FERRAMONTI LUOGO DELLA MEMORIA E DELL'AMMONIMENTO | |||
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Tempo di memoria di Maria Zanoni
Ho visitato più volte
l’ex campo di concentramento Ferramonti di Tarsia, il più grande lager
italiano, istituito dal regime fascista nel 1940;
con le sue 92 baracche e gli oltre 2000 «ospiti», è stato il più grande
centro di raccolta di ebrei in Italia, dopo la promulgazione delle leggi
razziali.
La mia prima esperienza
col campo avvenne alla fine degli anni Sessanta, quando ancora nessuno
aveva il coraggio di parlare di quel luogo che custodiva tante memorie,
che molti cercavano di rimuovere.
Mentre avanzavano i
lavori della costruzione dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, che
divise in due l’ex campo di confino, erano visibili alcune baracche
bianche, usate per ricovero di animali e mezzi agricoli, altre
sventrate, col tetto crollato, e dappertutto filo spinato, mezzo
arrugginito, aggrovigliato intorno a pali di legno. La miseria della
popolazione del luogo aveva fatto incetta di tegole, mattoni, finestre e
tavole per alimentare il fuoco con cui riscaldarsi.
Percepivo solo un senso
di desolazione e di abbandono. Le scene rurali impedirono l’affiorare di
particolari emozioni. Ma in verità non avevo ancora capito di che luogo
si trattasse. I manuali di storia del Liceo, allora, accennavano
solamente a queste realtà, con cautela, e mancavano in assoluto di
iconografia.
Ci tornai dopo alcuni
anni a Ferramonti, quando già sapevo bene cos’era
un lager, ed avevo maturato una discreta esperienza nella ricerca
nel campo dell’antropologia visiva. E in una delle giornate della
memoria, organizzate dalla Fondazione Ferramonti con lo scopo precipuo
di promuovere la conoscenza e favorire la crescita di ideali di libertà
e di democrazia, conobbi ex internati come la
scrittrice
Elisa Springer,
Rita Koch, Franklin, testimonial di una esperienza da ricordare e non
ripetere mai.
Poi nel 2005 visitai il
campo con una guida d’eccezione: il geometra Antonio Stillo, che del
campo aveva avuto esperienza diretta.
Stillo era figlio del
proprietario del fondo confinante e da ragazzo, con un permesso speciale
di accesso, frequentava il campo e lì ebbe ottimi maestri che lo
istruirono.
All’interno funzionava un
asilo, una scuola ed un ambulatorio medico. Qui conobbe i fratelli
Schwarz che gli avevano regalato un cofanetto in legno con significative
incisioni e disegni pirografati. Ed a quel punto la mia mente andò
indietro di molti anni, al giorno in cui da bambina conobbi il dottor
Ladislao Schwarz a Castrovillari, e mi ricordai del volume di anatomia
patologica, edito nel 1957, che contiene 220 disegni dell’illustre
chirurgo.
L’anziano geometra
raccontava che tra gli internati vi erano intellettuali, musicisti,
pittori, artigiani, di varie nazionalità che avevano rapporti cordiali
ed amichevoli con la gente del posto e dei paesi vicini, che offriva
agli “sfollati” prodotti raccolti nelle loro terre.
Erano tempi di guerra e
di fame, ma la solidarietà e l’umanità proverbiali della gente di
Calabria superava ogni barriera, religiosa, politica, fisica.
Allora seppi che quel che
resta sono le baracche utilizzate come uffici dall’Amministrazione e di
quelle in cui dimorarono gli internati ne restano un paio fatiscenti,
inglobate in costruzioni di epoca recente.
Le testimonianze di
Stillo, della famiglia Toscano e di altri amici di Tarsia sono state
spunti preziosi per una mia recente ricerca sui beni culturali del
territorio.
E Ferramonti è un bene
culturale da conoscere e tutelare.
Dunque, proporre qualche
spunto di riflessione sulla giornata della memoria non è mai superfluo o
inutile. Soprattutto quando in molte scuole di ogni ordine e grado,
anche nella nostra regione, si organizzano cerimonie, iniziative,
incontri e momenti comuni di riflessione, in ricordo dello sterminio e
delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e
politici italiani nei lager nazisti.
In molti si chiedono se tutto si risolve in una stanca ritualità, se la
porta dell’archivio della nostra memoria, individuale o collettiva, si
apre solo il 27 gennaio, magari davanti ai media, e poi si chiude;
oppure si chiedono se la Scuola, agenzia deputata ad “insegnare a
vivere”, tuteli la memoria, l’atto del ricordare: uno dei fondamenti
etici dell’individuo.
In molti si chiedono quanti insegnanti riservano nelle loro
programmazioni annuali spazio alla giornata della memoria... Quanti
docenti avranno menzionato almeno una volta ai loro alunni il nome di
Ferramonti di Tarsia... Quanti avranno visitato essi stessi l’ex campo
di concentramento (a due passi da casa) o ne avranno proposto la visita
guidata, per insegnare agli allievi la lettura del territorio, per
scoprire tasselli di storia sepolti in esso, come nei duecento luoghi di
deportazione, istituiti dai fascisti?!?
Molti paesi occidentali ed il Parlamento italiano hanno scelto il 27
Gennaio come giorno della memoria, dedicato al ricordo della Shoah,
perché in questo stesso giorno del 1945 venne liberato il campo di
Auschwitz.
La memoria è un potente
strumento per capire il presente. Ed i valori cui s'impronta sono quelli
della civiltà, del rispetto dell'altro, della sua diversità, delle sue
idee, anche se non condivise, e soprattutto del rifiuto della violenza.
Allora memoria significa
principio di solidarietà.
La memoria non coincide
con la storia, anche se ambedue sono riferite al passato. La storia è la
ricostruzione, spesso incompleta del passato. La memoria è un legame che
si vive nel presente. Ed il luogo rinsalda la memoria. La memoria è
radicata nel luogo stesso, pertanto presuppone una raffigurazione ed una
frequentazione.
A tanti Ferramonti nel
giorno della memoria racconta la storia di più di duemila deportati nel
campo costruito nel 1940 in una contrada paludosa e malarica, a sei KM
da Tarsia, perchè morissero di privazioni e stenti, di tifo e scabbia.
Era costituito da 92
baracche il lager, su un territorio di circa 160 mila metri quadri,
circondato da filo spinato e sorvegliato dalla milizia fascista. Dopo
alcuni mesi il campo non accoglieva solo ebrei, ma anche altri profughi
apolidi o di nazionalità polacca, ungherese, greca, cinese. Gli
internati non potevano lasciare il campo senza uno speciale
lasciapassare e non potevano uscire dalle baracche prima delle sette e
dopo le ore 21. Non potevano occuparsi di politica e, senza
autorizzazione, non potevano leggere libri e giornali in lingua estera;
era proibito l'uso della radio e degli apparecchi fotografici. Le
provviste alimentari erano scarse e la malnutrizione rendeva difficili
le condizioni di vita nel campo, che tuttavia ebbe il privilegio del
sostegno morale della popolazione del luogo, accogliente e molto umana.
Nel campo le giornate non passavano mai, nonostante dopo qualche tempo
si era andata organizzando la vita sociale. Ma il desiderio di libertà
regnò sovrano fino al 17 settembre del 1943, quando gli alleati
liberarono gli internati.
Oggi restano pochi ruderi
del grande campo di concentramento.
Ma il Museo
internazionale della Memoria, istituito nel 2004, e le iniziative della
Fondazione Ferramonti tengono deste le coscienze.
“Meditate che questo è
stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore.” afferma
lapidario nel suo romanzo-saggio "Se questo è un uomo" lo scrittore
Primo Levi, indimenticabile voce dell’olocausto.
Il tempo verbale è
testimonianza di un fatto che appartiene alla storia.
E noi siamo figli di
questa storia, di chi ancora può testimoniare direttamente delle
atrocità perpetrate con le leggi razziali.
La Scuola, dunque, al di
là di ogni ideologia e di ogni morale, deve difendere i valori che
caratterizzano l'individuo. Deve “frequentare i luoghi della memoria”,
che siano monumenti, siti o idee, insomma valori, largamente condivisi,
intorno ai quali si è depositata nel tempo la memoria.
Nella foto da sin: Maria Zanoni con Rita Koch, ex internata.
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