Berto e il Cinema

 

pubblicato il  2014 -   Letteratura

 

 Il saggio di Claudia Rende nel volume “Giuseppe Berto e la necessità di raccontare” di Pierfranco Bruni,  dedicato allo scrittore di Anonimo veneziano e Male oscuro, nel centenario della nascita

 

 

Prima di analizzare le versioni cinematografiche dei romanzi di Giuseppe Berto, è necessario delineare sinteticamente il rapporto tra Letteratura e Cinema, trattandosi di uno scrittore che lavorò molto per il cinema, scrivendo sceneggiature; e per il teatro scrisse La Passione secondo noi stessi (1972), dove si ritrova un’anticipazione sul ruolo di Giuda nel Vangelo, che sarà il soggetto del suo ultimo romanzo.

Le esperienze più incisive della vita di Berto, sceneggiatore e soggettista furono: Il monello di Chaplin, e il Segno di Zorro.

Come critico cinematografico collaborò intensamente dal marzo 1957 al novembre 1958 alla rivista Rotosei, con una rubrica settimanale.

L'opera di Berto ha dato un interessante contributo al mondo cinematografico, con una ventina di film, a partire dal 1947 con Eleonora Duse di Walter Ratti, fino al 1990, con il Male oscuro di Mario Monicelli.

L'intenso rapporto dello scrittore con il Cinema, iniziato prima della pubblicazione del suo primo romanzo, porta ad alcune brevi, ma necessarie, considerazioni sul rapporto tra i letterati ed il mondo in celluloide.

Tra la narrativa italiana e la sua traduzione in linguaggio cinematografico esiste un rapporto particolare basato sull'autonomia di espressione.

Italo Calvino in un efficace articolo dal titolo "Gli amori difficili dei romanzi coi film", pubblicato su Cinema Nuovo nel Settembre del 1954, aveva affermato: "La letteratura per il Cinema è un punto di partenza: L'importante è dire cose nuove".

Più che di traduzione sarebbe opportuno, allora, parlare di "riformulazione". Spesso la fonte letteraria viene utilizzata come un semplice soggetto cinematografico da cui trarre una vicenda, un ambiente, dei personaggi, trascurando il contenuto espressivo e lo stile dell'Autore.

L'immaginario fornito dalle parole è molto più ampio rispetto alla traduzione in immagini.

Il regista costringe lo spettatore alla sua visione e al significato che a tale visione attribuisce.

La letteratura suscita emozioni del cuore e riflessioni della mente, attraverso le frasi, le metafore; il cinema è «linguaggio delle immagini sonore in movimento», come è stato definito, e suscita emozioni, attraverso i sensi, con immagini, suoni, dialoghi, colori.

Quando il regista si pone in sintonia con l’autore, per poi riformulare liberamente la sua opera in immagini, ottiene ottimi risultati; anche quando si allontana dal rispetto del testo, evitando, così, una piatta adesione che potrebbe salvarne i contenuti particolari, ma tradirne lo spirito e l’espressività.

Ma Berto alla stesura a più mani di una sceneggiatura preferiva la scrittura individuale; tant'è che per realizzare la sceneggiatura del film "Per amore" si era ritirato a Capo Vaticano, in Calabria, per lavorare alla sceneggiatura da solo, indisturbato, senza telefono.

Era uno sceneggiatore "sui generis", come lo definì il regista Mino Giarda.

Berto, sceneggiatore, pur ammettendo sul piano teorico l'autonomia del Cinema dalla Letteratura, violava i canoni cinematografici, per meglio scavare il profilo psicologico dei personaggi, se era necessario dare vere emozioni allo spettatore.

Lo scrittore, inoltre, aveva un rapporto di amore-odio con il cinema, che egli considerava "una fonte di guadagno, per sopravvivere", come scrisse nell'introduzione al testo drammatico di Anonimo veneziano. E aggiunse:"Non lavoro volentieri e frequentemente per il cinema".

Nonostante ciò, Berto era molto attento e severo riguardo alle immagini sullo schermo, come testimonia il suo stretto rapporto con il produttore Peppino Amato, cui faceva da consigliere intellettuale.  Lo scrittore-critico cinematografico affidava grande importanza al lavoro di sceneggiatura, pensando alle reazioni dello spettatore medio al cospetto di quelle immagini in movimento.

Egli nutriva un forte desiderio di occuparsi di regia, tanto che trascorse due mesi in Calabria con il regista Renato Castellani per cercare attori e luoghi ove poter ambientare Morte di un brigante, tratto dal suo romanzo Il brigante.

Poi il film fu affidato a Castellani e sfumò il sogno di Berto di debuttare come regista.

E, nonostante Berto elogiò il film, come drammatica descrizione del mondo contadino calabrese, fedele alla sua opera, tuttavia il suo rapporto con il mondo cinematografico, che lo attraeva e deludeva nello stesso tempo, restava ambiguo.

Berto era molto amareggiato quando assisteva alla versione cinematografica di una sua opera, perchè non riusciva a trovare un punto di distacco; e non si rassegnava.

Le insoddisfazioni e le critiche dello scrittore erano tante, ma il Cinema continuava ad interessarsi alla sua opera.

I film tratti dai romanzi di Berto, ben dialogati, hanno una forza narrativa che "vibra di una poesia interna" come disse Pier Paolo Pasolini in un suo intervento del 1965, "Cinema di poesia".

E l'enorme  successo del malinconico e straziante Anonimo veneziano ne è la conferma. 

Lo scrittore veneto aveva collaborato direttamente alla trasposizione cinematografica delle sue opere: Il cielo è rosso nel 1949, Il brigante nel 1961, Togli le gambe dal parabrezza del 1969, tratto dal suo racconto La ragazza va in Calabria, Cari genitori del 1963, Oh, Serafina del 1976. (Abstract)

 

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