Pierfranco Bruni ricorda Alberto Bevilacqua e Francesco Grisi

 

pubblicato il 31 Luglio 2014 -   Letteratura

  

per raccogliere l’attesa di Giuseppe Berto a Tropea tra le “parole” del Premio Letterario

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Ci sono attese che si fanno fantasia. Tropea è una festa. La festa è anche la musica tra gli echi del mare. Ci sono ricordi che ritornano. Tra le strade dell’antico silenzio e delle bifore che raccolgono il vento che giunge dal mare Tropea è un’archeologia dei segni, dei simboli e del sapere. Sono trascorsi anni e camminare tra i vicoli significava fermare le parole e ascoltare il luogo, i luoghi, i passi. Erano gli anni Novanta. A metà degli anni Novanta. Io, Alberto Bevilacqua e Francesco Grisi. Avevamo percorso un lungo tratto di viaggio. Insieme. Da Taranto a Tropea.

A Taranto Alberto era stato premiato al Premio Letterario Ori di Taranto – Magna Grecia. Da lì partimmo perché Alberto voleva conoscere di più la Calabria. Soprattutto quella Calabria che Giuseppe Berto aveva profondamente amato. E Grisi, che aveva il misterioso negli occhi, immediatamente propose di “passeggiare” tra le vie di Tropea e poi raggiungere Capo Vaticano.

Facemmo due soste prima di toccare il Tirreno, il mare degli azzurri che ha veli di alchimia. E Alberto, che aveva nello sguardo l’alchimia con i suoi “sensi incantati”, si meravigliava di tutto. Non è vero che la meraviglia ha un’età.

Ci fermammo a Sibari per poco tempo e poi proseguimmo per San Lorenzo del Vallo. Lì, restammo per una ricca colazione. La mia casa con le palme. Allora mio padre coltivava le rose bianche e mia madre aveva il sorriso della bellezza.

“Già andate via?”, mi disse mio padre.

Era il mese di maggio di un anno che ricordo bene.

Io, Francesco e Alberto dovevamo raggiungere Tropea e poi Capo Vaticano per raccogliere l’attesa di Giuseppe Berto.

Un’altra sosta doverosa fu a Cosenza.

Alberto volle visitare la Casa editrice di Luigi Pellegrini. Come sempre con l’eleganza e lo stile ci accolsero. Walter ci accompagnò con la sua signorilità nella storia di una vita che è quella dell’editoria degli anni Cinquanta. Lì è ben custodita una splendida auto di Francesco.

Poi a riprendere il viaggio sulla Salerno – Reggio Calabria ci accompagnò il sole. Dovevamo tornare in nottata. Infatti, arrivammo a Tropea. A Capo Vaticano nel pomeriggio inoltrato. Da lì si vedeva, allora come oggi, il rossore degli orizzonti nello sguardo della Sicilia.

Alberto disse: “Giuseppe aveva ragione nel dire che da qui la Sicilia è fatta di luci, scintille, paesaggi. Da qui è un presepe nel crepuscolo che intaglia di magie il vento”.

E Francesco sottolineò: “Nel mio ultimo incontro con Berto si parlò soltanto della Calabria e dei calabresi di Tropea e del Capo. Non solo nei suoi romanzi la Calabria ha un respiro che raccoglie le memorie sommerse di Alvaro. Anche nel suo parlato tra amici, le memorie hanno parole corte e le sensazioni sono nel tempo lungo”.

Riprendemmo il breve tratto di viaggio, ero io che guidavo con la mia auto, per parcheggiare al centro di Tropea.

Nella passeggiata di Tropea avevamo sorrisi antichi.

Era il buio che dominava e c’era il rumore del mare che si spingeva sulla spiaggia e, nelle distanze, le onde sembravano uno schiaffo di schiuma.

Penetrammo gli intagli che si aprivano alla storia di Tropea. Qualche vetrina dei negozi si mostrava con i suoi coralli nelle sfumature del rosa e del rosso. I profumi avevano giungevano con le folate di vento dei peperoncini e delle cipolle fresche.

Francesco ci disse: “La Calabria ha tante storie da raccontare. Non può fare a meno delle leggende e delle favole. È un sogno dimenticato perché resta sempre un mondo sommerso”.

Riprendeva immagini di Alvaro che si recitano nell’immaginario di Berto.

Alberto annuiva e i suoi occhi sembravano due fari.

Il mare di Tropea si lasciava ascoltare mentre la passeggiata era diventata uno scenario tra i tocchi di una sera di maggio e un maggio che si apriva all’annuncio di una nuova estate.

Il destino ha scritto pagine di vite in questo nostro incontro e mi trovo a Tropea per il suo prestigioso Premio Letterario (Premio alla letteratura) con il mio libro dedicato ad Alberto Bevilacqua, uscito in questi giorni con l’editore Pellegrini e curato con gioia da Walter nel suo titolo profetico: “Spegnersi per non consumarsi. Io e Alberto Bevilacqua”, nel cui interno si parla anche di Francesco Grisi e racconto di Giuseppe Berto che ha formato il mio viaggio letterario a cominciare da “Il cielo è rosso” sino allo splendido “Anonimo veneziano” sino a “La gloria”.

Tra i passi lungo le strade di Tropea è ancora Alberto Bevilacqua che mi accompagna. Il suo ricordo. I suoi echi. La sua presenza in un immaginario misterioso.

Come nel maggio della meta degli anni Novanta.

In tarda nottata riprendemmo il viaggio e ci fermammo per un po’ di ore nella mia grande casa di San Lorenzo del Vallo, con le palme nella Calabria della chora sibaritide.

Ormai sono passati anni. Anni lunghi.

Ritorno a Tropea non con malinconie, anche se qualche foglia di nostalgia sfiora il mio guardare nello scavo del tempo.

Il Premio Letterario tra le onde che sfiorano e urtano le alzate del porto.

Il porto di Tropea è in festa e il Premio è un ritrovarsi e un incontrare giorni che si intrecciano ad altri giorni che sono viaggi e resteranno in altri cammini.

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