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La Demoetnoantropologia |
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I beni immateriali nei processi culturali e la
demoetnoantropologia come testimonianza dei popoli e dei territori.
di Pierfranco Bruni
La Demoetnoantropologia è
la dimensione scientifica che permette di recuperare la memoria di
un territorio, l’identità delle civiltà, la lettura testamentaria
dei popoli. Oltre alla specificità che racchiude nel suo linguaggio
di attraversamento culturale.
Antropos e Nostos
sono due concetti forti nella comprensione
delle eredità culturali. Il territorio presenta una mappa culturale
e linguistica abbastanza articolata e penetrare una tale realtà
significa cercare di dialogare con le identità, con le appartenenze
e con le tradizioni. Il Ministero beni attività culturali e turismo
bene ha fatto nell’introdurre la testimonianza decisa e decisiva dei
beni e delle culture immateriali. È sulla Tradizione che si gioca una partita
importante sul piano sia della cultura che su quello di un orizzonte
di civiltà. Bisogna guardare con attenzione alle
presenze minoritarie
(linguistiche, etno-antropologiche) che convivono sui territori
(mi riferisco chiaramente a quelle
storiche) attraverso una
griglia nella quale il bene culturale può costituire una chiave
interpretativa fondamentale. Infatti percorrere il vissuto delle
minoranze etnico – linguistiche in Italia attraverso i codici dei
beni culturali significa, tra l’altro, penetrare non solo modelli
ben radicati sul territorio ma soprattutto addentrarsi in una chiave
di lettura che pone come elemento interpretativo sia la lezione che
proviene dal tessuto delle testimonianze materiali sia da una
lezione piuttosto di analisi introspettiva. Ciò permette di catturare sensazioni e visioni
che sono sottolineati da un chiara lettura etno-storica,
etno-archeologica, ento-antropologica (e questo ultimo termine non
deve sembrare una contraddizione ma si addentra in un fenomeno che
non può essere vissuto solo sul piano del folklore, con tutto il
dovuto interesse che si dà e si deve dare a un tale contesto, ma
deve andare chiaramente oltre, verso una “fenomenologia” del
concetto estetico e filosofico dell’ethnos, ovvero della
Demoetnoantropologia).
Le minoranze linguistiche ed etniche (mi riferisco sempre a quelle
che hanno un vissuto e un radicamento ben visibile sul piano
storico) non si “spiegano” e non si comprendono soltanto da un punto
di vista della lingua. La lingua resta un nucleo culturale
fondamentale ma non si può prescindere da una dimensione in cui il
senso degli archetipi costituisce la vera anima di una civiltà. La
nostalgia senza l’orizzonte degli archetipi non avrebbe senso. Tutta la scuola tradizionalista e spiritualista
ci ha insegnato che il mito non può chiaramente spiegarsi con la
realtà. Quella scuola che annovera studiosi come Mircea Eliade, Renè
Guenon, Cesare Pavese, Ananda K. Coomaraswamy, Elemire Zolla,
Alfredo Cattabiani trattano il mito nella nostalgia di quegli
archetipi che formano non la struttura di una civiltà ma il sentire
di un popolo. Il sentire di un popolo è la spiritualità di un popolo
che si esprime grazie ad un tessuto di simboli che sono ben
rappresentati in ciò che una comunità ha tramandato. Proprio per
questo accanto alla lingua i popoli hanno sempre posto un altro
concetto base che è la metafora dell’appartenenza. Ovvero trasferire
nel quotidiano una memoria che ha superato gli urti stessi della
storia.
I popoli e le civiltà non resistono all’incombere della storia
soltanto con la lingua ma occorrono altre voci come i simboli. I
beni culturali, in questo caso preciso, costituiscono la continuità
di una esperienza simbolica. L’espressione dei simboli è la lettura
che un bene culturale offre. In questa offerta ci deve essere però
anche la capacità di recuperare un “messaggio” che non è storico
e neppure etico ma profondamente estetico – esistenziale. Un bene culturale si legge proprio a ciò che
proietta nella nostra coscienza in termini simboli.
E sono i simboli che si
proiettano nel futuro, sono i simboli che fanno di un centro
storico, di una chiesa, di un complesso nuragico, di un maso, di un
frammento archeologico un tracciato sul quale recuperare la vita,
ovvero il vissuto, il tempo nel mosaico di una memoria la cui
complessità sta nella consapevolezza delle radici. In fondo le comunità di minoranza
etnico-linguistica dovrebbero essere il portato di un costante
dialogo tra il valore di tradizione, luogo e tempo-memoria. La
storia è un depositato con il quale il quotidiano deve sempre fare i
conti ma una civiltà non si regge sul depositato della
rappresentazione della storia ma sulla capacità di non perdere i
segni della storia trasformandoli in simbolicità dell’essere.
Pongo una questione di natura fortemente estetica anche in un
rapporto tra territorio, habitat e bene culturale. Perché non si può
prescindere dal fatto che un bene culturale rimane sempre un inciso
nella coscienza di un popolo e di una comunità. Classificare un bene
culturale ha un valore prettamente tecnico ma non si può prescindere
dal fatto che insiste un sistema epistemologico connaturato nello
stesso concetto sia di “bene” che di “cultura”. Essendo un
patrimonio chiama immediatamente in causa valenze di identità e
quindi di appartenenza. L’analisi richiede non solo compartecipazioni ma
soprattutto comparazioni. Nel caso di un dialogo tra minoranze
linguistiche-etniche e beni culturali la lettura diventa
articolata. In sostanza insistere sul valore dell’ethnos diventa una
questione fondante. Su un territorio la cui presenza
linguistico-etnica è consistente il bene culturale è stato
attraversato da passaggi epocali il cui inciso è storico, è
antropologico, è linguistico, è artistico e non solo ma occorre
tenere ben chiaro il quadro delle contaminazioni. Una comunità
siffatta è completamente impregnata da marcati elementi di
contaminazioni. E questi hanno creato valori culturali sommersi ben
estesi su un raggio territoriale abbastanza ampio.
Le comunità di minoranza etnico – linguistica sono stati abitati
nelle loro ciclicità temporali e storiche da popoli camminanti o nei
casi meno complicati da popoli provenienti da altre realtà. Sono
popoli che provengono e non popoli che ritornano. Quindi sono popoli
che hanno cercato di portare la loro identità su un territorio che
non presentava gli stessi modelli e quindi la stessa koinè e in
alcune circostanze si sono imposti definendo le loro regole, i loro
codici, la loro religione con delle norme, riti e liturgie in molti
casi. Ecco perché la contaminazione risulta una chiave
di lettura fondamentale e importante per cercare di capire,
attraverso la lettura di un bene culturale, una precisa identità. Il
rapporto tra bene culturale e comunità di minoranza etnico –
linguistica si dipana proprio sul versante di una consapevolezza e
di una interpretazione dell’ethnos. Senza consapevolezza e
interpretazione dei linguaggi simbolici (quindi delle presenze
testimoniali quali i beni culturali, appunto) non è più possibile
comprendere un territorio che si articola con una realtà minoritaria
storica. Credo che, da questo punto di vista, la
scientificità di un raccordo (che è sostanzialmente penetrazione di
una interiorizzazione di civiltà che si sono succedute e si sono
intagliate su un territorio) tra modelli di eredità antropologica e
insistenza storico-artistica sia un dato di straordinaria necessità.
La lingua tutelata è un risultato di primaria vitalità per la
resistenza di una comunità. Ma, ripeto, non basta insistere solo su
ciò. Penetrare l’anima di un territorio è penetrare il territorio
stesso nella sua molteplicità epocale. Abitare un luogo e/o una identità significa
abitare un processo di ricontestualizzazioni che va dal significato
di eredità al significato di convivenza tra la storia e la memoria,
tra i simboli e i riferimenti che vivono nella cultura degli
archetipi che va riconsiderata in un presente che non può assentarsi
dalla tradizione.
Leggere un bene culturale in una comunità del genere (ma non solo)
vuol dire non assentarsi dalla tradizione che un popolo ha recato
all’interno di una temperie e di una geografia sia fisica che
esistenziale.
Un bene culturale resta sempre l’espressione della spiritualità di
un popolo
e il segno impresso dalla testimonianza di una civiltà. Basta un
piccolo fregio, una linea, un’ombra di colore per recuperare il
senso di una appartenenza. Antropos e Nostos restano centrali nella
Demoetnoantropologia e sono caratterizzanti nella visione della
Tradizione dei patrimoni dei popoli.
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