STORIA DEL CASATO BRUNI - GAUDINIERI

Aristocrazia, nobiltà e cattolicesimo

 

pubblicato a Ottobre 2014 -   Costume e società

Nel Regno di Napoli la storia delle famiglie tra aristocrazia, mondo cattolico e borghesia

 

di Micol Bruni

 

Nella storia del Regno di Napoli si sono consumate divisioni non solo politiche, ma anche religiose che hanno visto al centro famiglie di tradizione borbonica e famiglie con tessuti storici liberali e realtà con eredità massoniche.

In questo Sud immenso e immerso l’Unità d’Italia si è spesa e si è sviluppata nell’inquietudine di lotte interne nei territori e diaspore tra famiglie che hanno caratterizzato i rapporti tra i ruoli istituzionali, come le municipalizzazioni, il clero, le aristocrazie e il Regno delle Due Sicilie prima, e quello di Napoli successivamente.

Il tutto all’interno di un processo che ha cercato di legare la Rivoluzione francese con la Rivoluzione napoletana. Napoli restava, comunque, il centro dal quale si governavano i territori e si gestivano.

Il mondo ecclesiastico ebbe un ruolo notevole e caratterizzante. Lo ebbe nella fase pre unitaria, nella fase di rivolta della scesa di Garibaldi nelle Calabrie e nella contestualizzazione del Regno sui Bastioni di Gaeta con Maria Sofia, l’ultima regina del Sud.

 Ci sono state famiglie che hanno svolto una funzione “particolare”.

A Spezzano Albanese la famiglia Guaglianone ebbe un ruolo strategico sia dal punto di vista di una assestata aristocrazia, sempre alla ricerca di nuovi consolidamenti e sodalizi parentali, sia dal punto di vista del posizionamento, nel territorio, con la Chiesa.

Lo ebbe anche nel momento in cui si manifestò come polo filo borbonico in un tempo di scontro tra la monarchia e i liberali e i “rivoluzionari”. Mantenne sempre la sua  fedeltà ad una tradizione che era, appunto, quella della difesa di un Regno di Napoli sotto la guida del Borbone.

Da una parte, dunque, la discendenza aristocratica, che, successivamente, si imparenta con la nobiltà dei Gaudinieri di Acri, dall’altra l’esercizio di una presenza costante all’interno della realtà ecclesiastica.

Infatti già nel 1845 don Ferdinando Guaglianone viene nominato arciprete di Spezzano Albanese. Erano gli anni in cui era arcivescovo Pietro Cilento, di chiara tradizione borbonica. Ma erano anche gli anni in cui il “modello” dei Sanfedisti reagiva ad ogni forma laicista e liberale.

La famiglia Guaglianone, oltre ad essere un ceppo filo borbonico, era anche fortemente ancorata, per tradizione, al mondo sanfedista. Proprio intorno a quegli anni (ovvero se si legge in una forbice che va dal 1844 al 1850 è ben visibilmente interpretato il contesto storico), sempre a Spezzano, fu eletto sindaco, nel 1850, Nicola Guaglianone, che subentra al liberale Francesco Candreva, il quale venne addirittura destituito.

L’arciprete don Ferdinando Guaglianone muore il 26 febbraio del 1852. Per il mondo filo borbonico è una fase complicata e non attraversata da contraddizioni e confusioni anche nel mantenere i legami con il Regno.

Soltanto nel 1874, siamo già nella stagione del dopo Porta Pia, un altro Guaglianone sarà nominato arciprete. Si tratta di don Peppino Guaglianone che venne nominato arciprete, appunto, nel 1874 e rimase parroco sino al 1901, quando gli subentrò il fratello  don Ferdinando junior.

C’è da sottolineare che don Peppino rimase sempre fedele alla tradizione borbonica, nonostante il contesto politico completamente mutato e rimase a Spezzano per ben 27 anni. Forte della sua appartenenza ad una famiglia aristocratica e devoto alla realtà del paese, nonostante non siano mancanti i contrati che avevano, comunque, sempre una matrice politica, svolse un ruolo importante per la crescita religiosa della comunità.

Una funzione rilevante la ebbe, soprattutto per i mutamenti maggiori della temperie storica, il Guaglianone junior. Una personalità spiccata e culturalmente elevata. Scrisse poesie, ricordi, discorsi, saggi vari. Era nato il 1843, figlio di Salvatore e Angela Guaglianone. La morte lo colse nel 1927. Tra le opere che lasciò a Spezzano, ci fu quella delle suore salesiane che per merito suo si stanziarono a Spezzano provenienti da Napoli. Il suo pensiero sacerdotale è, chiaramente, riscontrabile sia dalle opere sia dal suo scritto “Cari e mesti Ricordi”, che si fanno risalire al 1890.

 La famiglia Guaglianone espresse tre sacerdoti.

1845 don Ferdinando senior e rimane sino al 1852.

1874 don Peppino sino al 1901.

Da questa data sino al 1927 subentra don Ferdinando junior.

In circa Ottant’anni (precisamente 82 anni) la famiglia Guaglianone, tranne delle fasi un po’ convulse, dominò, sempre nel segno della fedeltà alla tradizione borbonica e sanfedista, la cattolicità di Spezzano.

I Guaglianone si imparentano con i Gaudinieri.

Amalia Guaglianone sposa Mariano Gaudinieri. I Gaudinieri, nobile famiglia stemmata, sono l’espressione non solo di un ceppo nobile, ma anche borghese che trova, nella aristocrazia dei Guaglianone, un incontro determinante per unire due identità vicine alla Real Casa.

Entrambe profondamente legate alla storia cattolica della Calabria, anche i Gaudinieri hanno espresso presenze significative nel mondo sacerdotale e devoti a San Francesco di Paola oltre ad essere due famiglie, Gaudinieri e Guaglianone, con una caratura di tradizione ancorata nella professione giuridica.

I Gaudinieri provengono dal mondo nobile e giuridico. Ma tra i Guaglianone ci fu un riferimento forte che fu Agostino Guaglianone, avvocato oltre ad essere stato scrittore, zio di don Ferdinando junior.

 Aristocrazia, nobiltà e cattolicesimo.

Tre elementi che sono stati dominanti nella storia di una comunità. I Gaudinieri, con Giulia, (figlia di Mariano Gaudinieri e Amalia Guaglianone) , sorella di Agostino, colonnello e decorato già nella Grande Guerra, Marietta e Domenico, si imparentano con i Bruni di San Lorenzo del Vallo.

Giulia sposa, infatti, Francesco Ermete Bruni, figlio di Adolfo e Maria Giuseppa Fortunata. La nobiltà che si lega ad una famiglia di possidenti e di commercianti che hanno dato una svolta al mercato e ai rapporti commerciali tra territorio e Regioni limitrofe.

 Una famiglia filo borbonica e una famiglia vicina ai Savoia si ritrovano in un legame che diventerà profondo. Infatti proprio durante gli anni del Fascismo avranno un ruolo significativo in un rapporto tra mondo delle Istituzioni e gerarchie politiche e militari.

In loro resta sempre presente la devozione alla cattolicità, tanto che la figura di San Francesco di Paola resta un culto fondamentale. La proprietà toccata a Giulia Gaudinieri, andata sposa a Bruni Ermete Francesco, in Spezzano Albanese, Via Nazionale, trattasi di un Casino con appezzamento di terra in vigneto, in una nicchia, sul cornicione del cancello di ingresso, c’era una statua, come vero e proprio sede di culto, devozionale  proprio di San Francesco di Paola, che risale al Diciannovesimo secolo.

Una storia che consolida le sue eredità nella stagione pre risorgimentale, le cui tradizioni hanno segni identitari più distanti nel tempo.

I Gaudinieri si radicano nell’età Barocca.

I Guaglianone presentano la loro forte consistenza identitaria nei primi anni dell’Ottocento.

Due famiglie che si legano con i Bruni in un contesto che è quello del Risorgimento ancora da compiersi, ovvero i primissimi anni del Novecento; i Bruni e i Gaudinieri segnano la continuità, di una famiglia, tra aristocrazia e borghesia.

 

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Agostino Gaudinieri, più volte decorato tra i protagonisti dell’Isonzo nella Grande Guerra

Un Arbereshe per l’Identità nazionale

  

di Micol Bruni

 La Prima Guerra Mondiale e l’identità nazionale. Si tratta di un binomio imprescindibile in un processo storico che è servito anche a dare un senso a quella Unità d’Italia che era considerata incompiuta. In una temperie che presenta diversità di letture, anche se i punti di contatto tra le Europe restano fondamentali, i processi storici e con essi i personaggi, le personalità, le politiche militari, i militari stessi, gli uomini che si sono sacrificati in nome dell’identità nazionale per la difesa della Patria, l’esercito che ha combattuto ed ha difeso l’onore e la dignità di una Nazione.

Ma sono gli uomini, i militari, i volontari, la Bandiera che hanno rappresentato, in un coro risorgimentale, l’unità per la difesa della Patria.

L’esercito ha avuto un ruolo straordinario e imponente sul piano militare certamente ma anche valori identitari. Sono quei soldati che si sono immolati nel nome dell’Italia in una guerra che apriva un’età delle società alla modernità attraverso i valori di identità nazionale.

Anche il ruolo degli Italo – albanesi è stato fondamentale, come lo era stato negli anni dell’Unità d’Italia e di tutto il Risorgimento. Soprattutto la Prima Guerra Mondiale, dopo i fatti di Cirenaica e Tripolitania e i Governi Giolitti, ha segnato uno spartiacque tra l’epoca immediatamente post unitaria e la stagione che ha attraversato il difficile scontro tra una eredità completamente nazionale e il mondo austriaco, austro – ungarico e tedesco.

L’Italia senza il valoroso esempio e sacrificio dei militari avrebbe avuto serie difficoltà. E tra questi, appunto, hanno avuto una funzione particolare anche gli Italo – albanesi, che, discendenti di Scanderbeg, da militari hanno posto come riferimento l’Onore per la Bandiera.

Tra i soldati, militari ufficiali, ricorre spesso il nome di Agostino Gaudinieri. Il Gaudinieri, nato a Spezzano Albanese il 28 luglio del 1892, che arriverà a rivestire successivamente il ruolo di Colonnello, viene nominato con Regio decreto del 16 aprile del 1914 Sottotenente di complemento di Fanteria, la cui nomina viene pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia” in data 18 maggio 1914, numero 117.

Mentre, due anni dopo, il Ministero della Guerra con Disposizione sugli Ufficiali in Servizio Permanente, sempre Arma di fanteria, adotta un provvedimento per la promozione a Tenente con Decreto Luotenenziale del 24 agosto 1916, Decreto che viene pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia” de 14 settembre 1916, numero 217.

Più volte distintosi per le sue azioni e più volte ferito viene molte volte decorato.

In qualità di Sottotenente di complemento del suo Reggimento di fanteria venne decorato  perché “ferito più volte mentre conduceva energicamente il suo plotone in soccorso di altri reparti, non si allontanava dal combattimento. Bosco Cappuccio, 20 luglio 1916”, così si legge negli Atti ufficiali(http://www.istitutonastroazzurro.org/). Precedente, dunque, alla nomina di Tenente.

In una ricostruzione sui decorati di guerra lo storico Ferdinando Cassiani, successivamente citato nello studio di Alessandro Serra, ebbe a scrivere: “…fra le insidie di Bosco Cappuccio, Agostino Gaudinieri, magnifica tempra di ufficiale, tre volte ferito, merita la medaglia d’argento al valore militare” (in Ferdinando Cassiani, “Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia”, 1929 e poi ripreso da Alessandro Serra in “Spezzano Albanese nella vicende storiche sue e dell’Italia (1470 – 1945)” del 1987.

Agostino Gaudinieri ebbe una carriera brillante sino ad arrivare a colonnello dell’esercito ed ebbe un ruolo particolare sia durante il passaggio dalla Marcia su Roma alle Leggi Fasciste sia durante gli anni del Regime. Sempre al servizio dell’esercito fu un punto di riferimento nell’ambito dei rapporti tra la vita militare, l’attività del Regime e la Monarchia.

Era figlio di una nobile famiglia di Spezzano Albanese, ecco le sue origini Arbereshe (Italo – albanesi). La madre la nobile Amalia Guaglianone e il padre il nobile Mariano Gaudinieri, le cui discendenze risalgono alla nobiltà di Acri tra il tardo Rinascimento e l’età pre Illuminista. Aveva altre due sorelle: Giulia e Marietta e un fratello di nome Domenico.

Fu una personalità importante e imponente nella Calabria tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Visse, dopo i natali di Spezzano Albanese, a Cosenza con proprietà anche a Mendicino, in provincia di Cosenza.

La sua figura rientra nel quadro delle riproposte di quegli eroi di guerra che hanno combattuto portando alto il vessillo d’Italia. Infatti a Bosco Cappuccio, lungo il fiume Isonzo, si svolse una dura battaglia, che vide l’esercito italiano impegnato in prima fila a difendere il destino della Patria.

Agostino Gaudinieri, più volte decorato, fu un protagonista di quella “resistenza” in nome dell’Italia. Una personalità di alto profilo al quale andrebbe intitolata certamente una strada e andrebbe ricordato come uno dei personaggi, di quegli eroi che hanno fatto l’Italia, che hanno combattuto in nome dell’identità nazionale e che hanno portato alto il vessillo del Tricolare e dell’Esercito italiano. Un italiano, dalle radici Arbereshe, nella storia che va dall’Interventismo a tutta la seconda guerra mondiale e oltre.

 

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LA NOBILTA' BRUNI - GAUDINIERI

Dalle Real Case al Fascismo tra nobiltà e borghesia.

Un Sud che va riletto

 

 di Micol Bruni

 

Non c’è mai una nobiltà nascosta come non può esserci una nobiltà mascherata. C’è una nobiltà che riesce costantemente a vivere in un confronto con il territorio, mai dimenticando le sue origini e la sua dinastia, mai dimenticando i processi identitari e le eredità che hanno attraversato la storia.

La storia ha sempre un senso, soprattutto quando una dinastia ha come riferimento la tradizione.

La nobiltà dei Gaudinieri vive, la nobiltà e i codici della loro nobiltà, nella storia con la umiltà, consapevole che c’è un quadro in cui il senso stesso della storia ha una sua geografia,  le cui ramificazioni interessano ed hanno interessato altri ceppi e altri nuclei di famiglie che hanno esercitato una loro precisa funzione come l’esercizio amministrativo, l’esercizio politico, la capacità di manifestare precisi riferimenti, in un intreccio di “tavole” in cui è ben presente il legame tra una stratigrafia nobiliare  e  tra titoli e possedimenti di beni.

Se i Gaudinieri, pur manifestando, inizialmente, una vicinanza a Casa Savoia, soprattutto durante gli anni del Fascismo, insieme alla famiglia Bruni, i Guaglianone restano fedeli, almeno sino al 1927, alla Casa Reale Borbone. Ma sia nei Gaudinieri che nei Guaglianone c’è un forte assenso nei confronti del Fascismo, di quel Fascismo, che nei Gaudinieri soprattutto, prenderà maggiormente penso quando il Fascismo diventa Regime.

Ma il Fascismo dei Gaudinieri – Bruni, sono, comunque, i Bruni i veri propugnatori di un Fascismo “popolare”, è mantenuto fermo da un ideale profondo che è quello dell’identità nazionale, dell’identità alla Patria, dell’approvazione mussoliniana ad una storia d’Italia che pone come premessa la romanità.

Questo fino al 1938. Dopo tale data comincia ad assumere una forma dialettica, soprattutto nei Bruni, il vero e proprio patto politico e di fede con il Fascismo, per consolidarsi, nuovamente e fortemente, dopo la notte del Gran Consiglio.

Il 1938, soprattutto nei Bruni, è l’anno della discussione, insieme ai Gaudinieri, delle Leggi razziali e della stretta con Hitler. Due momenti cruciali che non sono considerati positivi dal ramo delle due famiglie e la discussione si apre ad un articolato dibattito proprio all’interno della famiglia.

Ma il legame con il Fascismo si ricompatta e si rafforza sia dopo il 25  luglio del 1943 e soprattutto dopo l’Otto settembre del 1943. I Bruni del capostipite Ermete Francesco, restano fascisti anche dopo che il Fascismo non c’è più.

Comunque il 25 luglio e l’Otto settembre, diventano due date fatidiche.

Leggono nell’Otto settembre il disfacimento di quell’identità nazionale alla quale avevano dedicato tutto un processo storico e politico: sia all’interno dei Bruni con la loro antica  vicinanza ai Savoia sia per chi resta sempre fedele alla cultura e alla tradizione Borbone.

Il rapporto con Mussolini si riconsolida. Durante la Repubblica Sociale di Salò restano Fascisti e sposano in pieno la causa dei repubblichini, riscoprendo il modello rivoluzionario che porterà i Bruni a diffidare degli atteggiamenti di Vittorio Emanuele III. Ed è in questa fase che la stagione fascista dei Bruni si fortifica nel “mussolinismo”.

Il colonnello Agostino Gaudinieri, fratello di Giulia, andata in sposa ad Ermete Francesco, difenderà l’onore della Patria tradita costantemente.

Resterà fascista sino alla morte il Bruni Ermete Francesco (1979) con la coerenza dei vinti e nella nobiltà di una idea mai tradita.

Dei cinque fratelli, Adolfo, Mariano, Virgilio Italo, Luigi (Gino) e Pietro, soltanto Mariano manifesterà le sue perplessità e sarà molto scettico sia sul destino del post fascismo, ma anche fortemente dialettico intorno al dibattito, interno alla famiglia, sullo stesso Fascismo, anche se sposerà Maria Notti, figlia di una personalità più in vista della Fascismo calabrese, che parteciperà a molte e significative azioni, che resterà sempre fedele alla causa mussoliniana.

Ci saranno delle belle e forti discussioni politiche sia tra i quattro fratelli rimasti ancorati alla tradizione fascista e Mariano che esprimeva idee liberali e molto aperte sul valore delle nuove democrazie europee. Idee manifestate con un convinzione culturale e storica.

D’altronde, da matematico, leggeva la storia con la severità scientifica dando una interpretazione ai processi ideologici e alle forme di potere.

Gino dava un senso alla politica, attraversando i valori giuridici e ponendo all’attenzione una visione amministrativa della cosa pubblica.

Il più politicizzato e il più fortemente coinvolto ad una tradizione fascista, ma ampiamente disponibile ad una articolata dialettica storica, che ha attraversato la lettura ultima del Fascismo interpretato da Renzo De Felice ma soprattutto da Tripodi e Pisanò, di cui era profondo conoscitore, oltre ad Adolfo, è rimasto, sino alla fine, mai rinnegando nulla e mai ponendo in discussione i miti, i simboli e le “regole” ai quali aveva creduto per tutta una vita, Virgilio Italo.

Non ha mai scisso i due rami, quello Gaudinieri da quello Bruni, consolidando però, nelle sue posizioni, la frattura, proprio nella stagione 1943 – 1945, tra ciò che aveva incarnato Casa Savoia con l’arresto di Mussolini, e ciò che Mussolini aveva rappresentato e avrebbe rappresentato sino al 1945 e ciò che avrebbe trasmesso politicamente e ideologicamente negli anni successivi.

È chiaro che, nella famiglia, si respirava un clima antibadogliano. Si trattava, chiaramente, dalla loro posizione, e gli elementi politici sono evidenziabili, ad una fedeltà mai taciuta e sempre rappresentata sia nei confronti del Fascismo (nascente e poi consolidato) sia nei confronti dello stesso Mussolini.

La famiglia Bruni di San Lorenzo del Vallo, insieme a quella di Amleto Marchianò, molto vicino ai Bruni, fu un ceppo imparentato con i nobili stemmati dei Gaudinieri, imparentati a loro volta con i filo borbonici Guaglianone.

È un quadro storico che permette di ricontestualizzare una pagina significativa sia delle famiglie del cosentino provenienti da altri territori, ma permette anche di “riscrivere” pagine che hanno permesso di capire correttamente il rapporto tra politica, territorio, famiglie e borghesia.

Nei testi di storia locale, soprattutto in Scorza, “S. Lorenzo del Vallo (spigolature storiche)”, 1986 e in Serra, “Spezzano Albanese nelle vicende storiche sue e dell’Italia (1470 – 1945), 1987, molto più accorto, comunque, e attento dello Scorza su alcuni spaccati, molti degli elementi qui menzionati sono completamente assenti.

Resta il fatto certo che, Scorza non menziona e non cita neppure, le famiglie nobiliari e che hanno governato il paese sono stati dei riferimenti che hanno testimoniato la loro presenza con le opere e le azioni.

I Bruni – Gaudinieri sono stati dei riferimenti sia culturali sia politici che economici oltre al ramo della nobiltà della famiglia Gaudinieri presente, con i Bruni a San Lorenzo del Vallo. La storia si ricostruisce ricontestalizzandola nella sua continuità. Non possono esistere parentesi e la continuità è anche una coerenza che parte da Spezzano dal legame Guaglianone – Gaudinieri e da San Lorenzo da Bruni – Gaudinieri.

Due ceppi che hanno rappresentato nuclei centrali all’interno del territorio e costituiscono una chiave di lettura per comprendere ciò che è stata la borghesia tra fine Ottocento e meta Novecento e l’insistenza del ceto nobiliare dalla metà del Seicento, tramandatosi nell’Ottocento, sino a tutto il Novecento.

La famiglia Bruni – Gaudinieri, con i cinque fratelli, resta un contatto singolare con il territorio attraverso la proprietà terriera, la borghesia e la nobiltà.

Giulia Gaudinieri in Bruni, un’antica famiglia nello stemma, ma anche nella bellezza dei gioielli che sono stati tramandati da famiglia a famiglia.

Gioielli della Casata Gaudinieri di Spezzano. Molti andati dispersi, altri portati in dote, altri introvabili, ma rappresentano un raccordo estetico tra il senso della bellezza degli ori, la capacità imprenditoriale commerciale e una caratteristica della borghesia in un determinato contesto della storia tra Ottocento e Novecento.

Il tutto nel quadro di una visione politica tra Casa Borbone, Savoia e Fascismo da una parte e mondo cattolico dall’altro.

Attraverso la storie delle famiglie, che sono state protagoniste, c’è un Sud che va riletto, e quindi ricontestualizzato ricontestualizzando tutto ciò che è stato Regno di Napoli,  tra Risorgimento, le Real Case, borghesia e nobiltà.

 

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Chi ha avuto ed ha una nobiltà non può che restare perno centrale nella vita della famiglia e nello stile tra i Bruni – Gaudinieri.

Nulla si dimentica perché tutto è nella Tradizione

 di Pierfranco Bruni

 Il tempo della storia è  un tempo che ha sempre una cronologia che si misura con il quotidiano. Nei paesi c'è una particolare rappresentazione del tempo. Ed è quello della lentezza. La lentezza è sostanzialmente una geografia in cui l'esistere  è il cammino proprio nell'intreccio tra la storia e la fine della storia.

Non esiste una storia che sia verità o che possa essere considerata la verità.

Ogni generazione ha una sua storia vissuta nel tentativo di afferrare il tramite tra il sapere la conoscenza con il dividere la realtà. In questa frattura si consuma il senso e l'abbandono, la caduta e la dignità, l'orgoglio e la consapevolezza di una tradizione che ha la sua profonda nobiltà.

Spesso penso al viaggio che mio padre ha attraversato.

Spesso ritrovo, nel ricordo che i cinque fratelli mi hanno consegnato, un tempo mancante, ma ricco, imponente, forte che cammina lungo i miei passi.

Cinque fratelli che hanno disegnato quella storia che oltre a ricamare il tempo ha tracciato un destino.

 

Il concetto di destino resta legato profondamente al passaggio dei cinque fratelli che hanno viaggiato tra un presente sempre rimasto presente e una tradizione che ha la ramificazione forte nel concetto di eredita spirituale.

Io ho vissuto e vivo nel cuore della dignità.

Una dignità che ha permesso alla mia e nostra storia di restare storia nel destino e semplicemente di vivere tutto ciò dentro una griglia simbolica.

L'aquila è un simbolo fondamentale.

L'aquila che è  lo stemma della famiglia Giardinieri porta sul capo una corona. Sono rimasto a lungo a riflettere su questa visione fatta di archetipi.

Ho già detto che l’aquila e il serpente (serpentello) sono i due simboli che caratterizzano il vero e proprio “topos” di una famiglia che ha segnato un percorso nella storia di civiltà. Ma ciò non è ricordo.

La storia che vive nel tempo attraverso la cifra dei documenti ma la memoria, a volte, è più forte degli stessi documenti  di ciò che mia figlia chiama le fonti e sulle quali si basa, secondo lei, assillandomi a volte, tutta la dimensione della storia.

È vero, ma io, proustianamente, resto legato al racconto che vive di ricordi, di dettagli, di piccoli segni.

Di quei piccoli segni che ci hanno portato a ricostruire il disegno di una famiglia e che Giulia, Giulia che chiamavamo di Cosenza, Giulia di zio Mariano e zia Maria, mi ha permesso di leggere con un quadro in cui l’immagine e il ricordo sono un intreccio forte.

 

Nella vita basta, a volte, un piccolo angolo che non vedi più da anni e poi rivedi, per  costruire un viaggio. Ho sempre un luogo fisso nel mio immaginario che è lo studio di zio Mariano nella casa di Cosenza di Viale del Re, come si chiamava, la via, una volta. È diventato per me un quadro, poi uno specchio, poi un luogo – pensiero.

Forse proprio nei dialoghi antichi con lui, in quei dialoghi di affetto e di rimproveri, ho ritrovato, ricordando e ricostruendo, una memoria che nel tempo che passa rimane come testimonianza e come insegnamento.

 

Io a lui, a zio Mariano, devo molto. Un capitolo già scritto e che non dimentico mai.

Ora che ho rivisto le sue foto, la sua giovinezza tra piccole e grandi immagini, in una Roma che mi ha appartenuta e mi appartiene ho ritrovato molte somiglianze.

Una città, un paese dal quale siamo partiti, un lavoro sulle scienze e sulle matematiche da parte di Mariano, un paese, una città e un lavoro forte sulle letteratura e sulla cultura umanistica da parte mia.

Luoghi che sono stati suoi sono stati e continuano ad essere anche miei.

Poi c’è anche Taranto. Zio Mariano ha amato Taranto. In quanti Esami di Stato, nelle Commissioni scolastiche, è stato protagonista Mariano proprio a Taranto e quel mare di molte sue estati è diventato poi il mio mare.

Osservare la vita con la forte passione, tuffandosi dentro le questione, e il saper vivere anche con distacco.

Non mi ha meravigliato tanto quando, non molti giorni fa, un conoscente di antica data mi ha detto che vedendomi gli ho portato negli occhi l’immagine di Mariano, di zio Mariano, di Don Mariano come continuano tutti, ricordandolo, a chiamarlo a San Lorenzo del Vallo.

 

È proprio vero che c’è un tempo della storia e una storia che continua a vivere senza tempo. È certo che ogni storia è sempre parziale e resta, come sempre, un viaggio, ma anche un vissuto, incompiuto.

Si tratta di una legge che permette di non chiudere definitivamente i capitoli della nostra esistenza. Tra i cassetti delle scrivanie della mia grande casa di paese ritrovo quaderni, appunti, foglietti sparsi di mio padre. Ho ritrovato anche le date di alcuni appuntamenti.

Posso dire con consapevolezza che se il paese che ha visto le mie radici rimane San Lorenzo, la città che mi ha formato è stata Cosenza. Anche il liceo che ho frequentato a Spezzano era una sezione staccata del Liceo G.B. Scorza di Cosenza, poi il mio percorso scolastico è stato altro ed è qui che zio Mariano ha avuto un ruolo fondamentale e decisivo.

Incontro spesso amici che lo hanno conosciuto.

 

Come è misterioso il cammino. Ma resta, comunque, centrale l’amore tra i cinque fratelli: Adolfo, Mariano, mio padre Virgilio Italo, Gino e Pietro. Una solidarietà e una intesa che  si sono portati nel sangue.

Sangue Bruni e Gaudinieri.

Cinque fratelli che hanno posto al centro sempre l’amore, la dignità, l’orgoglio e quella antica nobiltà che la si eredita perché alla fine poi diventa, inconsapevolmente, parte integrante del proprio vivere, ma anche del proprio stile e del proprio essere.

Gli anni sono passati. Possono passare epoche ma io vorrei che questa famiglia non dimenticasse mai di essere Bruni e Gaudinieri.

 

I miei figli, i figli dei figli dei cinque fratelli non devono, non possono, dimenticare.

E questo non dimenticare dovrebbe diventare un riferimento nonostante il passare e il passaggio di anni e di stagioni.

Chi ha avuto una nobiltà, quell’eleganza dell’essere nobile, nel sangue e nei comportamenti, non può che restare perno centrale nella vita della famiglia e nello stile.

Io continuo a credere a questo senso della tradizione perché la tradizione non è mai un vizio. È sempre una virtù.

Quando mio padre è andato via, tra i suoi sette gradini come egli stesso diceva, è andato via il depositario di una storia che io posso decifrare, ora, soltanto con i ricordi e con gli incontri che il destino mi ha offerto.

Ho letto negli incontri pagine che non conoscevo.

Ci sono patrimoni che non possono essere scalfiti. Patrimoni che restano nel sangue.

I cinque fratelli sono stati storia e hanno rappresentato la storia.

Siamo noi, gli eredi, quegli eredi che credono nella continuità di un legame nella tradizione dei valori e dei comportamenti, che non devono arrendersi e devono guidare la nave tra gli orizzonti e le frontiere.

Provo gioia e mi ritrovo e ritrovo antichi costumi quando  discuto con Antonella, la figlia di zio Adolfo.

Provo orgoglio, felicità, per tutto un passato mai dismesso dalla mia anima, e sorriso quando ascolto le parole di Giulia di zio Mariano, il vero punto di riferimento dei Bruni – Gaudinieri.

Perché lei, Gilia di zio Mariano e zia Maria, è la sintesi di una storia e di conoscenze che riprendono vita pur nella distanza di epoche e di temperie.

 

Non conoscevo lo stemma dei Gaudinieri, eppure ho scritto un libro, quando è morto mio padre, dal titolo “Come un volo d’aquila”.

Lo stemma con l’aquila è, da parte mia, conoscenza recente…

Ma il destino legge sempre nel cuore e nell’anima e i simboli vivono in noi inconsapevolmente. Ma sono fatti che ho già scritto e raccontato.

E qui finisco il mio scrivere e come don Fabrizio resto ad osservare le stelle o a cercarle o a dialogare con loro.

Mia dolce notte o mia dolce stella, il cammino è lungo, ma la lunghezza del cammino ha anche scorciatoie…

Resterò affacciato alla finestra che butta sul mare e in cielo le stelle hanno il loro intreccio e il loro destino…

I cinque fratelli non sono solo storia. Sono nella vita dei destini… che mi accompagnano che ci accompagnano…

 

Nelle foto da sin: Mariano Bruni, Pierfranco e Virgilio Italo Bruni, Ermete Francesco Bruni, Giulia Gaudinieri con in braccio Giulia di Cosenza, Mariano e Virgilio Italo

 

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Se custodire la nobiltà è dare memoria e senso a un tempo che non c'è più

d Pierfranco Bruni


Mi convinco sempre più che le famiglie fanno la storia delle comunità.  Non bisogna mai avere rimorsi. La vita può essere un racconto tra nostalgie e vissuti, tra ricordi che diventano memorie, tra il quotidiano che cammina nel presente e il desiderio di creare le vie del futuro.
La vita ha sempre un bussare alla porta del destino pur coltivando il silenzio. Posso avere tante speranze andate smarrite ed è anche giusto, ma non mi permetterò mai di avere rimorsi.
Posso avere una filigrana di rimpianti, e cerco di non averne, ma mai dovrò avere pentimenti. Rimorsi e pentimenti non tracciano la mia strada.

Mio padre mi ha suggerito sempre di saper guardare negli occhi e di giocare a carte scoperte lungo i giorni. Io ho sempre vissuto questo insegnamento. Le finzioni e le maschere non hanno senso quando si ha il coraggio e la nobiltà  di ascoltare, nel tempo che passa o che è passato, l'orgoglio della propria dignità.

Cosa è stata questa mia famiglia nell'attraversamento dei secoli?

Cerco di costruire, con la fantasia del mistero che non mi abbandona, la "stirpe" dei Bruni - Gaudinieri.


Una grande famiglia. Tra commercianti, che hanno segnato un'epoca, educatori e uomini di legge e matematici. Il mio spazio di viaggio si ferma a ciò che ho vissuto. Volutamente. A ciò che ho conosciuto. Volutamente. A ciò che ho visto.

Ma la storia ha profondità di radici.
I Bruni sono stati, alla metà dell'Ottocento, i primi commercianti nei tabacchi.

Ci sono storie dentro le storie. I primi a confrontarsi con la "coltivazione" della liquirizia in quel territorio chiamato il Concio, ovvero "U' Cuonzo". I primi a portare nelle Calabrie il sale raffinato dalle saline. I primi a realizzare una economia a rete in un territorio soltanto a vocazione agricola. Sono stati innovatori per stagioni e anni e hanno realizzato le prime imprese, quelle che venivano definite ditte.
Il coraggio di scommettere. Il coraggio di investire ponendo come rete di una economia il commercio. Gli antichi commercianti hanno sempre avuto l'anima dei mercanti arabi in un tempo in cui il mercato cambiava le strutture dell'economia e dei paesi.

Per decenni sono stati riferimento in una geografia territoriale molto ampia. Non smetto di leggere Italo Svevo  anche per questo motivo, mentre i Buddenbrook di Thomas Mann mi accompagnano costantemente.
I Bruni - Gaudinieri sono stati tra i Buddenbrook e i Gattopardi. Il commercio, la nobiltà e le terre. Proprietari terrieri. Sia l'una che l'altra famiglia. E la tetta si legava alle famiglie che hanno solcato la storia. Quella con la verità e che non appartiene alle spigolature.
Nella storia dei Gaudinieri ci sono nobiltà stemmati e personalità militari che  hanno  retto la Monarchia sabauda. Il colonnello al servizio del Re. Parentati tra radici greche e mediterranee  e origini albanesi mai perde e msi rinnegate. Anzi una dinastia che continua von l'orgoglio della consapevolezza.

La borghesia e la nobiltà si sono intrecciate in una Calabria che non smette di recitate il tempo delle terre occupate con i forconi. Ma questa è soltanto antropologia e folclore, mentre la storia vera è nella verità delle famiglie che hanno dato un senso alle comunità. Senza un legame tra la borghesia e il ceto nobile la Calabria e il Sud sarebbero state province affiliate ad Imperi stranieri. Senza l'anima della borghesia - nobiltà non ci si sarebbe salvati dalla miseria e dalla povertà dei paesi.
I Bruni - Gaudinieri hanno dato la possibilità a molte famiglie di sopravvivere e di costruirsi una strada. Hanno dato pane a intere famiglie. La storia è un intreccio e i destini delle comunità vivono altri viaggi, ma non   si smette mai di imitare chi ha tre gradini in più... Ma i gradini si possono anche raggiungere e superare mentre la nobiltà ha altri percorsi perché proviene da altro e ha un orizzonte che è oltre come il lignaggio lo stile l'eleganza...

La nobiltà la porti nel sangue negli sguardi nell'essere e nell'essere stati perché ciò che si è stati non può essere dimenticato... La ricchezza non fa la borghesia e la nobiltà ha un essere nella ragione... Non se se i miei figli capiranno mai questo essere stati...

Lo zio osservava Tancredi e poi dopo il ballo si mise a dialogare con le stelle...

Ma la vita compie il suo viaggio.
Io, a volte, mi sorprendo a raccogliere nostalgie ma poi mi fermo perché bisogna restate nel vento del presente per capire, per conoscere e per non smettere mai di vivere la ragione delle proprie radici in ina nobiltà che continua nel proprio sangue...
Sono i destini che fanno la storia, ma la storia bisogna saperla leggere e capirla fino all'estremo passo della ragione...

Non si diventa nobili per "caso"... Nobili lo si è per sangue tra fiumi di generazioni, ma il tempo sa raccontare quando c'è bisogno di raccontare e sa far dimenticare, ma vorrei che i miei figli i miei nipoti i miei cari parenti di sangue e acquisti capissero, pur non condividendo e lasciando loro il beneficio del sorriso, che la nobiltà non è acqua con la quale si possono riempire le pentole nelle quali cucinare il pranzo della domenica...

Mi ha sempre infastidito consumare il pranzo di Ferragosto, con pasta al forno e cotolette, sotto l'ombrellone pur avendo davanti lo scroscio delle onde del mare... ma questa è un'altra storia.. Forse da raccontate o meglio da scordare...
Ma io ho sempre ammirato la borghesia nella nobiltà e chi dici di non  stimarla ha sicuramente cercato di imitarla senza riuscirci, semplicemente perché non sa cosa è la borghesia e non è nella nobiltà...

Io custodisco, nei miei silenzi, l'orgoglio della nobiltà e osservo la notte quando dialoga con le stelle e le stelle quando, rare, si cercano nella notte...
Ma non a tutti è dato comprendere...

 

 

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Merita la intitolazione di una strada il matematico calabrese Mariano Bruni, nato a San Lorenzo del Vallo, in Calabria, cento anni fa

 

di Pierfranco Bruni

 

“La matematica non è una scienza deduttiva: quello è un cliché. Quando tentiamo di dimostrare un teorema, non è che elenchiamo le ipotesi e poi iniziamo a ragionarci su. Quello che facciamo è una serie di prove ed errori, esperimenti, tentativi.” Mariano Bruni era molto vicino alla lezione di Paul Richard Halmos (1916 – 2006).

Una lezione continuata con Snow e prima con la scuola moderna nata tra il Cinquecento e il Settecento. Infatti sia Charles Percy Snow, e le sue due culture e Pascal e Leibniz nella riflessione sulle “intermittenze” umanistiche costituiscono una significativa chiave di lettura. Si intrecciano i parametri delle scienze e, tra le scienze matematiche e la fisica, un continuatore di quei ricercatori, che hanno sempre saputo legare il modello umanistico a quello scientifico, attraverso lo studio articolato delle algebre, ovvero dei numeri con i quali si racconta la “cifra” dei simboli, è stato certamente Mariano Bruni.  Mariano Bruni ha applicato, nelle sue lezioni, il metodo scientifico – umanistico.

 Un matematico, “puro” ma anche “applicato”, dentro una formazione umanistica, che ha sempre preso come modello Charles Percy Snow nel sottolineare che  coloro che trascurano una delle due culture non sanno quello che si perdono”.  

Mariano Bruni è nato a San Lorenzo del Vallo nel 1914. I suoi studi forti sono stati sviluppati tra collegi e la sua  esperienza importante romana. È stato un intellettuale che sempre è riuscito a porre all’attenzione il confronto tra le lettere e il “racconto” della matematica.

Da questo punto di vista si potrebbe considerare un innovatore. Appunti sparsi, quaderni andati perduti e un “vocabolario” dei linguaggi parlati lo hanno sempre posto come un riferimento in una Cosenza che guardava alle scienze della matematica con molta attenzione.

 Il suo voler insegnare la matematica con gli strumenti di una formazione umanistica, e mai relativista, ha significato aprire nuove strade alla comprensione di quelle scienze che restano applicate alla “indiscutibilità” del dato, ma Mariano Bruni creava un “ragionamento” intorno ai risultati di una equazione, intorno alla visione di un triangolo nelle sue forme, intorno ad un trapezio.

La forma perfetta, ricordo un suo dialogare proprio sulla perfezione delle forme e sui numeri perfetti. La questione dei numeri perfetti, Mariano Bruni la impostava in una filosofia che comprendeva, in modo particolare Telesio, Giordano Bruno e l’interpretazione vichiana dei cicli.

In realtà applicava la “spiegazione” – Lezione sulla matematica non affidandosi ad un linguaggio “arido” tra il concreto e l’astratto, nella leggibilità e non leggibilità del numero, bensì ogni forma e ogni numero avevano una loro partecipazione metafisica. Anzi sosteneva che la parola stessa andava pronunciata in questi termini Meta – Fisica. Da questo punto di visto è stato un innovatore e lo è stato proprio nel momento in cui il dibattito sulle scienze esatte poneva delle discussioni interessanti sul piano del dibattito nazionale.

Il suo modello restava Michael Polanyi con il saggio Le due culture,  che risale del 1959. Parlava spesso di questo autore perché, sostanzialmente, condivideva il pensiero: “Il nostro compito non è sopprimere la specializzazione della conoscenza ma realizzare l'armonia e la verità nell'intero dominio della conoscenza”. La conoscenza è punto nodale tra il sapere umanistico e quello scientifico.

L’umanesimo e la scienza, mi diceva, dialogano nel momento in cui Spinoza incontra Pitagora. Il sapere umanistico è dentro il sapere scientifico. L’esempio, appunto, che spesso poneva era incentrato sulla grecità di Pitagora. Ricordo che sosteneva la necessità di una teoria filosofica attraverso la teoria pitagorica.

Non creava mai steccati tra la filosofia e la matematica perché in entrambi, lo ricordo benissimo, è il Pensiero che prevale e quando il Pensiero perde le coordinate è difficile comprendere perché i numeri sono un vocabolari dentro i linguaggi della vita.

Sono elementi che hanno una loro valenza in un processo culturale tout court, perché è in questo processo che lo scibile umano si centralizza come metodologia dei saperi. Un matematico puro che trovava nella filosofia la chiave di lettura per interpretare il rapporto tra spazio e tempo.

 L’altro suo “assillo”, o meglio pensiero pensante, scientifico e Meta Fisico. Il Pensiero si sviluppa non solo con il mettere in discussione dati acquisiti, ma con il dimostrare che i dati acquisiti siano realmente tali. Ed è un “vocabolario” che ha le sue matrici filosofiche. Mariano Bruni, si stabilisce a Cosenza, come già detto, e diventa un riferimento per intere generazioni.

 Muore nel novembre del 1983. Era nato cento anni fa. La sua presenza è da prendere come modello in un contesto in cui la discussione tra scienze e modelli umanistici resta completamente aperta. Un esempio di matematico che ha saputo legare le scienze alla vita e la matematica stessa alla filosofia. Pitagora, Eraclito, Talete e Spinoza i suoi riferimenti.

Ha sempre posto nella lettura della matematica una visione interpretativa dei modelli pedagogici e dei modelli educativi. Infatti, considerato allievo della scuola formativa di Snow non poteva che sottoscrivere considerando le due culture, scientifica e umanistica, che “…c’è una sola via per uscire da questa situazione: e naturalmente passa attraverso un ripensamento del nostro sistema educativo”.

Mariano Bruni ha saputo mettere in discussione la visione soltanto scientifica della matematica, inserendo la cosiddetta “scienza esatta” nella vasta problematica delle due culture, che si pongono come ricerca e come pensiero nell’incontro tra filosofie: umanistica e ragione. 

Un filosofo amato dal Bruni è stato sempre Husserl, ovvero mentre la matematica si serve dei numeri,  la filosofia si chiede se i numeri esistono. Ma il matematico che studiava spesso resta, per Mariano Bruni, André Weil (1906 – 1998), fratello della filosofa Simone Weil: “Niente è più fecondo, tutti i matematici lo sanno, di quelle vaghe analogie, quegli oscuri riflessi che rimandano da una teoria all'altra, quelle furtive carezze, quelle discrepanze inesplicabili: niente dà un piacere più grande al ricercatore”.

 

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La lingua nella Grande Guerra e le nuove tradizioni - Intellettuali e militari

 

Durante la Grande Guerra si verificarono dei processi non solo fortemente tragici ma anche culturalmente conflittuali che videro al centro il formarsi di una nuova identità nazionale dopo la Unità  d'Italia e la Presa di Porta Pia, ovvero lo svilupparsi di un articolato modello etnolinguistico. La lingua italiana con una forte tradizione dibattuta tra Dante e Manzoni.

Nelle trincee si creò un nuovo linguaggio che prese atto che anche una nuova lingua entrava nei processi identitari nazionali. Le etnie di una Nazione legavano lingua linguaggi usi e costumi in un vero e proprio modello culturale. È ciò che ha affermato Pierfranco Bruni durante il Convegno "Le lingue e le etnie durante la Grande Guerra".

Una nuova lingua, ha dichiarato Bruni, che è Responsabile del Progetto Etnie del Mibact, si è strutturata tra gli uomini che si sono trovati a combattere sia sul fronte sia nelle trincee sia nelle campagne militari.

Non fu solo D'Annunzio ad innovare il linguaggio e la lingua, ma furano i tanti simboli e codici cifrati che si usarono durante la preparazione delle battaglie. Dagli intellettuali, ha ribadito Bruni, come Ungaretti o Papini agli stessi militari che presentavano una importante formazione culturale non solo militare ma anche classica come è il caso del Tenente calabrese  Agostino Gaudinieri che partecipò alla battaglia sull'Isonzo che divenne un accurato bibliofilo e custode di testi di Petrarca e Leopardi.

Il Gaudinieri era un Italo - albanese della provincia di Cosenza, la cui lingua di origine era quella conosciuta e parlata in una comunità dalle eredità albanesi come Spezzano Albanese, paese legato a San Lorenzo del Vallo, dove i primi albanesi si stanziarono nel sedicesimo secolo.

L'incontro tra intellettuali e militari di formazione classica fu importante tanto che la lingua italiana avvertì subito un arricchimento grazie ad un vocabolario variegato e articolato. L'identità delle etnie, ha ribadito  Pierfranco Bruni, trova la sua eredità nella appartenenza di una storia nazionale a partire, in epoca contemporanea, dalla Prima Guerra Mondiale. Un dato, ha concluso Bruni, imprescindibile che ha intrecciato i diversi linguaggi che hanno dato vita alla lingua del Novecento. Il Gaudinieri è stato non solo un militare ma anche un attento conoscitore dei processi storici e culturali, ha chiuso la sua carriera come colonnello dell'esercito.

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QUANDO GROTTAGLIE FU ATTRAVERSATA DA D'ANNUNZIO

di Pierfranco Bruni

Quando Gabriele D'Annunzio attraversò Grottaglie il Vate aveva già scritto i suoi versi su Taranto e sui porti di Taranto si improvvisò in una sceneggiatura come ai tempi con Eleonora (la Duse). Ma il "Notturno" era nel contesto di quella temperie e il suo incontro con Raffaele Carrieri avvenne sì a Fiume, ma il ragazzo e futuro grande poeta dei mari divisi, ovvero Carrieri, aveva così mitizzato l'eroe di Buccari che non perse occasione per sfiorare, proprio a Grottaglie, la giacca militare del viaggiatore del mediterraneo attraversato con Scarfoglio e la Serao. Il poeta che cantò Taranto e il suo Golfo si fermò a Grottaglie. Il suo amore religioso è stato sempre il francescanesimo e la figura di San Francesco di Paola lo condusse all'altro Francesco, a quello di Assisi. Ma a Grottaglie apprese le notizie del Paolano francese e si entusiasmò al punto di annotare la possibilità di scrivere una vita sui due Santi. Non fece nulla perché le azioni furono sempre più veloci dei pensieri e il pensiero non ebbe la possibilità di sedimentare in un linguaggio metaforico e allegorico. Ma visitò sfuggendo il convento di San Francesco di Paola. Attraversò Grottaglie e si fermò per ore frazioni o una sosta più prolungata?

 

 Interrogativo che non resterà tale perché nei miei studi sulla nobiltà dei Gaudinieri, mia nonna paterna era una Gaudinieri come avrò modo di sottolineare nei prossimi giorni in un convegno in anteprima, la figura di D'Annunzio era di  casa. Il tenente Agostino Gaudinieri,  piú giovane di D'Annunzio ma fu decorato sull'Isonzo nel 1916, aveva avuto modo di conoscere molto bene il Vate, era di famiglia francescana e paolana, ed era a conoscenza del suo attraversamento tra le strade di Grottaglie, incuriosito soprattutto del convento dei Paolotti. Il resto nella mia relazione che consegnerò al Convegno sulla Grande Guerra.

 

D'Annunzio, comunque, era a conoscenza della nobiltà stemmata dei Gaudinieri (stemma, tra l'altro, raffigurante una aquila con una rosa rossa nel becco) che discendevano dai Godiner della Francia, giunti in Calabria nella temperie rinascimentale - barocca e il tenente Agostino Gaudinieri, zio di mio padre e fratello della madre, era molto amico del soldato Ungaretti Giuseppe, il quale era, anch'egli, a conoscenza del passaggio e della presenza, incognita, di D'Annunzio a Grottaglie. Ma aver vissuto  in una famiglia con una vasta biblioteca e personaggi che hanno segnato la storia e hanno lasciato documenti straordinari mi permette di vivere questa "mia" storia che resta una storia senza parentesi. La venuta di D'Annunzio a Grottaglie... Il Convegno di Roma sulla Grande Guerra e il libro che ricostruisce la storia della mia famiglia è un racconto che scriverà una pagina di conoscenze e di straordinarie novità... Tra la nobiltà dei Gaudinieri e D'Annunzio ci fu un legame proprio durante gli anni che si preparava il Fascismo e anche dopo...

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