posto come riferimento l’Onore per la Bandiera.
Tra i soldati, militari ufficiali, ricorre spesso il nome di Agostino
Gaudinieri. Il Gaudinieri, nato a Spezzano Albanese il 28 luglio del
1892, che arriverà a rivestire successivamente il ruolo di Colonnello,
viene nominato con Regio decreto del 16 aprile del 1914 Sottotenente di
complemento di Fanteria, la cui nomina viene pubblicata sulla “Gazzetta
Ufficiale del Regno d’Italia” in data 18 maggio 1914, numero 117.
Mentre, due anni dopo, il Ministero della Guerra con Disposizione sugli
Ufficiali in Servizio Permanente, sempre Arma di fanteria, adotta un
provvedimento per la promozione a Tenente con Decreto Luotenenziale del
24 agosto 1916, Decreto che viene pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale
del Regno d’Italia” de 14 settembre 1916, numero 217.
Più volte distintosi per le sue azioni e più volte ferito viene molte
volte decorato.
In qualità di Sottotenente di complemento del suo Reggimento di fanteria
venne decorato perché
“ferito più volte mentre conduceva energicamente il suo plotone in
soccorso di altri reparti, non si allontanava dal combattimento. Bosco
Cappuccio, 20 luglio 1916”, così si legge negli Atti ufficiali(http://www.istitutonastroazzurro.org/).
Precedente, dunque, alla nomina di Tenente.
In una ricostruzione sui decorati di guerra lo storico Ferdinando
Cassiani, successivamente citato nello studio di Alessandro Serra, ebbe
a scrivere: “…fra le insidie di Bosco Cappuccio, Agostino Gaudinieri,
magnifica tempra di ufficiale, tre volte ferito, merita la medaglia
d’argento al valore militare” (in Ferdinando Cassiani, “Spezzano
Albanese nella tradizione e nella storia”, 1929 e poi ripreso da
Alessandro Serra in “Spezzano
Albanese nella vicende storiche sue e dell’Italia (1470 – 1945)” del
1987.
Agostino Gaudinieri ebbe una carriera brillante sino ad arrivare a
colonnello dell’esercito ed ebbe un ruolo particolare sia durante il
passaggio dalla Marcia su Roma alle Leggi Fasciste sia durante gli anni
del Regime. Sempre al servizio dell’esercito fu un punto di riferimento
nell’ambito dei rapporti tra la vita militare, l’attività del Regime e
la Monarchia.
Era figlio di una nobile famiglia di Spezzano Albanese, ecco le sue
origini Arbereshe (Italo – albanesi). La madre la nobile Amalia
Guaglianone e il padre il nobile Mariano Gaudinieri, le cui discendenze
risalgono alla nobiltà di Acri tra il tardo Rinascimento e l’età pre
Illuminista. Aveva altre due sorelle: Giulia e Marietta e un fratello di
nome Domenico.
Fu una personalità importante e imponente nella Calabria tra la Prima e
la Seconda guerra mondiale. Visse, dopo i natali di Spezzano Albanese, a
Cosenza con proprietà anche a Mendicino, in provincia di Cosenza.
La sua figura rientra nel quadro delle riproposte di quegli eroi di
guerra che hanno combattuto portando alto il vessillo d’Italia. Infatti
a Bosco Cappuccio, lungo il fiume Isonzo, si svolse una dura battaglia,
che vide l’esercito italiano impegnato in prima fila a difendere il
destino della Patria.
Agostino Gaudinieri, più volte decorato, fu un protagonista di quella
“resistenza” in nome dell’Italia. Una personalità di alto profilo al
quale andrebbe intitolata certamente una strada e andrebbe ricordato
come uno dei personaggi, di quegli eroi che hanno fatto l’Italia, che
hanno combattuto in nome dell’identità nazionale e che hanno portato
alto il vessillo del Tricolare e dell’Esercito italiano. Un italiano,
dalle radici Arbereshe, nella storia che va dall’Interventismo a tutta
la seconda guerra mondiale e oltre.
LA NOBILTA' BRUNI - GAUDINIERI
Dalle Real Case al Fascismo tra nobiltà e borghesia.
Un Sud che va riletto
di Micol Bruni
Non c’è mai una
nobiltà nascosta come non può esserci una nobiltà mascherata. C’è una
nobiltà che riesce costantemente a vivere in un confronto con il
territorio, mai dimenticando le sue origini e la sua dinastia, mai
dimenticando i processi identitari e le eredità che hanno attraversato
la storia.
La storia ha sempre un
senso, soprattutto quando una dinastia ha come riferimento la
tradizione.
La
nobiltà dei Gaudinieri vive, la nobiltà e i codici della loro nobiltà,
nella storia con la umiltà, consapevole che c’è un quadro in cui il
senso stesso della storia ha una sua geografia,
le cui ramificazioni interessano ed hanno interessato altri ceppi
e altri nuclei di famiglie che hanno esercitato una loro precisa
funzione come l’esercizio amministrativo, l’esercizio politico, la
capacità di manifestare precisi riferimenti, in un intreccio di “tavole”
in cui è ben presente il legame tra una stratigrafia nobiliare
e tra titoli e
possedimenti di beni.
Se i Gaudinieri, pur
manifestando, inizialmente, una vicinanza a Casa Savoia, soprattutto
durante gli anni del Fascismo, insieme alla famiglia Bruni, i
Guaglianone restano fedeli, almeno sino al 1927, alla Casa Reale
Borbone. Ma sia nei Gaudinieri che nei Guaglianone c’è un forte assenso
nei confronti del Fascismo, di quel Fascismo, che nei Gaudinieri
soprattutto, prenderà maggiormente penso quando il Fascismo diventa
Regime.
Ma il Fascismo dei
Gaudinieri – Bruni, sono, comunque, i Bruni i veri propugnatori di un
Fascismo “popolare”, è mantenuto fermo da un ideale profondo che è
quello dell’identità nazionale, dell’identità alla Patria,
dell’approvazione mussoliniana ad una storia d’Italia che pone come
premessa la romanità.
Questo fino al 1938.
Dopo tale data comincia ad assumere una forma dialettica, soprattutto
nei Bruni, il vero e proprio patto politico e di fede con il Fascismo,
per consolidarsi, nuovamente e fortemente, dopo la notte del Gran
Consiglio.
Il 1938, soprattutto
nei Bruni, è l’anno della discussione, insieme ai Gaudinieri, delle
Leggi razziali e della stretta con Hitler. Due momenti cruciali che non
sono considerati positivi dal ramo delle due famiglie e la discussione
si apre ad un articolato dibattito proprio all’interno della famiglia.
Ma il legame con il
Fascismo si ricompatta e si rafforza sia dopo il 25
luglio del 1943 e soprattutto dopo l’Otto settembre del 1943. I
Bruni del capostipite Ermete Francesco, restano fascisti anche dopo che
il Fascismo non c’è più.
Comunque il 25 luglio
e l’Otto settembre, diventano due date fatidiche.
Leggono nell’Otto
settembre il disfacimento di quell’identità nazionale alla quale avevano
dedicato tutto un processo storico e politico: sia all’interno dei Bruni
con la loro antica vicinanza
ai Savoia sia per chi resta sempre fedele alla cultura e alla tradizione
Borbone.
Il rapporto con
Mussolini si riconsolida. Durante la Repubblica Sociale di Salò restano
Fascisti e sposano in pieno la causa dei repubblichini, riscoprendo il
modello rivoluzionario che porterà i Bruni a diffidare degli
atteggiamenti di Vittorio Emanuele III. Ed è in questa fase che la
stagione fascista dei Bruni si fortifica nel “mussolinismo”.
Il colonnello Agostino
Gaudinieri, fratello di Giulia, andata in sposa ad Ermete Francesco,
difenderà l’onore della Patria tradita costantemente.
Resterà fascista sino
alla morte il Bruni Ermete Francesco (1979) con la coerenza dei vinti e
nella nobiltà di una idea mai tradita.
Dei cinque fratelli,
Adolfo, Mariano, Virgilio Italo, Luigi (Gino) e Pietro, soltanto Mariano
manifesterà le sue perplessità e sarà molto scettico sia sul destino del
post fascismo, ma anche fortemente dialettico intorno al dibattito,
interno alla famiglia, sullo stesso Fascismo, anche se sposerà Maria
Notti, figlia di una personalità più in vista della Fascismo calabrese,
che parteciperà a molte e significative azioni, che resterà sempre
fedele alla causa mussoliniana.
Ci saranno delle belle
e forti discussioni politiche sia tra i quattro fratelli rimasti
ancorati alla tradizione fascista e Mariano che esprimeva idee liberali
e molto aperte sul valore delle nuove democrazie europee. Idee
manifestate con un convinzione culturale e storica.
D’altronde, da
matematico, leggeva la storia con la severità scientifica dando una
interpretazione ai processi ideologici e alle forme di potere.
Gino dava un senso
alla politica, attraversando i valori giuridici e ponendo all’attenzione
una visione amministrativa della cosa pubblica.
Il più politicizzato e
il più fortemente coinvolto ad una tradizione fascista, ma ampiamente
disponibile ad una articolata dialettica storica, che ha attraversato la
lettura ultima del Fascismo interpretato da Renzo De Felice ma
soprattutto da Tripodi e Pisanò, di cui era profondo conoscitore, oltre
ad Adolfo, è rimasto, sino alla fine, mai rinnegando nulla e mai ponendo
in discussione i miti, i simboli e le “regole” ai quali aveva creduto
per tutta una vita, Virgilio Italo.
Non ha mai scisso i
due rami, quello Gaudinieri da quello Bruni, consolidando però, nelle
sue posizioni, la frattura, proprio nella stagione 1943 – 1945, tra ciò
che aveva incarnato Casa Savoia con l’arresto di Mussolini, e ciò che
Mussolini aveva rappresentato e avrebbe rappresentato sino al 1945 e ciò
che avrebbe trasmesso politicamente e ideologicamente negli anni
successivi.
È chiaro che, nella
famiglia, si respirava un clima antibadogliano. Si trattava,
chiaramente, dalla loro posizione, e gli elementi politici sono
evidenziabili, ad una fedeltà mai taciuta e sempre rappresentata sia nei
confronti del Fascismo (nascente e poi consolidato) sia nei confronti
dello stesso Mussolini.
La famiglia Bruni di
San Lorenzo del Vallo, insieme a quella di Amleto Marchianò, molto
vicino ai Bruni, fu un ceppo imparentato con i nobili stemmati dei
Gaudinieri, imparentati a loro volta con i filo borbonici Guaglianone.
È un quadro storico
che permette di ricontestualizzare una pagina significativa sia delle
famiglie del cosentino provenienti da altri territori, ma permette anche
di “riscrivere” pagine che hanno permesso di capire correttamente il
rapporto tra politica, territorio, famiglie e borghesia.
Nei testi di storia
locale, soprattutto in Scorza, “S. Lorenzo del Vallo (spigolature
storiche)”, 1986 e in Serra, “Spezzano Albanese nelle vicende storiche
sue e dell’Italia (1470 – 1945), 1987, molto più accorto, comunque, e
attento dello Scorza su alcuni spaccati, molti degli elementi qui
menzionati sono completamente assenti.
Resta il fatto certo
che, Scorza non menziona e non cita neppure, le famiglie nobiliari e che
hanno governato il paese sono stati dei riferimenti che hanno
testimoniato la loro presenza con le opere e le azioni.
I Bruni – Gaudinieri
sono stati dei riferimenti sia culturali sia politici che economici
oltre al ramo della nobiltà della famiglia Gaudinieri presente, con i
Bruni a San Lorenzo del Vallo. La storia si ricostruisce
ricontestalizzandola nella sua continuità. Non possono esistere
parentesi e la continuità è anche una coerenza che parte da Spezzano dal
legame Guaglianone – Gaudinieri e da San Lorenzo da Bruni – Gaudinieri.
Due ceppi che hanno
rappresentato nuclei centrali all’interno del territorio e costituiscono
una chiave di lettura per comprendere ciò che è stata la borghesia tra
fine Ottocento e meta Novecento e l’insistenza del ceto nobiliare dalla
metà del Seicento, tramandatosi nell’Ottocento, sino a tutto il
Novecento.
La famiglia Bruni –
Gaudinieri, con i cinque fratelli, resta un contatto singolare con il
territorio attraverso la proprietà terriera, la borghesia e la nobiltà.
Giulia Gaudinieri in
Bruni, un’antica famiglia nello stemma, ma anche nella bellezza dei
gioielli che sono stati tramandati da famiglia a famiglia.
Gioielli
della Casata Gaudinieri di Spezzano. Molti andati dispersi, altri
portati in dote, altri introvabili, ma rappresentano un raccordo
estetico tra il senso della bellezza degli ori, la capacità
imprenditoriale commerciale e una caratteristica della borghesia in un
determinato contesto della storia tra Ottocento e Novecento.
Il tutto nel quadro di
una visione politica tra Casa Borbone, Savoia e Fascismo da una parte e
mondo cattolico dall’altro.
Attraverso la storie
delle famiglie, che sono state protagoniste, c’è un Sud che va riletto,
e quindi ricontestualizzato ricontestualizzando tutto ciò che è stato
Regno di Napoli, tra
Risorgimento, le Real Case, borghesia e nobiltà.
inizio pagina
|
Chi ha avuto ed ha una nobiltà non può che restare perno
centrale nella vita della famiglia e nello stile tra i Bruni –
Gaudinieri.
Nulla si dimentica perché tutto è nella Tradizione
di
Pierfranco Bruni
Il
tempo della storia è un tempo che ha sempre una cronologia
che si misura con il quotidiano. Nei paesi c'è una particolare
rappresentazione del tempo. Ed è quello della lentezza. La
lentezza è sostanzialmente una geografia in cui l'esistere
è il cammino proprio nell'intreccio tra la storia e la fine
della storia.
Non esiste
una storia che sia verità o che possa essere considerata la
verità.
Ogni
generazione ha una sua storia vissuta nel tentativo di afferrare
il tramite tra il sapere la conoscenza con il dividere la
realtà. In questa frattura si consuma il senso e l'abbandono, la
caduta e la dignità, l'orgoglio e la consapevolezza di una
tradizione che ha la sua profonda nobiltà.
Spesso penso
al viaggio che mio padre ha attraversato.
Spesso
ritrovo, nel ricordo che i cinque fratelli mi hanno consegnato,
un tempo mancante, ma ricco, imponente, forte che cammina lungo
i miei passi.
Cinque
fratelli che hanno disegnato quella storia che oltre a ricamare
il tempo ha tracciato un destino.
Il concetto
di destino resta legato profondamente al passaggio dei cinque
fratelli che hanno viaggiato tra un presente sempre rimasto
presente e una tradizione che ha la ramificazione forte nel
concetto di eredita spirituale.
Io ho
vissuto e vivo nel cuore della dignità.
Una dignità
che ha permesso alla mia e nostra storia di restare storia nel
destino e semplicemente di vivere tutto ciò dentro una griglia
simbolica.
L'aquila è
un simbolo fondamentale.
L'aquila che
è lo stemma della famiglia Giardinieri porta sul capo una
corona. Sono rimasto a lungo a riflettere su questa visione
fatta di archetipi.
Ho già detto
che l’aquila e il serpente (serpentello) sono i due simboli che
caratterizzano il vero e proprio “topos” di una famiglia che ha
segnato un percorso nella storia di civiltà. Ma ciò non è
ricordo.
La storia
che vive nel tempo attraverso la cifra dei documenti ma la
memoria, a volte, è più forte degli stessi documenti
di ciò che mia figlia
chiama le fonti e sulle quali si basa, secondo lei, assillandomi
a volte, tutta la dimensione della storia.
È vero, ma
io, proustianamente, resto legato al racconto che vive di
ricordi, di dettagli, di piccoli segni.
Di quei
piccoli segni che ci hanno portato a ricostruire il disegno di
una famiglia e che Giulia, Giulia che chiamavamo di Cosenza,
Giulia di zio Mariano e zia Maria, mi ha permesso di leggere con
un quadro in cui l’immagine e il ricordo sono un intreccio
forte.
Nella vita
basta, a volte, un piccolo angolo che non vedi più da anni e poi
rivedi, per
costruire un viaggio. Ho sempre un luogo fisso nel mio
immaginario che è lo studio di zio Mariano nella casa di Cosenza
di Viale del Re, come si chiamava, la via, una volta. È
diventato per me un quadro, poi uno specchio, poi un luogo –
pensiero.
Forse
proprio nei dialoghi antichi con lui, in quei dialoghi di
affetto e di rimproveri, ho ritrovato, ricordando e
ricostruendo, una memoria che nel tempo che passa rimane come
testimonianza e come insegnamento.
Io a lui, a
zio Mariano, devo molto. Un capitolo già scritto e che non
dimentico mai.
Ora che ho
rivisto le sue foto, la sua giovinezza tra piccole e grandi
immagini, in una Roma che mi ha appartenuta e mi appartiene ho
ritrovato molte somiglianze.
Una città,
un paese dal quale siamo partiti, un lavoro sulle scienze e
sulle matematiche da parte di Mariano, un paese, una città e un
lavoro forte sulle letteratura e sulla cultura umanistica da
parte mia.
Luoghi che
sono stati suoi sono stati e continuano ad essere anche miei.
Poi c’è
anche Taranto. Zio Mariano ha amato Taranto. In quanti Esami di
Stato, nelle Commissioni scolastiche, è stato protagonista
Mariano proprio a Taranto e quel mare di molte sue estati è
diventato poi il mio mare.
Osservare la
vita con la forte passione, tuffandosi dentro le questione, e il
saper vivere anche con distacco.
Non mi ha
meravigliato tanto quando, non molti giorni fa, un conoscente di
antica data mi ha detto che vedendomi gli ho portato negli occhi
l’immagine di Mariano, di zio Mariano, di Don Mariano come
continuano tutti, ricordandolo, a chiamarlo a San Lorenzo del
Vallo.
È proprio
vero che c’è un tempo della storia e una storia che continua a
vivere senza tempo. È certo che ogni storia è sempre parziale e
resta, come sempre, un viaggio, ma anche un vissuto, incompiuto.
Si tratta di
una legge che permette di non chiudere definitivamente i
capitoli della nostra esistenza. Tra i cassetti delle scrivanie
della mia grande casa di paese ritrovo quaderni, appunti,
foglietti sparsi di mio padre. Ho ritrovato anche le date di
alcuni appuntamenti.
Posso dire
con consapevolezza che se il paese che ha visto le mie radici
rimane San Lorenzo, la città che mi ha formato è stata Cosenza.
Anche il liceo che ho frequentato a Spezzano era una sezione
staccata del Liceo G.B. Scorza di Cosenza, poi il mio percorso
scolastico è stato altro ed è qui che zio Mariano ha avuto un
ruolo fondamentale e decisivo.
Incontro
spesso amici che lo hanno conosciuto.
Come è
misterioso il cammino. Ma resta, comunque, centrale l’amore tra
i cinque fratelli: Adolfo, Mariano, mio padre Virgilio Italo,
Gino e Pietro. Una solidarietà e una intesa che
si sono portati nel sangue.
Sangue Bruni
e Gaudinieri.
Cinque
fratelli che hanno posto al centro sempre l’amore, la dignità,
l’orgoglio e quella antica nobiltà che la si eredita perché alla
fine poi diventa, inconsapevolmente, parte integrante del
proprio vivere, ma anche del proprio stile e del proprio essere.
Gli anni
sono passati. Possono passare epoche ma io vorrei che questa
famiglia non dimenticasse mai di essere Bruni e Gaudinieri.
I miei
figli, i figli dei figli dei cinque fratelli non devono, non
possono, dimenticare.
E questo non
dimenticare dovrebbe diventare un riferimento nonostante il
passare e il passaggio di anni e di stagioni.
Chi ha avuto
una nobiltà, quell’eleganza dell’essere nobile, nel sangue e nei
comportamenti, non può che restare perno centrale nella vita
della famiglia e nello stile.
Io continuo
a credere a questo senso della tradizione perché la tradizione
non è mai un vizio. È sempre una virtù.
Quando mio
padre è andato via, tra i suoi sette gradini come egli stesso
diceva, è andato via il depositario di una storia che io posso
decifrare, ora, soltanto con i ricordi e con gli incontri che il
destino mi ha offerto.
Ho letto
negli incontri pagine che non conoscevo.
Ci sono
patrimoni che non possono essere scalfiti. Patrimoni che restano
nel sangue.
I cinque
fratelli sono stati storia e hanno rappresentato la storia.
Siamo noi,
gli eredi, quegli eredi che credono nella continuità di un
legame nella tradizione dei valori e dei comportamenti, che non
devono arrendersi e devono guidare la nave tra gli orizzonti e
le frontiere.
Provo gioia
e mi ritrovo e ritrovo antichi costumi quando
discuto con Antonella, la
figlia di zio Adolfo.
Provo
orgoglio, felicità, per tutto un passato mai dismesso dalla mia
anima, e sorriso quando ascolto le parole di Giulia di zio
Mariano, il vero punto di riferimento dei Bruni – Gaudinieri.
Perché lei,
Gilia di zio Mariano e zia Maria, è la sintesi di una storia e
di conoscenze che riprendono vita pur nella distanza di epoche e
di temperie.
Non
conoscevo lo stemma dei Gaudinieri, eppure ho scritto un libro,
quando è morto mio padre, dal titolo “Come un volo d’aquila”.
Lo stemma
con l’aquila è, da parte mia, conoscenza recente…
Ma il
destino legge sempre nel cuore e nell’anima e i simboli vivono
in noi inconsapevolmente. Ma sono fatti che ho già scritto e
raccontato.
E qui
finisco il mio scrivere e come don Fabrizio resto ad osservare
le stelle o a cercarle o a dialogare con loro.
Mia dolce
notte o mia dolce stella, il cammino è lungo, ma la lunghezza
del cammino ha anche scorciatoie…
Resterò
affacciato alla finestra che butta sul mare e in cielo le stelle
hanno il loro intreccio e il loro destino…
I cinque
fratelli non sono solo storia. Sono nella vita dei destini… che
mi accompagnano che ci accompagnano…
Nelle foto da sin: Mariano Bruni, Pierfranco e
Virgilio Italo Bruni, Ermete Francesco Bruni, Giulia Gaudinieri
con in braccio Giulia di Cosenza, Mariano e Virgilio Italo
Se custodire la nobiltà è dare memoria e senso a un tempo che
non c'è più
d Pierfranco Bruni
Mi convinco sempre più che le famiglie fanno la storia delle
comunità. Non bisogna mai avere rimorsi. La vita può
essere un racconto tra nostalgie e vissuti, tra ricordi che
diventano memorie, tra il quotidiano che cammina nel presente e
il desiderio di creare le vie del futuro.
La vita ha sempre un bussare alla porta del destino pur
coltivando il silenzio. Posso avere tante speranze andate
smarrite ed è anche giusto, ma non mi permetterò mai di avere
rimorsi.
Posso avere una filigrana di rimpianti, e cerco di non averne,
ma mai dovrò avere pentimenti. Rimorsi e pentimenti non
tracciano la mia strada.
Mio padre mi ha suggerito sempre di saper guardare negli occhi e
di giocare a carte scoperte lungo i giorni. Io ho sempre vissuto
questo insegnamento. Le finzioni e le maschere non hanno senso
quando si ha il coraggio e la nobiltà di ascoltare, nel
tempo che passa o che è passato, l'orgoglio della propria
dignità.
Cosa è stata questa mia famiglia nell'attraversamento dei
secoli?
Cerco di costruire, con la fantasia del
mistero che non mi abbandona, la "stirpe" dei Bruni -
Gaudinieri.
Una grande famiglia. Tra commercianti, che hanno segnato
un'epoca, educatori e uomini di legge e matematici. Il mio
spazio di viaggio si ferma a ciò che ho vissuto. Volutamente. A
ciò che ho conosciuto. Volutamente. A ciò che ho visto.
Ma la storia ha profondità di radici.
I Bruni sono stati, alla metà dell'Ottocento, i primi
commercianti nei tabacchi.
Ci sono storie dentro le storie. I primi a
confrontarsi con la "coltivazione" della liquirizia in quel
territorio chiamato il Concio, ovvero "U' Cuonzo". I primi a
portare nelle Calabrie il sale raffinato dalle saline. I primi a
realizzare una economia a rete in un territorio soltanto a
vocazione agricola. Sono stati innovatori per stagioni e anni e
hanno realizzato le prime imprese, quelle che venivano definite
ditte.
Il coraggio di scommettere. Il coraggio di investire ponendo
come rete di una economia il commercio. Gli antichi commercianti
hanno sempre avuto l'anima dei mercanti arabi in un tempo in cui
il mercato cambiava le strutture dell'economia e dei paesi.
Per decenni sono stati riferimento in una geografia territoriale
molto ampia. Non smetto di leggere Italo Svevo anche per
questo motivo, mentre i Buddenbrook di Thomas Mann mi
accompagnano costantemente.
I Bruni - Gaudinieri sono stati tra i Buddenbrook e i
Gattopardi. Il commercio, la nobiltà e le terre. Proprietari
terrieri. Sia l'una che l'altra famiglia. E la tetta si legava
alle famiglie che hanno solcato la storia. Quella con la verità
e che non appartiene alle spigolature.
Nella storia dei Gaudinieri ci sono nobiltà stemmati e
personalità militari che hanno retto la Monarchia
sabauda. Il colonnello al servizio del Re. Parentati tra radici
greche e mediterranee e origini albanesi mai perde e msi
rinnegate. Anzi una dinastia che continua von l'orgoglio della
consapevolezza.
La borghesia e la nobiltà si sono intrecciate in una Calabria
che non smette di recitate il tempo delle terre occupate con i
forconi. Ma questa è soltanto antropologia e folclore, mentre la
storia vera è nella verità delle famiglie che hanno dato un
senso alle comunità. Senza un legame tra la borghesia e il ceto
nobile la Calabria e il Sud sarebbero state province affiliate
ad Imperi stranieri. Senza l'anima della borghesia - nobiltà non
ci si sarebbe salvati dalla miseria e dalla povertà dei paesi.
I Bruni - Gaudinieri hanno dato la possibilità a molte famiglie
di sopravvivere e di costruirsi una strada. Hanno dato pane a
intere famiglie. La storia è un intreccio e i destini delle
comunità vivono altri viaggi, ma non si smette mai
di imitare chi ha tre gradini in più... Ma i gradini si possono
anche raggiungere e superare mentre la nobiltà ha altri percorsi
perché proviene da altro e ha un orizzonte che è oltre come il
lignaggio lo stile l'eleganza...
La nobiltà la porti nel sangue negli sguardi nell'essere e
nell'essere stati perché ciò che si è stati non può essere
dimenticato... La ricchezza non fa la borghesia e la nobiltà ha
un essere nella ragione... Non se se i miei figli capiranno mai
questo essere stati...
Lo zio osservava Tancredi e poi dopo il ballo si mise a
dialogare con le stelle...
Ma la vita compie il suo viaggio.
Io, a volte, mi sorprendo a raccogliere nostalgie ma poi mi
fermo perché bisogna restate nel vento del presente per capire,
per conoscere e per non smettere mai di vivere la ragione delle
proprie radici in ina nobiltà che continua nel proprio sangue...
Sono i destini che fanno la storia, ma la storia bisogna saperla
leggere e capirla fino all'estremo passo della ragione...
Non si diventa nobili per "caso"... Nobili lo si è per sangue
tra fiumi di generazioni, ma il tempo sa raccontare quando c'è
bisogno di raccontare e sa far dimenticare, ma vorrei che i miei
figli i miei nipoti i miei cari parenti di sangue e acquisti
capissero, pur non condividendo e lasciando loro il beneficio
del sorriso, che la nobiltà non è acqua con la quale si possono
riempire le pentole nelle quali cucinare il pranzo della
domenica...
Mi ha sempre infastidito consumare il pranzo di Ferragosto, con
pasta al forno e cotolette, sotto l'ombrellone pur avendo
davanti lo scroscio delle onde del mare... ma questa è un'altra
storia.. Forse da raccontate o meglio da scordare...
Ma io ho sempre ammirato la borghesia nella nobiltà e chi dici
di non stimarla ha sicuramente cercato di imitarla senza
riuscirci, semplicemente perché non sa cosa è la borghesia e non
è nella nobiltà...
Io custodisco, nei miei silenzi, l'orgoglio della nobiltà e
osservo la notte quando dialoga con le stelle e le stelle
quando, rare, si cercano nella notte...
Ma non a tutti è dato comprendere...
|
inizio pagina
|
Merita la
intitolazione di una strada il matematico calabrese Mariano
Bruni, nato a San Lorenzo del Vallo, in Calabria, cento anni
fa
di Pierfranco Bruni
“La matematica non è una scienza deduttiva: quello è un
cliché. Quando tentiamo di dimostrare un teorema, non è che
elenchiamo le ipotesi e poi iniziamo a ragionarci su. Quello
che facciamo è una serie di prove ed errori, esperimenti,
tentativi.”
Mariano Bruni era molto vicino alla lezione di
Paul Richard Halmos
(1916 – 2006).
Una lezione continuata con Snow e prima con la scuola
moderna nata tra il Cinquecento e il Settecento. Infatti sia
Charles Percy Snow,
e le sue due culture e Pascal e Leibniz nella riflessione
sulle “intermittenze” umanistiche costituiscono una
significativa chiave di lettura. Si intrecciano i parametri
delle scienze e, tra le scienze matematiche e la fisica, un
continuatore di quei ricercatori, che hanno sempre saputo
legare il modello umanistico a quello scientifico,
attraverso lo studio articolato delle algebre, ovvero dei
numeri con i quali si racconta la “cifra” dei simboli, è
stato certamente Mariano Bruni.
Mariano Bruni ha applicato, nelle sue lezioni, il
metodo scientifico – umanistico.
Un matematico, “puro” ma
anche “applicato”, dentro una formazione umanistica, che ha
sempre preso come modello Charles Percy Snow nel
sottolineare che
“coloro
che trascurano una delle due culture non sanno quello che si
perdono”.
Mariano Bruni è nato a
San Lorenzo del Vallo nel 1914. I suoi studi forti sono
stati sviluppati tra collegi e la sua
esperienza importante romana. È stato un
intellettuale che sempre è riuscito a porre all’attenzione
il confronto tra le lettere e il “racconto” della
matematica.
Da questo punto di vista
si potrebbe considerare un innovatore. Appunti sparsi,
quaderni andati perduti e un “vocabolario” dei linguaggi
parlati lo hanno sempre posto come un riferimento in una
Cosenza che guardava alle scienze della matematica con molta
attenzione.
Il suo voler insegnare la
matematica con gli strumenti di una formazione umanistica, e
mai relativista, ha significato aprire nuove strade alla
comprensione di quelle scienze che restano applicate alla
“indiscutibilità” del dato, ma Mariano Bruni creava un
“ragionamento” intorno ai risultati di una equazione,
intorno alla visione di un triangolo nelle sue forme,
intorno ad un trapezio.
La forma perfetta,
ricordo un suo dialogare proprio sulla perfezione delle
forme e sui numeri perfetti. La questione dei numeri
perfetti, Mariano Bruni la impostava in una filosofia che
comprendeva, in modo particolare Telesio, Giordano Bruno e
l’interpretazione vichiana dei cicli.
In realtà applicava la
“spiegazione” – Lezione sulla matematica non affidandosi ad
un linguaggio “arido” tra il concreto e l’astratto, nella
leggibilità e non leggibilità del numero, bensì ogni forma e
ogni numero avevano una loro partecipazione metafisica. Anzi
sosteneva che la parola stessa andava pronunciata in questi
termini Meta – Fisica. Da questo punto di visto è stato un
innovatore e lo è stato proprio nel momento in cui il
dibattito sulle scienze esatte poneva delle discussioni
interessanti sul piano del dibattito nazionale.
Il suo modello restava Michael
Polanyi con il saggio
Le due culture,
che risale del
1959. Parlava spesso di questo autore perché,
sostanzialmente, condivideva il pensiero: “Il nostro compito
non è sopprimere la specializzazione della conoscenza ma
realizzare l'armonia e la verità nell'intero dominio della
conoscenza”. La conoscenza è punto nodale tra il sapere
umanistico e quello scientifico.
L’umanesimo e la scienza, mi
diceva, dialogano nel momento in cui Spinoza incontra
Pitagora. Il sapere umanistico è dentro il sapere
scientifico. L’esempio, appunto, che spesso poneva era
incentrato sulla grecità di Pitagora. Ricordo che sosteneva
la necessità di una teoria filosofica attraverso la teoria
pitagorica.
Non creava mai steccati
tra la filosofia e la matematica perché in entrambi, lo
ricordo benissimo, è il Pensiero che prevale e quando il
Pensiero perde le coordinate è difficile comprendere perché
i numeri sono un vocabolari dentro i linguaggi della vita.
Sono elementi che hanno
una loro valenza in un processo culturale tout court, perché
è in questo processo che lo scibile umano si centralizza
come metodologia dei saperi. Un matematico puro che trovava
nella filosofia la chiave di lettura per interpretare il
rapporto tra spazio e tempo.
L’altro suo “assillo”, o
meglio pensiero pensante, scientifico e Meta Fisico. Il
Pensiero si sviluppa non solo con il mettere in discussione
dati acquisiti, ma con il dimostrare che i dati acquisiti
siano realmente tali. Ed è un “vocabolario” che ha le sue
matrici filosofiche. Mariano Bruni, si stabilisce a Cosenza,
come già detto, e diventa un riferimento per intere
generazioni.
Muore nel
novembre del 1983. Era nato cento anni fa. La sua presenza è
da prendere come modello in un contesto in cui la
discussione tra scienze e modelli umanistici resta
completamente aperta. Un esempio di matematico che ha saputo
legare le scienze alla vita e la matematica stessa alla
filosofia. Pitagora, Eraclito, Talete e Spinoza i suoi
riferimenti.
Ha sempre posto nella
lettura della matematica una visione interpretativa dei
modelli pedagogici e dei modelli educativi. Infatti,
considerato allievo della scuola formativa di Snow non
poteva che sottoscrivere considerando le due culture,
scientifica e umanistica, che “…c’è
una sola via per uscire da questa situazione: e naturalmente
passa attraverso un ripensamento del nostro sistema
educativo”.
Mariano Bruni ha saputo mettere in discussione
la visione soltanto scientifica della matematica, inserendo
la cosiddetta “scienza esatta” nella vasta problematica
delle due culture, che si pongono come ricerca e come
pensiero nell’incontro tra filosofie: umanistica e ragione.
Un filosofo amato dal Bruni è stato sempre
Husserl, ovvero mentre la matematica si serve dei numeri,
la filosofia si chiede se i numeri esistono. Ma il
matematico che studiava spesso resta, per Mariano Bruni,
André Weil (1906 – 1998), fratello
della filosofa Simone Weil:
“Niente è più fecondo, tutti i matematici lo sanno,
di quelle vaghe analogie, quegli oscuri riflessi che
rimandano da una teoria all'altra, quelle furtive carezze,
quelle discrepanze inesplicabili: niente dà un piacere più
grande al ricercatore”.
|
inizio pagina
|
|
La lingua nella Grande Guerra e le nuove
tradizioni - Intellettuali e militari
Durante la Grande Guerra si verificarono dei processi non solo
fortemente tragici ma anche culturalmente conflittuali che videro al
centro il formarsi di una nuova identità nazionale dopo la Unità
d'Italia e la Presa di Porta Pia, ovvero lo svilupparsi di un articolato
modello etnolinguistico. La lingua italiana con una forte tradizione
dibattuta tra Dante e Manzoni.
Nelle trincee si creò un nuovo linguaggio che prese atto che anche una
nuova lingua entrava nei processi identitari nazionali. Le etnie di una
Nazione legavano lingua linguaggi usi e costumi in un vero e proprio
modello culturale. È ciò che ha affermato Pierfranco Bruni durante il
Convegno "Le lingue e le etnie durante la Grande Guerra".
Una nuova lingua, ha dichiarato Bruni, che è Responsabile del Progetto
Etnie del Mibact, si è strutturata tra gli uomini che si sono trovati a
combattere sia sul fronte sia nelle trincee sia nelle campagne militari.
Non fu solo D'Annunzio ad innovare il linguaggio e la lingua, ma furano
i tanti simboli e codici cifrati che si usarono durante la preparazione
delle battaglie. Dagli intellettuali, ha ribadito Bruni, come Ungaretti
o Papini agli stessi militari che presentavano una importante formazione
culturale non solo militare ma anche classica come è il caso del Tenente
calabrese Agostino Gaudinieri che partecipò alla battaglia
sull'Isonzo che divenne un accurato bibliofilo e custode di testi di
Petrarca e Leopardi.
Il Gaudinieri era un Italo - albanese della provincia di Cosenza, la cui
lingua di origine era quella conosciuta e parlata in una comunità dalle
eredità albanesi come Spezzano Albanese, paese legato a San Lorenzo del
Vallo, dove i primi albanesi si stanziarono nel sedicesimo secolo.
L'incontro tra intellettuali e militari di formazione classica fu
importante tanto che la lingua italiana avvertì subito un arricchimento
grazie ad un vocabolario variegato e articolato. L'identità delle etnie,
ha ribadito Pierfranco Bruni, trova la sua eredità nella
appartenenza di una storia nazionale a partire, in epoca contemporanea,
dalla Prima Guerra Mondiale. Un dato, ha concluso Bruni, imprescindibile
che ha intrecciato i diversi linguaggi che hanno dato vita alla lingua
del Novecento. Il Gaudinieri è stato non solo un militare ma anche un
attento conoscitore dei processi storici e culturali, ha chiuso la sua
carriera come colonnello dell'esercito.
inizio pagina
|
QUANDO GROTTAGLIE FU ATTRAVERSATA DA D'ANNUNZIO
di Pierfranco Bruni
Quando Gabriele D'Annunzio attraversò Grottaglie il Vate aveva
già scritto i suoi versi su Taranto e sui porti di Taranto si
improvvisò in una sceneggiatura come ai tempi con Eleonora (la
Duse). Ma il "Notturno" era nel contesto di quella temperie e il
suo incontro con Raffaele Carrieri avvenne sì a Fiume, ma il
ragazzo e futuro grande poeta dei mari divisi, ovvero Carrieri,
aveva così mitizzato l'eroe di Buccari che non perse occasione
per sfiorare, proprio a Grottaglie, la giacca militare del
viaggiatore del mediterraneo attraversato con Scarfoglio e la
Serao. Il poeta che cantò Taranto e il suo Golfo si fermò a
Grottaglie. Il suo amore religioso è stato sempre il
francescanesimo e la figura di San Francesco di Paola lo
condusse all'altro Francesco, a quello di Assisi. Ma a
Grottaglie apprese le notizie del Paolano francese e si
entusiasmò al punto di annotare la possibilità di scrivere una
vita sui due Santi. Non fece nulla perché le azioni furono
sempre più veloci dei pensieri e il pensiero non ebbe la
possibilità di sedimentare in un linguaggio metaforico e
allegorico. Ma visitò sfuggendo il convento di San Francesco di
Paola. Attraversò Grottaglie e si fermò per ore frazioni o una
sosta più prolungata?
Interrogativo
che non resterà tale perché nei miei studi sulla nobiltà dei
Gaudinieri, mia nonna paterna era una Gaudinieri come avrò modo
di sottolineare nei prossimi giorni in un convegno in anteprima,
la figura di D'Annunzio era di casa. Il tenente Agostino
Gaudinieri, piú giovane di D'Annunzio ma fu decorato
sull'Isonzo nel 1916, aveva avuto modo di conoscere molto bene
il Vate, era di famiglia francescana e paolana, ed era a
conoscenza del suo attraversamento tra le strade di Grottaglie,
incuriosito soprattutto del convento dei Paolotti. Il resto
nella mia relazione che consegnerò al Convegno sulla Grande
Guerra.
D'Annunzio, comunque, era a conoscenza della nobiltà stemmata
dei Gaudinieri (stemma, tra l'altro, raffigurante una aquila con
una rosa rossa nel becco) che discendevano dai Godiner della
Francia, giunti in Calabria nella temperie rinascimentale -
barocca e il tenente Agostino Gaudinieri, zio di mio padre e
fratello della madre, era molto amico del soldato Ungaretti
Giuseppe, il quale era, anch'egli, a conoscenza del passaggio e
della presenza, incognita, di D'Annunzio a Grottaglie. Ma aver
vissuto in una famiglia con una vasta biblioteca e
personaggi che hanno segnato la storia e hanno lasciato
documenti straordinari mi permette di vivere questa "mia" storia
che resta una storia senza parentesi. La venuta di D'Annunzio a
Grottaglie... Il Convegno di Roma sulla Grande Guerra e il libro
che ricostruisce la storia della mia famiglia è un racconto che
scriverà una pagina di conoscenze e di straordinarie novità...
Tra la nobiltà dei Gaudinieri e D'Annunzio ci fu un legame
proprio durante gli anni che si preparava il Fascismo e anche
dopo...
|
|
<<
indietro
|
inizio pagina
|