La pittura di Antonello da Messina
pubblicato l' 11 Marzo 2006 - Editoriale Arte

Le Figure di Vergini 

di Adriana De Gaudio

 

 

Alle Scuderie del Quirinale in Roma dal 18 marzo al 25 giugno 2006: mostra di Antonello da Messina.

Considerato il più grande pittore dell’Italia meridionale della prima metà del Quattrocento, Antonello da Messina, figlio dello scalpellino o marmoraro Giovanni e di Garita (Margherita), è conosciuto anche nel campo artistico nazionale ed internazionale.

Nasce a Messina tra il 1425-30, ivi muore nel 1479.

Lacunosa, in alcune tappe, si presenta la datazione del suo itinerario artistico. Dalla testimonianza di una lettera, inviata dall’umanista napoletano Pietro Summonte al veneziano Marcantonio Michiel (1524), pubblicata dal Nicolini nel 1925, si apprende che Antonello riceve la prima formazione artistica presso la bottega di Colantonio a Napoli, forse tra il 1445 e 1455. Il trasferimento di Antonello nella capitale del nuovo regno ha una motivazione: la Sicilia, dopo il passato glorioso arabo-normanno, vive un momento di arretratezza culturale rispetto al centro Italia, dove si afferma, ad opera dei Medici, il Rinascimento.

Napoli, invece, grazie all’insediamento del re Alfonso d’Aragona, proprietario di opere di Jan Van Eyck e di Rogier van der Weyden, e promotore culturale, gode di una benefica vitalità artistica e letteraria. Alla corte vengono ad intrecciarsi correnti fiamminghe, spagnole e provenzali, di cui il pittore siciliano recepisce l’influenza, supportata anche dall’insegnamento del maestro Colantonio, seguace dell’arte fiamminga.

La componente fiamminga, evidenziata dall’uso della tecnica ad olio, che dà brillantezza ai colori, e dall’ analisi dettagliata dei particolari, la conoscenza di Piero della Francesca e di Beato Angelico, avvenuta probabilmente a Roma prima del 1460, l’incontro a Venezia con Giovanni Bellini tra il 1474-75, lasciano una traccia nell’opera di Antonello, il cui stile presenta purezza e perfezione formale, intensità cromatica, plasticità e maestosità delle figure.

Dal corpus che assembla opere autografe e altre a lui attribuite, emergono soggetti sacri e ritratti. Dal primo repertorio richiama l’attenzione la figura di Maria che l’artista messinese diversifica in più versioni, pur tra loro correlate stilisticamente. La Vergine annunciata (Como, Museo Civico) viene attribuita ad Antonello dal Longhi (1953) e dal Bologna(1977). L’opera, indubbiamente del periodo giovanile, rivela la conoscenza dei fiamminghi. Dipinta su tavola dorata, la Vergine ha l’aspetto monacale per il copricapo ed il soggólo che le incorniciano il volto, e ne fanno risaltare i lineamenti marcati, il naso prominente e l’espressione assorta degli occhi lievemente asimmetrici. Somigliante, ma più viva l’immagine della Vergine leggente (Venezia,collezione privata), la quale plasticamente si distanzia dal fondo buio.

Questa opera giovanile è definita dal Fiocco (1950) “una creatura pungente, dalle mani lunghe e quasi predaci, dal volto sigillato fra le bende tormentate…” Le mani esili, sollevate a reggere il libro aperto, rese così “espressive”, fanno ricordare altre mani di Vergini che Antonello fa “parlare” invece dello sguardo. La presenza di due angeli, con corona di gigli e mughetti, emblemi della purezza di Maria, sospesa sul suo capo, richiamano l’iconografia della Madonna Salting (Londra, National Gallery). Questo dipinto giovanile di Antonello attesta l’assimilazione stilistica dei fiamminghi in una visione rinascimentale italiana.

La Madonna, vista di tre quarti, col Bambino tra le mani, a posto del libro, si colloca saldamente nello spazio. D’imponenza scultorea, il volto si precisa in un tipo di bellezza di impronta meridionale, anzi siciliana. I capelli neri, aderenti al capo, pongono in risalto l’incarnato bianco, il taglio marcato sopraciliare e degli occhi schiusi e della bocca sottile, le rigide e perfette orecchie. Preziosa la corona sorretta da due angeli, sontuoso l’abito nei toni caldi del marrone, decorato con perle e pietre. Tocco finale: una veletta bianca trasparente, bordata, le scorre dal capo. Il dipinto su tavola viene datato tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio del decennio seguente.

Di memoria pierfrancescana, per la saldezza dei volumi e per l’astrazione formale del volto, la Vergine leggente (Baltimora, Walters Art Gallery). Iconograficamente riconduce alla Madonna Salting, con la differenza che questa è ripresa nell’atto di leggere il libro. Meno discussa dagli studiosi l’attribuzione ad Antonello della Vergine annunciata, 1473-74 (Monaco Bayerische Staatsgemäldesammlungen), la quale richiama, per la posizione incrociata delle sue mani emotive, l’Annunciazione, 1474, tavola trasportata su tela, molto rovinata (Siracusa, Galleria Nazionale) e, per il rinnovamento iconografico, la Vergine annunciata, 1478-77 (Palermo, Galleria Nazionale), eseguita da Antonello al ritorno definitivo a Messina, dopo il soggiorno veneziano. In entrambi i dipinti la Vergine s’imposta volumetricamente nello spazio, dal quale si stacca per rotare leggermente in avanti.

L’Annunciata di Monaco, chiusa nel suo mantello azzurro, sta davanti ad un libro aperto, la cui custodia rossa, descritta nei dettagli, si vede vuota a sinistra. Il volto, definito geometricamente, reclinando dolcemente verso sinistra, esprime un muto stupore, tradotto in spavento dall’artiglio delle esili mani tremanti. La seconda versione, frutto della maturità stilistica del pittore messinese, è un dipinto davvero esemplare di sintesi prospettica e spaziale, di astrazione, di rigore geometrico, che rimanda sì a Piero della Francesca, ma più intenso risulta il processo di idealizzazione. La Vergine, di impianto piramidale, si presenta scultorea, con espressione distaccata. Perfetto è l’equilibrio compositivo tra forma e spazio, tra luce e colore.

La linea curva, elemento modulare, definisce l’ovale perfetto del volto della Vergine, contornato dal manto, le sopracciglia arcuate, le palpebre ombreggiate, le pupille, l’iride, le narici, la bocca. In giù, il motivo curveggiante si precisa nel dettaglio trilobato del leggio ligneo, visto di spigolo. Con la mano destra Maria chiude il lembo del pesante manto, con l’altra mano, portata in avanti, pare che respinga chiunque possa disturbare l’intimità di quello evento straordinario, riservato solo a Lei, prescelta da Dio. Quella sua mano pare che dialoghi con l’Invisibile, dando una risposta immediata, ferma, obbediente. Nessuna esitazione, nessun timore, come nella precedente versione. “Questa Vergine intangibile nel suo isolamento astrale, racchiusa nel manto azzurro, è come una stella nella notte” scrive Marabottini.

Diversa l’interpretazione dello storico Adorno, il quale coglie nel gesto della Vergine un invito all’osservatore, il quale “si colloca nel posto dell’angelo, diventando coprotagonista insieme alla Vergine con la quale stabilisce un dialogo diretto, cogliendone le reazioni, nel momento in cui riceve l’annuncio”.
In ultima analisi va ricordata La Pala di San Cassiano con Madonna in trono col Bambino e Santi, 1475-76 (Vienna, Kunsthistorisches Museum), archetipo cui s’ispirano altri pittori rinascimentali, tra cui Bellini e Giorgione. All’interno di un’architettura “assai più solenne di quella belliniana, derivata dall’Alberti e da Piero” siede in trono la Vergine, la quale ha un’espressione umana dolcissima e mesta. Possente nella forma-colore, mostra nella mano sinistra con il pollice arcuato, un assaggio di ciliegie, frutto che allude al sangue versato da Cristo. La Madonna indossa una magnifica veste damascata, che si evidenzia sotto il mantello azzurro.

I ritratti di Antonello da Messina

Antonello da Messina rivoluziona l’iconografia tradizionale del ritratto, ponendo i suoi soggetti non di faccia né di profilo, ma di tre quarti, con l’intento di mostrare, attraverso la fisiognomica dei volti, la loro interiorità. Non soggetti, appartenenti alla nobiltà, all’alta borghesia o agli umanisti, ma colti per strada. Come Donatello che raffigura uomini fiorentini, così Antonello predilige uomini siciliani. Donatello, eludendo i canoni classici, s’indirizza verso un realismo di stampo popolare, verso cui propende Antonello, distanziandosi da quello fiammingo, basato sull’analisi fredda e dettagliata della realtà. Se le figure di Vergini appaiono riservate,

chiuse in una pudica riservatezza e distaccate dal mondo che le circonda, i ritratti maschili di Antonello sono considerati dallo storico De Grada “autoritratti”. Ognuno nel loro aspetto mostra “quello del sopraffattore, del rivoluzionario, del conquistatore o della vittima che si difende con l’astuzia e la fierezza”. Ritratti dunque attuali che documentano la tipologia dell’uomo siciliano, interpretata con fino intuito psicologico.

Dalla galleria dei ritratti antonelliani, alcuni personaggi balzano prepotenti dal fondo del dipinto su tavola, quasi a voler cercare negli osservatori l’interlocutore giusto per stabilire una complicità d’intesa.
Il Ritratto d’ uomo, (Cefalù, Museo della Fondazione Mandralisca) è ritento il più antico,eseguito probabilmente tra il 1470-72. Così commenta Zeri (1976): “è ben difficile menzionare qualcosa di più intimamente siciliano del Ritratto di Cefalù, nel cui sorriso tra eginetico e minatorio è condensata l’ambigua essenza dell’isola fascinosa e terribile.”

Il Ritratto di giovane uomo (New York, The Metropolitan Museum of Art) di incerta datazione, posta tra il 1470-75, è ritenuto dal Bottari “una delle più seducenti immagini antonelliane”. Seducono infatti lo sguardo ed il sorriso compiacenti. Espressione diversa, direi circospetta, esprime il Ritratto d’uomo (Philadelphia, Museum of art), eseguito attorno al 1470. Non sul fondo scuro ma sul dorato si staglia volumetricamente l’uomo, con il cappuccio nero con lunga banda, la quale, scendendo verticalmente sul lato sinistro, accentua la grossezza del naso, il gonfiore delle palpebre, la rotondità della guancia destra ombreggiata.
Ritratto di giovane uomo, 1474 (Berlino, Staatliche Museen), il primo dipinto datato dal pittore messinese, presenta un’ammirevole sintesi formale. Dal buio la figura, emergendo alla luce con la sua volumetrica massa rossa, schiude le labbra in un sorriso naturale.

D’influenza belliniana il Ritratto d’uomo (detto il condottiero), 1475 (Parigi, Musée du Louvre) attesta il soggiorno a Venezia del pittore siciliano. Si ipotizza che l’uomo del ritratto possa essere Maria Sforza, duca di Bari. Colpisce per l’espressione spavalda del volto, dagli zigomi contratti, e per lo sguardo fiero degli occhi. Anche dal fondo buio s’affaccia, ma con aria furbesca, il Ritratto d’uomo, 1475-76 (Roma, Galleria Borghese), dipinto in cui la penetrazione psicologica raggiunge un esito di straordinaria bravura. Considerato un autoritratto, non riconosciuto dagli storici di oggi, il Ritratto d’uomo, 1475-76 (Londra, National Gallery) porta sul capo un berretto rosso, ha occhi chiari e barba rasata. Dalla giacca marrone si intravedono, nel taglio dell’apertura, il colletto bianco e la camicia rossa. Affiora dalla resa cromatica luminosa il ricordo della pittura veneta e soprattutto di Giovanni Bellini. Lo sguardo che l’uomo rivolge all’osservatore è alquanto sornione. Enigmatico, invece, il Ritratto d’uomo, 1476, detto Trivulzio dal nome del principe della collezione milanese, passata poi al Museo Civico di Torino.

un ritratto intenso, tra i più significativi, ripreso dal vero, eseguito da Antonello a Venezia oppure in Sicilia, al suo rientro a Messina. Sorprendono i dettagli realistici: la resa dei sopraccigli cespugliosi, lo sguardo in tralice, la bocca stirata in un ghigno. A rendere possente il modellato è la massa corporea.
Si differenzia dagli altri dipinti il Ritratto d’uomo,1478 (Berlino, Staatliche Museen) per lo sfondo paesaggistico, da cui emerge la figura, con atteggiamento dignitoso. Longhi (1851) attribuisce “a mano nordica” l’aggiunta della natura sul fondo scuro; la Sricchia Santoro, non riconoscendo il paesaggio nella visione antonelliana, ipotizza l’intervento aggiuntivo da parte del figlio dell’artista, Jacobello, il quale, nell’inserire sulla tavola uno scorcio paesaggistico, non ha badato al “coerente rapporto tra la irregolare striscia verticale scura e la frappa del mazzocchio che scende sulla spalla”.

 

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