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Berto e il Cinema |
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Prima di analizzare le versioni cinematografiche dei romanzi di
Giuseppe Berto, è necessario delineare sinteticamente il rapporto
tra Letteratura e Cinema, trattandosi di uno scrittore che lavorò
molto per il cinema, scrivendo sceneggiature;
e per il teatro scrisse La
Passione secondo noi stessi
(1972),
dove si ritrova un’anticipazione sul ruolo di Giuda nel
Vangelo,
che sarà il soggetto del suo ultimo romanzo.
Le esperienze più incisive della vita di Berto, sceneggiatore e soggettista
furono:
Il monello di Chaplin, e il
Segno di Zorro.
Come critico cinematografico collaborò
intensamente dal marzo 1957 al novembre 1958 alla rivista
Rotosei, con una rubrica
settimanale. L'opera di Berto ha dato un interessante
contributo al mondo cinematografico, con una ventina di film, a
partire dal 1947 con Eleonora
Duse di Walter Ratti, fino al 1990, con il
Male oscuro di Mario Monicelli.
L'intenso rapporto dello scrittore con il Cinema, iniziato prima
della pubblicazione del suo primo romanzo, porta ad alcune brevi, ma
necessarie, considerazioni sul rapporto tra i letterati ed il mondo
in celluloide.
Tra la narrativa italiana e la sua traduzione in linguaggio
cinematografico esiste un rapporto particolare basato sull'autonomia
di espressione.
Italo Calvino in un efficace articolo dal titolo "Gli amori
difficili dei romanzi coi film", pubblicato su
Cinema Nuovo nel Settembre
del 1954, aveva affermato: "La letteratura per il Cinema è un punto
di partenza: L'importante è dire cose nuove".
Più che di traduzione sarebbe opportuno, allora, parlare di
"riformulazione". Spesso la fonte letteraria viene utilizzata come
un semplice soggetto cinematografico da cui trarre una vicenda, un
ambiente, dei personaggi, trascurando il contenuto espressivo e lo
stile dell'Autore.
L'immaginario fornito dalle parole è molto più ampio rispetto alla
traduzione in immagini.
Il regista costringe lo spettatore alla sua visione e al significato
che a tale visione attribuisce.
La letteratura suscita emozioni del cuore e riflessioni della mente,
attraverso le frasi, le metafore; il cinema è «linguaggio delle
immagini sonore in movimento», come è stato definito, e suscita
emozioni, attraverso i sensi, con immagini, suoni, dialoghi, colori.
Quando il regista si pone in sintonia con l’autore, per poi
riformulare liberamente la sua opera in immagini, ottiene ottimi
risultati; anche quando si allontana dal rispetto del testo,
evitando, così, una piatta adesione che potrebbe salvarne i
contenuti particolari, ma tradirne lo spirito e l’espressività.
Ma Berto alla
stesura a più mani di una sceneggiatura preferiva la scrittura
individuale; tant'è che per realizzare la sceneggiatura del film
"Per amore" si era ritirato a Capo Vaticano, in Calabria, per
lavorare alla sceneggiatura da solo, indisturbato, senza telefono.
Era uno
sceneggiatore "sui generis", come lo definì il regista Mino Giarda.
Berto,
sceneggiatore, pur ammettendo sul piano teorico l'autonomia del
Cinema dalla Letteratura, violava i canoni cinematografici, per
meglio scavare il profilo psicologico dei personaggi, se era
necessario dare vere emozioni allo spettatore.
Lo scrittore,
inoltre, aveva un rapporto di amore-odio con il cinema, che egli
considerava "una fonte di guadagno, per sopravvivere", come scrisse
nell'introduzione al testo drammatico di
Anonimo veneziano. E
aggiunse:"Non lavoro volentieri e frequentemente per il cinema".
Nonostante ciò,
Berto era molto attento e severo riguardo alle immagini sullo
schermo, come testimonia il suo stretto rapporto con il produttore
Peppino Amato, cui faceva da consigliere intellettuale.
Lo scrittore-critico
cinematografico affidava grande importanza al lavoro di
sceneggiatura, pensando alle reazioni dello spettatore medio al
cospetto di quelle immagini in movimento.
Egli nutriva un
forte desiderio di occuparsi di regia, tanto che trascorse due mesi
in Calabria con il regista Renato Castellani per cercare attori e
luoghi ove poter ambientare
Morte di un brigante, tratto dal suo romanzo
Il brigante.
Poi il film fu
affidato a Castellani e sfumò il sogno di Berto di debuttare come
regista.
E, nonostante
Berto elogiò il film, come drammatica descrizione del mondo
contadino calabrese, fedele alla sua opera, tuttavia il suo rapporto
con il mondo cinematografico, che lo attraeva e deludeva nello
stesso tempo, restava ambiguo.
Berto era molto
amareggiato quando assisteva alla versione cinematografica di una
sua opera, perchè non riusciva a trovare un punto di distacco; e non
si rassegnava.
Le insoddisfazioni
e le critiche dello scrittore erano tante, ma il Cinema continuava
ad interessarsi alla sua opera.
I film tratti dai
romanzi di Berto, ben dialogati, hanno una forza narrativa che
"vibra di una poesia interna" come disse Pier Paolo Pasolini in un
suo intervento del 1965, "Cinema di poesia".
E l'enorme
successo del malinconico e straziante
Anonimo veneziano ne è la
conferma.
Lo scrittore
veneto aveva collaborato direttamente alla trasposizione
cinematografica delle sue opere:
Il cielo è rosso nel 1949,
Il brigante nel 1961,
Togli le gambe dal parabrezza del 1969, tratto dal suo racconto
La ragazza va in Calabria,
Cari genitori del 1963,
Oh, Serafina del 1976.
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